Noto
il moderato ottimismo che serpeggia rasoterra qua e là alla luce di quanto sta
succedendo, non da oggi, alla cosiddetta “sinistra liberista” (uno dei tanti
ossimori del nostro tempo), ossia a quelle forze politiche europee che hanno
sposato, per dirla con le parole di Alessandro Gilioli, “le ricette di quelli
che per quasi tutto il Novecento erano stati i suoi avversari, cioè le destre
economiche”.
Dunque,
per Gilioli “sinistra liberista” e “destre economiche”, se proprio non sono la
stessa cosa, si equivalgono. E come dargli torto. A me pare (ma si sa quanto
sia inquinato dal marxismo il mio punto di vista) ci si dimentichi – e parlo in
generale – di quello che potremmo definire, a buon titolo, il convitato di
pietra: il capitalismo, nell’era dell’imperialismo, anzi nella tarda maturità
dell’imperialismo.
Per
contrastare il disegno reazionario delle destre più oltranziste, è pronta – in
attesa del nuovo Messia che guidi la riscossa – la lista della nuova gamma di
desideri fatti di tasse per i ricchi e mance generose per i penultimi, quel che
avanza per gli ultimi. Un’analisi e un progetto che non tiene conto di quanto è
avvenuto nel corso del Novecento, segnatamente negli anni Trenta.
Non
voglio richiamare l’attenzione sulla vexata
quæstio del rapporto tra struttura e sovrastruttura, e tuttavia ogni tanto
bisognerebbe rivolgere l’attenzione anche da quelle parti se proprio non si
vuole continuare a discutere del dito che indica la luna. E due parole
andrebbero spese pure a riguardo del riformismo e del suo gemello, l’opportunismo.
Dimostrando quanto riformismo e opportunismo siano stati legati al ciclo
economico, laddove, specie in Italia, si è creduto di poter dare a molti, in
cambio del consenso politico, una scrivania dove appoggiarci il giornale e la
pensione a 50anni.
Illuminante,
a tale riguardo, è quanto scriveva Engels a Karl Kautsky, il 12 settembre 1882:
«Lei mi chiede che cosa pensano gli
operai inglesi sulla politica coloniale. Bene, esattamente ciò che pensano di
ogni politica: ciò che pensa la borghesia. Qui, dopo tutto, non c’è un partito
operaio, ci sono solo i conservatori e i liberal-radicali, e i lavoratori partecipano
allegramente del monopolio inglese del mercato mondiale e delle colonie
dell’Inghilterra e del suo monopolio sul mercato mondiale».
È
venuta la crisi, che modella la realtà e i soggetti. Essa ha mostrato, non
ancora a tutti per la verità, quale sia la reale natura di questo sistema
economico. Il tempo, si sa, è galantuomo. La borghesia italiana e il buon
italiano medio devono sperare che la Bce continui a comprare la nostra
spazzatura in modo da poter pagare stipendi pubblici e pensioni, che l’ombrello
dell’euro regga ancora, che arrivi il più tardi possibile lo scoppio della
prossima bolla finanziaria, insomma che continui il miracolo infarcito delle
più triviali menzogne sulle sorti magnifiche e progressive del riformismo.
come per il fascismo si punta a che il sistema sembri eterno per la durata di una generazione. E basta.
RispondiEliminaI 'social',l'immaginario della crescita infinita, l'uniformità crescente negli stili di vita e di consumo, sono tutti fenomeni che hanno unificato a forza il pianeta e sono penetrati nella psiche di milioni di persone.Almeno per la sua parte 'inquinante' occidentale.
RispondiEliminaQualcuno può teorizzare profitti crescenti ad infinito in un mondo miserabilmente finito?Pare di sì.La normalizzazione sarà inevitabile a meno che la Storia non ci riservi una soluzione non lineare.
Del resto ognuno di noi annaffia serafico le proprie illusioni, a cominciare da coloro che affermano solennemente di non averne affatto.