Riassumo alcuni concetti base che riguardano in
generale il modo di produzione capitalistico e la realtà odierna in rapporto alla
sua crisi.
Per ciò che riguarda la disoccupazione, problema
ridiventato centrale anche nelle aree di più antica industrializzazione, bisogna
aver chiaro che in un modo di produzione entro il quale l’operaio esiste per i bisogni di valorizzazione, la disoccupazione
e con essa la sovrappopolazione relativa è un prodotto necessario. Tout est pour le mieux dans le meilleur des
mondes possibles.
Ed infatti, la cosiddetta globalizzazione comporta,
da un lato, che un numero sempre minore di magnati del capitale usurpi e
monopolizzi tutti i vantaggi di questo processo di trasformazione, e dall’altro
che cresca la massa della miseria, della pressione, dell’asservimento, della
degenerazione, dello sfruttamento.
Per quanto riguarda le cause reali e fondamentali di
questa situazione v’è da dire che lo sviluppo tecnologico e della produttività
del lavoro, modificano progressivamente sia la composizione organica sia quella
tecnica del capitale (*). In termini correnti, nella misura in cui l’aumento
del capitale rende il lavoro più produttivo, esso diminuisce la domanda di
lavoro in rapporto alla grandezza del capitale. Questo mutamento di rapporto
determina una progressiva caduta del saggio generale del profitto. La categoria
del saggio del profitto svolge un ruolo fondamentale nell’economia politica, poiché
il suo movimento è alla base della crisi
del modo di produzione capitalistico.
Pertanto, come sottolineava Marx, il vero limite della produzione
capitalistica è il capitale stesso.
E ciò è sempre più presente nella tendenza storica in
atto, laddove il monopolio del capitale diventa un vincolo del modo di produzione,
che è sbocciato insieme ad esso e sotto di esso. La centralizzazione dei mezzi
di produzione e la socializzazione del lavoro raggiungono un punto in cui diventano incompatibili col loro involucro
capitalistico. Questo stato dell’arte diventa palese anche alle anime
belle, ai critici laterali del capitalismo, che altro ruolo pubblico non hanno
se non quello di mezzani del capitale.
*
I critici laterali del capitalismo sono le anime
belle che vorrebbero salvare capra e cavoli, laddove la capra rappresenta gli
interessi della borghesia e i cavoli le condizioni di sfruttamento esistenti. Anche
quando denunciano il fatto che il “capitale ha ripristinato forme di lavoro
schiavile”. Si dimentica che per sua essenza il lavoro salariato è già una
forma di schiavitù. Infatti, quando le condizioni sociali oggettive, di
bisogno, spingono una persona a vendere la propria forza-lavoro a un padrone,
non si tratta di libero scambio tra pari, tantomeno di cooperazione, bensì di
sottomissione, di una forma di schiavitù mascherata dalla finzione giuridica di
un contratto. E anche per quanto riguarda i “diritti del lavoro” va rilevato
che essi possono essere revocati laddove sia fatto prevalere il diritto del più
forte, che è appunto anch’esso un diritto, e' anzi la base stessa su cui
poggiano realmente e formalmente i rapporti sociali di produzione attuali.
La loro critica verte soprattutto sulle
“disuguaglianze”, e per esse si deve intendere anzitutto le disuguaglianze di ordine
economico. Ebbene in ciò si rileva la lateralità della critica, poiché essa
rileva la disuguaglianza nella sfera
della distribuzione della
ricchezza sociale (che si vorrebbe, dicono, più equa), ma si guardano bene
dall’indagare il fondamento stesso della disuguaglianza che ha luogo nella sfera della produzione, cioè in quei rapporti
sociali di produzione che sono all’origine dell’ampia gamma di contraddizioni,
sempre più abominevoli, che segnano questo sistema.
Tale critica alimenta le rivendicazioni egualitarie e
“progressiste” intese a trovare – nelle tesi per così dire più estremistiche – “nuove
e più efficaci e più convincenti forme di contrasto dell’ineguaglianza e di
lotta per una effettiva libertà”. In definitiva è la richiesta che il
plusvalore, attraverso un’equa distribuzione, possa ritornare alla classe
operaia che l’ha prodotto. Non si tratta quindi di abolire la produzione stessa
del plusvalore, ma semplicemente di garantirne, mantenendo inalterate le
condizioni sociali di produzione, una più “giusta” ripartizione. In questa
posizione si scorge un travisamento completo e voluto a riguardo della natura
stessa del modo di produzione capitalistico.
I critici laterali del capitalismo sono spesso anche
dei falsificatori seriali di Marx e del marxismo, approfittando anche del fatto
che i loro lettori più che leggere direttamente Marx preferiscono farselo
raccontare. Non ho però qui intenzione di esaminare in dettaglio le miserie
contenute in due paginette dell’ultimo e inutile pamphlet di Luciano Canfora.
(*) La mancata distinzione tra capitale costante e
capitale variabile, ossia la mancata definizione di “composizione organica” del
capitale, e la confusione tra plusvalore e profitto, porta gli economisti alle
più stravaganti teorie su tutti gli aspetti decisivi dell’economia politica e
segnatamente per quanto riguarda la caduta del saggio del profitto e le cause
delle crisi.
Per composizione organica del capitale s’intende il
rapporto reciproco che si stabilisce tra composizione di valore e composizione
tecnica. In altre parole, la composizione di valore riflette la proporzione in valore delle parti costitutive del
capitale (capitale costante e capitale variabile). La composizione tecnica
riflette invece il rapporto fisico
tra materie prime, mezzi di produzione e lavoro e indica il livello tecnico
raggiunto dalla produzione.
Non distinguere tra “composizione in valore” e
“composizione tecnica”, riducendo la composizione organica a semplice
“composizione in valore”, preclude qualsiasi possibilità sia di cogliere la
contraddizione fra lo sviluppo storico-naturale
delle forze produttive e la forma che esse assumono nel modo di produzione
capitalistico, sia la vera ragione per cui l’aumento della composizione
organica, provocando la caduta tendenziale del saggio di profitto, possa e debba risolversi nella crisi
dell’accumulazione capitalistica.
Cara Olympe,
RispondiEliminapotrebbe, gentilmente, semplificare ulteriormente i concetti riportati in nota?
grazie
M.T.
volentieri, ma non tutto può essere semplificato oltre un certo grado. sto già volgarizzando parecchio. saluti
EliminaStavo per complimentarmi per la chiarezza e sinteticità del post quando è arrivata la richiesta di M.T.
EliminaBeh, vista da un altro punto di vista vuol dire che il post è chiaro, e che una volta approfondita la nota sarà perfetto.
Detto questo, per rimediare al fatto che nonostante la tua notevole capacità divulgativa,
"non tutto può essere semplificato oltre un certo grado" per non correre il rischio di tramettere cose tanto semplici da rischiare di essere false,
forse puoi indicare testi (o meglio, parti di testi) per chi ha necessità di approfondire e non ha idea da dove iniziare a prendere il signore nella foto in alto :)
Per me grazie, ciao e complimenti (anche se mi ripeto).
g
grazie a te, sei sempre gentile e generoso.
Eliminasi può cominciare da qui:
http://www.criticamente.com/marxismo/capitale/capitale_1/Marx_Karl_-_Il_Capitale_-_Libro_I_-_23.htm
ma avverto che è un po' come cominciare l'algebra prima di conoscere le 4 operazioni
ciao e grazie ancora
Dimenticavo:
Eliminahttp://diciottobrumaio.blogspot.it/2013/03/la-legge-piu-importante.html
Mi applico e torno in modalità silente.
EliminaGrazie per il suo lavoro e la disponibilità.
M.T.
sei sempre il benvenuto e quando posso, secondo le mie capacità, semplifico. al punto che Marx mi ha mandato una diffida. ciao
EliminaPersonalmente ritengo che il Primo libro del Capitale possa essere letto senza filtri e compreso "in diretta" da chiunque abbia almeno un diploma di scuola superiore e l'interesse e la volontà di capire.
RispondiEliminaPer i Libri successivi il discorso un po' cambia. Il profano di economia, senza una guida, rischia di non arrivare in fondo a meno di metterci uno sforzo davvero notevole. Io ho una formazione umanistica di livello universitario (di ottima qualità, grazie ai docenti che ho avuto), di matematica ed economia ho saputo e letto poco o nulla fino agli anni 2000, e devo dire che leggere tutta l'opera cercando di capirla a fondo non è stato affatto semplice. Mi propongo sempre di rileggerla, ma poi mi lascio "distrarre" da altre letture e il tempo per leggere è sempre poco...
Tra l'altro mi meraviglia sempre pensare come Marx, la cui formazione fu filosofica, giuridica e letteraria, abbia potuto trasformarsi in uno studioso delle leggi e dei processi economici di quel calibro storico e mondiale. Già solo quello richiede una mente di capacità mostruose...
Sono d'accordo, pero' l'approccio a Marx non deve essere subito sul Capitale. Su come Marx sia arrivato ad interessarsi di economia politica si puo' leggere in una sua biografia.
Elimina@Mauro
Elimina...mente di capacità mostruose.
Il 2% della popolazione ebraica ha ricevuto il 236% dei premi Nobel, 380% Medal of Science, 330% World Prize, 240% Kyoto Prize. E' così.
Anche se li ha sempre detestati il DNA non mente.
Dopo la caduta del tempio nel 70..... studiano.
Il dna è costruito dalla storia, e molti fattori della loro storia li hanno portati a spalleggiarsi quasi sempre e a considerarsi un popolo eletto. Il successo di queste modalità comportamentali di interazione con il mondo ha fatto affluire soldi e potere nelle loro fila e, non ultima, la possibilità di dedicarsi alla cultura e alla scienza con l'atteggiamento fortemente motivato di chi è stato educato con la convinzione della propria differenza/unicità/superiorità divina.
EliminaSe vuoi avere percentuali altrettanto strabilianti di scienziati il caso di cuba è significativo (Purtroppo non ho il tempo di ricercare i dati letti mesi addietro che comparavano il numero strabiliante di scienziati e premi cubani rispetto l numero complessivo di tutto il sudamerica). ciao g
Olympe: meno male che mi avevi censurato per avere scritto che la Botteri era spettinata.
Eliminala Botteri ha la parrucca, perciò
EliminaCercherò di essere più chiaro: qui sopra ci sono commenti ben più imprudenti.
RispondiEliminaavevo capito bene, ma si tratta di un commento generico e non alla persona, e nella sostanza lo condivido. tra l'altro
Eliminahttp://diciottobrumaio.blogspot.it/2011/05/come-fu-inventato-il-popolo-ebraico1.html
ciao
Non sono sufficientemente attrezzato per disquisire sull'equazione tra filogenesi e ontogenesi,tra evoluzione dell'umanità ed evoluzione individuale.
RispondiEliminaNè tantomeno quanto e fino a quanto possa aver influito l'ortoprassi talmudica sul Dna ebraico.
Sono convinto che seguendo l'ipotesi storicistica l'imprintig familiare e sociale qualcosa avranno contato 'inconsapevolmente' sul Nostro, nonostante.
Accolgo ogni teoria.Dopo il traguardo finale farò la mia scelta definitiva.
Sono sempre stato felice e compartecipe che tabacco, rhum ,e Son siano altrettante componenti importanti nelle interazioni sul Dna cubano.-))