lunedì 13 febbraio 2017

Al tempo stesso troppo onore e troppo torto



Sto leggendo un fitto volumetto di Marcello Musto, L’ultimo Marx (1881-1883), Donzelli, 2016. Dovrebbe essere letto soprattutto da coloro che – come scrivevo recentemente – Marx più che conoscerlo di prima mano preferiscono farselo raccontare. A me viene utile perché in esso trovo riassunta una questione che avevo in mente di affrontare brevemente in un post a riguardo di una certa affermazione contenuta in un pamphlet di Luciano Canfora. Nulla di che.

All’inizio del libro di Musto trovo una considerazione: la scarsa attenzione dedicata dai maggiori editori italiani alla traduzione degli scritti marxiani. Soggiungo a mia volta l’ars topiaria, per così dire, alla quale è sottoposta la barba del grande vecchio da parte di gente che parla di Marx a vanvera, non si sa se più spesso in malafede o solo per ignoranza e insipienza. Scrive Musto che negli ultimi dieci anni in Italia, “nonostante la rilevante produzione teorica e l’ampia diffusione dei suoi testi avvenuta nel Novecento”, gli studi su Marx sono “stati alquanto marginali, se confrontati con lo scenario internazionale”. Non c’è dubbio.



Del lavoro di Musto m’interessa qui mettere a fuoco un argomento in particolare, ossia la controversia sullo sviluppo del capitalismo in Russia, per dimostrare, con un esempio conciso, a quale trattamento viene vergognosamente sottoposto abitualmente il pensiero e l’opera di Marx. Mi riferisco, nella fattispecie, ad alcune frasette contenute nel pamphlet di Luciano Canfora, laddove il professore della Magna Grecia scrive:

L’orizzonte di Marx ed Engels era essenzialmente europeo-occidentale. Già la Russia per loro era remota e poco nota: fu Vera Zasulič a far comprendere a Marx la peculiarità della comune contadina russa (La schiavitù del capitale, p. 80).

In risposta prendo a prestito, per comodità e precisione nell’esposizione, le parole di Marcello Musto:

[…] Marx non manifestò mai alcuna volontà di prefigurare come dovesse essere il socialismo […]. Ciò nonostante, egli si trovò a dover fare i conti con la tesi, erroneamente attribuitagli, della fatalità storica del modo di produzione borghese. La controversia sulla prospettiva dello sviluppo del capitalismo in Russia ne è un chiara testimonianza.

Nel novembre del 1877, Marx aveva preparato una lunga lettera per la redazione della  Otečestvennye Zapiski [Annali Patrii], con la quale si era prefissato di replicare all’articolo (Karl Marx davanti al tribunale del signor Zukovskij) del critico letterario e sociologo Nikolaj Michajlovskij (1842-1904), sul futuro della comune (obščina) agricola. La missiva fu rielaborata un paio di volte, ma, alla fine, essa fu lasciata in minuta, con i segni di alcune cancellature. La lettera non fu mai spedita, ma conteneva interessanti anticipazioni delle argomentazioni che Marx usò, successivamente nella risposta a Vera Zasulič.

In una serie di saggi, Michajlovskij aveva sollevato una questione, seppure con sfumature diverse, molto simile a quella che, quattro anni più tardi avrebbe riproposto a Zasulič. Per quest’ultima il nodo da sciogliere era connesso alle ripercussioni che i possibili mutamenti della comune rurale avrebbero determinato sull’attività di propaganda del movimento socialista. Michajlovskij dibatteva, più teoricamente intorno alle differenti tesi esistenti sul futuro dell’obščina […].

Pertanto, poiché Marx detestava l’ambiguità teorica, con la lettera alla redazione della Otečestvennye Zapiski, volle “parlare senza giri di parole” ed esprimere le conclusioni alle quali era giunto dopo molti anni di studio. Iniziò con questa frase, poi cancellata nel manoscritto: “se la Russia continua sulla strada imboccata nel 1861, perderà la più bella occasione che la storia abbia mai offerto a un popolo, per subire, invece, tutte le fatali peripezie del regime capitalista”.

Dunque, ben prima di ricevere la famosa lettera di Vera Zasulič, Marx ebbe ad occuparsi della questione dell’obščina, ed è anzi vero che la questione fu prospettata a Marx, nei suoi termini più pregnanti, da Michajlovskij. Rilevo tale fatto per mettere in luce con quanta nonchalance Canfora abbia liquidato tale argomento storiografico e scientifico.

Altre notizie e considerazioni assai pregevoli sono a tale riguardo offerte da Musco al cui lavoro rimando il lettore.

Quanto al fatto che Marx ed Engels ponessero attenzione ad “un orizzonte essenzialmente europeo-occidentale”, come sostiene Canfora, è il caso di rilevare che per Marx oggetto d’indagine è “il modo capitalistico di produzione e i rapporti di produzione e di scambio che gli corrispondono”. A quell’epoca, l’Europa occidentale, in modo particolare l’Inghilterra, erano di tale oggetto d’indagine la “sede classica”. È pertanto ovvio che tale “orizzonte” storicamente sviluppato del capitalismo fosse posto da Marx al centro della sua analisi e della costruzione della sua teoria.

Se Canfora si fosse preso la briga di leggere la lettera di Marx alla redazione della Otečestvennye Zapiski, avrebbe rilevato parecchie cose davvero essenziali scritte da Marx ed egli non avrebbe potuto scrivere ciò che ha scritto nel suo pamphlet. Per esempio avrebbe letto questo passo, rivolto a Michajlovskij ma che s’attaglia anche allo stesso Canfora:


… deve ad ogni costo trasformare il mio schizzo storico della genesi del capitalismo nell’Europa occidentale in una teoria storico-filosofica del percorso universale fatalmente imposto a tutti i popoli, indipendentemente dalle circostanze storiche in cui si trovano posti, per giungere alla fine alla formazione economica che assicura assieme al più grande impulso delle forze produttive del lavoro sociale lo sviluppo più integrale di ogni produttore individuale. Ma io gli chiedo scusa. È farmi al tempo stesso troppo onore e troppo torto (Marx-Engels, Lettere 1874-1879, ed. Lotta comunista, p. 235).

8 commenti:

  1. Concordo appieno sulla valutazione negativa della lettura di Canfora, che non fa altro che ripetere amenità e trivialità, ovviamente degli intellettuali del PCI di togliattiana memoria. Non va dimenticato che nello statuto del PCI nel dopoguerra, da molti definito stalinista erroneamente, non era statuito l’obbligo per i militanti iscritti di praticare e sviluppare ed applicare il marxismo e il leninismo.
    Inoltre dire che Marx ed Engels fossero ancorati ad una visione eurocentrica è totalmente falso. Marx ed Engels sono i primi a cogliere l’opportunità scientifica delle ricerche di Morgan, quindi di società non legate alla tradizione culturale occidentale. Sono i primi a capire, in particolare Engels, l’importanza della lotta anche condotta nel lontanissimo Afghanistan, oppure le analisi accurate che tutte e due condussero sulla guerra civile americana sulla condizione della Cina, dell’India e della Persia. Purtroppo la ricchezza del pensiero di Marx ed Engels non è mai entrata in Italia dove manca un’edizione completa delle loro opere, al di là delle polemiche.
    Saluti Giuseppe Castronovo

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    1. è vero, ma basterebbe leggere quello che c'è
      sul gruppo dirigente del pci vale l'epitafio che ha scritto rossana rossanda:
      "Eravamo sempre là, al crocianesimo di ritorno nella formazione del gruppo dirigente comunista. E del resto, Marx nessuno lo leggeva”.
      saluti

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  2. sono argomenti che intendevano rafforzare l' apparato teorico del defunto movimento no global, in cui si contrapponeva la comunità locale al capitalismo globale (malamente inteso come una specie di consiglio di amministrazione in cui la grande borghesia mette ai voti le decisioni da prendersi per mettere a valore le varie risorse del pianeta ). ora gli stessi argomenti dovrebbero rafforzare le istanze del sovranismo di sinistra. Per come leggo Marx ed Engels, entrambi gli usi sono incompatibili con la loro prassi, prassi (la teoria è una forma della prassi) fondata su una ampiezza mondiale e che nulla concede a ritorni al passato.

    In ballo comunque c'è la teoria dei tempi, chiamata in causa dalla gravissima (e ancora inespressa nella sua profondità) crisi capitalistica e, incidentalmente, dalla ricorrenza dei cent'anni dall' Ottobre, come Olympe anticipò il mese scorso. Teoria dei tempi, come abbozzata ne l'ideologia tedesca, che per me non è nè alea nè determinismo ma che riaffida al processo sociale preso nel suo insieme (connubio inestricabile di oggettività e soggettività, di profonde faglie storiche e della più stringente immediatezza) sia la gestazione che l' opportunità del superamento storico del capitalismo. Ne riparleremo.

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    1. ho un'idea dell'uso strumentale che si è voluto fare e si vuole ancora fare delle posizioni (vere e presunte) di Marx sulla questione della comune agraria. sono d'accordo anche sul fatto che la crisi capitalistica sia ancora inespressa nella sua reale profondità. ci attendono tempi molto interessanti.

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  3. secondo me non si vuole capire (mi riferisco a Musco ad Olympe e allo Zittito) il vero problema. Non si tratta di distinguere Marx dal marxismo. Su questo c'è un' unanimità pressoché universale. Si tratta di essere coerenti. O si legge Marx rigorosamente e allora si deve ammettere che dalla sua opera non è possibile trarre nessuna determinazione o indicazione politica, né alcuna previsione più o meno storica; oppure si usa Marx politicamente e allora si deve accettare di confrontarsi con altri e alternativi usi politici di Marx. Quello che non si può fare è pretendere di leggere Marx rigorosamente e nello stesso tempo dedurre da questa lettura delle indicazioni politiche sul presente o, peggio, delle previsioni storiche. Per esempio, e per parlare chiaro, dedurre da Marx che non conviene (o non si può) abbandonare l'Euro e che ci si debba rassegnare ad una globalizzazione data per inevitabile.

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    1. tu fai dei commenti a cui non so che rispondere tanto sono distanti. marx è per me il miglior porto di partenza, ma è la nave proletaria che deve prendere il largo. se questo davvero segnasse una prender le distanze dal punto di partenza ben vengano le distanze. marx ci passa il testimone di un metodo logico

      alla fine sono io e non Marx che mi rifiuto di scendere nell' agone ultra-borghese del euro/non euro

      il lavoro da fare a mio avviso si pone in un altro territorio, dove si deduce molto poco, in cui la parola chiave è aggregare un larvale nucleo di prassi autonoma rispetto alle contrapposizioni di cui chissacosera (inteso come prodotto sociale) si nutre

      sempre da marx, oltre la faccenda dell'autonomia, raccolgo preziose indicazioni circa la genesi della potenza sociale del denaro, esorbitante come non mai, materia assai scottante per coloro che suppongono di poterla gestire tecnicamente per scopi niente meno che socialistici

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    2. capisco. Per me Marx è un grandissimo economista che ci ha lasciato ( con il Capitale) un modello ineguagliabile per la comprensione del sistema economico che domina il mondo da qualche secolo. E' un grandissimo scienziato, come Newton, come Einstein. Tutto qui. Nello stesso tempo purtroppo il Marx pensatore ci ha lasciato anche un'eredità di assunti sbagliatissimi e pericolosi. L'idea più pericolosa che ci ha lasciato è appunto quella di considerare il proletariato come l'unico soggetto in grado di cambiare le cose. Ora, secondo me e non solo, il proletariato è stato storicamente e continua ad essere nella misura in cui esiste, la classe sociale che ha meno possibilità di avviare un qualche cambiamento radicale. Basti pensare che delle molte rivoluzioni avvenute nella storia nessuna, ma proprio nessuna, ha visto come protagonista questa classe. Se uno ci riflette seriamente capisce che non è un caso. Non posso adesso argomentare ulteriormente questo giudizio anche se sarebbe interessante farlo. Sempre secondo me puntare sul proletariato significa porsi oggettivamente dalla parte della conservazione. Tutto qui.

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    3. "anche se sarebbe interessante farlo"

      no, grazie, ne ho abbastanza
      te la soni e te la canti

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