giovedì 9 febbraio 2017

L’anima del borghese è l’anima della sua classe sociale



Riassumo alcuni concetti base che riguardano in generale il modo di produzione capitalistico e la realtà odierna in rapporto alla sua crisi.

Per ciò che riguarda la disoccupazione, problema ridiventato centrale anche nelle aree di più antica industrializzazione, bisogna aver chiaro che in un modo di produzione entro il quale l’operaio esiste per i bisogni di valorizzazione, la disoccupazione e con essa la sovrappopolazione relativa è un prodotto necessario. Tout est pour le mieux dans le meilleur des mondes possibles.

Ed infatti, la cosiddetta globalizzazione comporta, da un lato, che un numero sempre minore di magnati del capitale usurpi e monopolizzi tutti i vantaggi di questo processo di trasformazione, e dall’altro che cresca la massa della miseria, della pressione, dell’asservimento, della degenerazione, dello sfruttamento.



Per quanto riguarda le cause reali e fondamentali di questa situazione v’è da dire che lo sviluppo tecnologico e della produttività del lavoro, modificano progressivamente sia la composizione organica sia quella tecnica del capitale (*). In termini correnti, nella misura in cui l’aumento del capitale rende il lavoro più produttivo, esso diminuisce la domanda di lavoro in rapporto alla grandezza del capitale. Questo mutamento di rapporto determina una progressiva caduta del saggio generale del profitto. La categoria del saggio del profitto svolge un ruolo fondamentale nell’economia politica, poiché il suo movimento è alla base della crisi del modo di produzione capitalistico.

Pertanto, come sottolineava Marx, il vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso.

E ciò è sempre più presente nella tendenza storica in atto, laddove il monopolio del capitale diventa un vincolo del modo di produzione, che è sbocciato insieme ad esso e sotto di esso. La centralizzazione dei mezzi di produzione e la socializzazione del lavoro raggiungono un punto in cui diventano incompatibili col loro involucro capitalistico. Questo stato dell’arte diventa palese anche alle anime belle, ai critici laterali del capitalismo, che altro ruolo pubblico non hanno se non quello di mezzani del capitale.

*

I critici laterali del capitalismo sono le anime belle che vorrebbero salvare capra e cavoli, laddove la capra rappresenta gli interessi della borghesia e i cavoli le condizioni di sfruttamento esistenti. Anche quando denunciano il fatto che il “capitale ha ripristinato forme di lavoro schiavile”. Si dimentica che per sua essenza il lavoro salariato è già una forma di schiavitù. Infatti, quando le condizioni sociali oggettive, di bisogno, spingono una persona a vendere la propria forza-lavoro a un padrone, non si tratta di libero scambio tra pari, tantomeno di cooperazione, bensì di sottomissione, di una forma di schiavitù mascherata dalla finzione giuridica di un contratto. E anche per quanto riguarda i “diritti del lavoro” va rilevato che essi possono essere revocati laddove sia fatto prevalere il diritto del più forte, che è appunto anch’esso un diritto, e' anzi la base stessa su cui poggiano realmente e formalmente i rapporti sociali di produzione attuali.

La loro critica verte soprattutto sulle “disuguaglianze”, e per esse si deve intendere anzitutto le disuguaglianze di ordine economico. Ebbene in ciò si rileva la lateralità della critica, poiché essa rileva la disuguaglianza nella sfera della distribuzione della ricchezza sociale (che si vorrebbe, dicono, più equa), ma si guardano bene dall’indagare il fondamento stesso della disuguaglianza che ha luogo nella sfera della produzione, cioè in quei rapporti sociali di produzione che sono all’origine dell’ampia gamma di contraddizioni, sempre più abominevoli, che segnano questo sistema.

Tale critica alimenta le rivendicazioni egualitarie e “progressiste” intese a trovare – nelle tesi per così dire più estremistiche – “nuove e più efficaci e più convincenti forme di contrasto dell’ineguaglianza e di lotta per una effettiva libertà”. In definitiva è la richiesta che il plusvalore, attraverso un’equa distribuzione, possa ritornare alla classe operaia che l’ha prodotto. Non si tratta quindi di abolire la produzione stessa del plusvalore, ma semplicemente di garantirne, mantenendo inalterate le condizioni sociali di produzione, una più “giusta” ripartizione. In questa posizione si scorge un travisamento completo e voluto a riguardo della natura stessa del modo di produzione capitalistico.

I critici laterali del capitalismo sono spesso anche dei falsificatori seriali di Marx e del marxismo, approfittando anche del fatto che i loro lettori più che leggere direttamente Marx preferiscono farselo raccontare. Non ho però qui intenzione di esaminare in dettaglio le miserie contenute in due paginette dell’ultimo e inutile pamphlet di Luciano Canfora.

(*) La mancata distinzione tra capitale costante e capitale variabile, ossia la mancata definizione di “composizione organica” del capitale, e la confusione tra plusvalore e profitto, porta gli economisti alle più stravaganti teorie su tutti gli aspetti decisivi dell’economia politica e segnatamente per quanto riguarda la caduta del saggio del profitto e le cause delle crisi.

Per composizione organica del capitale s’intende il rapporto reciproco che si stabilisce tra composizione di valore e composizione tecnica. In altre parole, la composizione di valore riflette la proporzione in valore delle parti costitutive del capitale (capitale costante e capitale variabile). La composizione tecnica riflette invece il rapporto fisico tra materie prime, mezzi di produzione e lavoro e indica il livello tecnico raggiunto dalla produzione.


Non distinguere tra “composizione in valore” e “composizione tecnica”, riducendo la composizione organica a semplice “composizione in valore”, preclude qualsiasi possibilità sia di cogliere la contraddizione fra lo sviluppo storico-naturale delle forze produttive e la forma che esse assumono nel modo di produzione capitalistico, sia la vera ragione per cui l’aumento della composizione organica, provocando la caduta tendenziale del saggio di profitto, possa e debba risolversi nella crisi dell’accumulazione capitalistica.

16 commenti:

  1. Cara Olympe,
    potrebbe, gentilmente, semplificare ulteriormente i concetti riportati in nota?
    grazie
    M.T.

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    1. volentieri, ma non tutto può essere semplificato oltre un certo grado. sto già volgarizzando parecchio. saluti

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    2. Stavo per complimentarmi per la chiarezza e sinteticità del post quando è arrivata la richiesta di M.T.
      Beh, vista da un altro punto di vista vuol dire che il post è chiaro, e che una volta approfondita la nota sarà perfetto.
      Detto questo, per rimediare al fatto che nonostante la tua notevole capacità divulgativa,
      "non tutto può essere semplificato oltre un certo grado" per non correre il rischio di tramettere cose tanto semplici da rischiare di essere false,
      forse puoi indicare testi (o meglio, parti di testi) per chi ha necessità di approfondire e non ha idea da dove iniziare a prendere il signore nella foto in alto :)

      Per me grazie, ciao e complimenti (anche se mi ripeto).
      g

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    3. grazie a te, sei sempre gentile e generoso.
      si può cominciare da qui:
      http://www.criticamente.com/marxismo/capitale/capitale_1/Marx_Karl_-_Il_Capitale_-_Libro_I_-_23.htm
      ma avverto che è un po' come cominciare l'algebra prima di conoscere le 4 operazioni
      ciao e grazie ancora

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    4. Dimenticavo:
      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2013/03/la-legge-piu-importante.html

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    5. Mi applico e torno in modalità silente.
      Grazie per il suo lavoro e la disponibilità.
      M.T.

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    6. sei sempre il benvenuto e quando posso, secondo le mie capacità, semplifico. al punto che Marx mi ha mandato una diffida. ciao

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  2. Personalmente ritengo che il Primo libro del Capitale possa essere letto senza filtri e compreso "in diretta" da chiunque abbia almeno un diploma di scuola superiore e l'interesse e la volontà di capire.

    Per i Libri successivi il discorso un po' cambia. Il profano di economia, senza una guida, rischia di non arrivare in fondo a meno di metterci uno sforzo davvero notevole. Io ho una formazione umanistica di livello universitario (di ottima qualità, grazie ai docenti che ho avuto), di matematica ed economia ho saputo e letto poco o nulla fino agli anni 2000, e devo dire che leggere tutta l'opera cercando di capirla a fondo non è stato affatto semplice. Mi propongo sempre di rileggerla, ma poi mi lascio "distrarre" da altre letture e il tempo per leggere è sempre poco...

    Tra l'altro mi meraviglia sempre pensare come Marx, la cui formazione fu filosofica, giuridica e letteraria, abbia potuto trasformarsi in uno studioso delle leggi e dei processi economici di quel calibro storico e mondiale. Già solo quello richiede una mente di capacità mostruose...

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    1. Sono d'accordo, pero' l'approccio a Marx non deve essere subito sul Capitale. Su come Marx sia arrivato ad interessarsi di economia politica si puo' leggere in una sua biografia.

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    2. @Mauro

      ...mente di capacità mostruose.

      Il 2% della popolazione ebraica ha ricevuto il 236% dei premi Nobel, 380% Medal of Science, 330% World Prize, 240% Kyoto Prize. E' così.

      Anche se li ha sempre detestati il DNA non mente.
      Dopo la caduta del tempio nel 70..... studiano.

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    3. Il dna è costruito dalla storia, e molti fattori della loro storia li hanno portati a spalleggiarsi quasi sempre e a considerarsi un popolo eletto. Il successo di queste modalità comportamentali di interazione con il mondo ha fatto affluire soldi e potere nelle loro fila e, non ultima, la possibilità di dedicarsi alla cultura e alla scienza con l'atteggiamento fortemente motivato di chi è stato educato con la convinzione della propria differenza/unicità/superiorità divina.
      Se vuoi avere percentuali altrettanto strabilianti di scienziati il caso di cuba è significativo (Purtroppo non ho il tempo di ricercare i dati letti mesi addietro che comparavano il numero strabiliante di scienziati e premi cubani rispetto l numero complessivo di tutto il sudamerica). ciao g

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    4. Olympe: meno male che mi avevi censurato per avere scritto che la Botteri era spettinata.

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  3. Cercherò di essere più chiaro: qui sopra ci sono commenti ben più imprudenti.

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    1. avevo capito bene, ma si tratta di un commento generico e non alla persona, e nella sostanza lo condivido. tra l'altro
      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2011/05/come-fu-inventato-il-popolo-ebraico1.html

      ciao

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  4. Non sono sufficientemente attrezzato per disquisire sull'equazione tra filogenesi e ontogenesi,tra evoluzione dell'umanità ed evoluzione individuale.
    Nè tantomeno quanto e fino a quanto possa aver influito l'ortoprassi talmudica sul Dna ebraico.
    Sono convinto che seguendo l'ipotesi storicistica l'imprintig familiare e sociale qualcosa avranno contato 'inconsapevolmente' sul Nostro, nonostante.
    Accolgo ogni teoria.Dopo il traguardo finale farò la mia scelta definitiva.

    Sono sempre stato felice e compartecipe che tabacco, rhum ,e Son siano altrettante componenti importanti nelle interazioni sul Dna cubano.-))


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