Domenica pomeriggio, entrando in un bar, dove fanno
un ottimo punch alle mele (analcolico), sentivamo gracchiare alla radio queste
parole: “… i due portieri sono rimasti disoccupati”. Mi è stato facile
osservare che ciò non è dipeso né dalla crisi e nemmeno dall’introduzione di
nuove tecnologie.
La questione del lavoro è maledettamente drammatica.
Quando sento dire da certi cosiddetti imprenditori che non trovano
forza-lavoro, pur in cambio di un salario (pensi, signora contessa!), mi girano
le scatole poiché conosco molto bene qual è la realtà. Un esempio concreto. Una
giovane donna è assunta come stagista da un’azienda con 110mil. di fatturato, a
pochissimi euro l’ora (non dico quanti perché non credereste) pagati dalla
Regione. Un’ottima persona, anche sotto il profilo professionale e tuttavia
viene posta “in libertà” non appena finiscono i contributi regionali. Sotto
un’altra, poi un’altra ancora. Conosco personalmente decine di questi casi. Non
parliamo poi degli studi professionali, tipo notai, avvocati, architetti, ecc..
In una società appena decente, che abbia un senso, dove
sia data la possibilità di una qualche libertà e sovranità effettiva, dove il lavoro non esista solo per i
bisogni di valorizzazione del capitale, l’orario di lavoro dovrebbe essere
ridotto in modo drastico, cosicché anche Ichino, Fornero, Alesina, Renzi, possano essere avviati a svolgere un lavoro vero. E così altre gang del pensiero neoliberista che operano nei
parlamenti, nei ministeri, nelle redazioni dei media e nei dipartimenti
universitari. Dopo una sola giornata in fabbrica le loro granitiche certezze,
che molto hanno sedotto, mostrerebbero vistose crepe. Scrivevo nel titolo di un
post recente che l’anima del borghese è l’anima della sua classe sociale, così
come, soggiungo, l’anima del capitalista è l’anima del capitale.
Entro il prossimo decennio, i nodi verranno al
pettine e, c’è da scommetterci, non sarà un bel vedere.
RispondiEliminala riduzione generalizzata dell'orario di lavoro equivale ad un innalzamento generalizzato del costo del lavoro. Di fronte a questa evenienza il capitale reagisce sempre in 3 modi diversi: aumento del lavoro nero, diminuzione della domanda di lavoro (attraverso l'incremento dell'automazione) , delocalizzazioni. Dopodiché il capitale si mette in una posizione di forza tale da, in un primo momento, neutralizzare i sindacati e poi di imporre allo stato dei provvedimenti normativi e delle sovvenzioni all'occupazione ("pagati dalla regione" ) che riporteranno in poco tempo il costo del lavoro per le imprese al livello di partenza. Questo non significa che non si debba fare ma significa che prima di farlo bisogna avere pronta la risposta da dare alla reazione scontata del capitale. L'unica risposta possibile è che lo stato metta direttamente le mani nella produzione. Questo si può fare a patto che ci sia uno stato che goda di sovranità economica e a patto di uscire dal paradigma della crescita illimitata (dei consumi o della produzione). La prima condizione è ovvia, la seconda condizione è necessaria se non si vuole ritrovarsi in poco tempo con un settore statale in preda delle stesse contraddizioni del sistema privato e se si vuole preservare la democrazia. In altre parole lo stato dovrebbe abbandonare l'obiettivo della crescita (comunque intesa), l'obiettivo inutile e anacronistico della piena occupazione, e concentrarsi sull'obiettivo di fornire a tutti i cittadini un insieme di valori d'uso fissato a priori e tendenzialmente costante nel tempo. La qualità e quantità di questi valori d'uso sono naturalmente determinati storicamente.
[..] Dopo una sola giornata in fabbrica... [...]
EliminaAnche con la vanga, mentre allargherei le categorie, riconsiderando il tema dei lavori usuranti.
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Il programma ha un discreto margine di condivisibilità, ci si può confrontare invece sul cronoprogramma.
Lo Stato (quale articolazione politica dello stesso?) avrebbe
il compito più 'facile' se i cittadini - la maggior parte dei cittadini) - ripensasse l'obiettivo della crescita e relativi consumi attraverso un percorso autonomo piuttosto che attraverso la catechesi statale o peggio la barbarie. Insieme di valori condiviso più che imposto, quello forse che aveva la maggior parte di noi quando eravamo tutti con meno soldi, più semplici e modesti.
Non sono così convinto che i tempi del superamento del Sistema vadano di pari passo con quelli del recupero dei suddetti valori: tempi apocalittici ma forse non per questo impossibili.
Non li vivrò, spero solo che i nodi al pettine non siano eccessivamente dolorosi, alla Pensione ci tengo.
recupero dei valori? non ci credo
EliminaNeppure io ci credo.
EliminaParadossalmente sarà forse più realizzabile una 'trasformazione' economica che non il recupero dei valori.
Dobbiamo ripartire ancora dal ripristino del
'buongiorno' con 'grazie e prego'.
Cammino lungo e tortuoso a slalom nei 'social'.
Multinazionali in europa: mille miliardi di evasione fiscale legale all'anno.
RispondiEliminaPARADISI FISCALI
http://www.pandoratv.it/
E tutti i soloni che si stracciano le vesti per tagliare questo e quest'altro non una parola...
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