Di seguito alcuni dati relativi all’isola: ha una superficie di 52 km, è a 14 miglia nautiche da porto Torres, dunque nella parte nord occidentale della Sardegna, raggiunge la massima lunghezza (in linea retta da punta Salippe alla settentrionale punta dello Scorno) di 17 km e mezzo, e la massima larghezza (da punta Crabara a punta Gian Maria Cucco) di 7 km. Possiede 110 km di coste, la quota più elevata, citata anche nell’articolo di Napolitano, è quella di punta della Scomunica (408 m). Prevalentemente arbustiva è dominata da venti di est e di nord-ovest, e il suo clima è molto mite.
Dato il suo completo isolamento fu scelta come stazione sanitaria e come colonia penale agricola. A Cala d’Oliva è la direzione della colonia penale e residenza del personale di custodia. Lì vi era anche la parrocchia e l’ufficio telegrafico. Da Cala d’Oliva, seguendo verso sud una strada costiera sinuosa, si giungeva al lazzaretto o Cala Reale. Prima di giungervi, appena passata punta del Trabuccato, s’incontrano dei fabbricati, costruiti in origine nel 1885 quali stazioni sanitarie per il periodo di quarantena per le persone sbarcate sull’isola. Tali caseggiati, erano stati, fino al dicembre 1915, occupati in parte da ergastolani e dal relativo personale di custodia, altri adibiti a magazzino, altri ancora lasciati vuoti. Seguendo la strada che passa per Cala Reale si giunge a Campo Perdu, Stretti, Tumbarino e Fornelli.
I reclusi vi coltivavano poche cose: alcuni vigneti, qualche campo di frumento e biada, e già era in numero ridotto la presenza degli asinelli bianchi dagli occhi azzurri che vivevano allo stato brado nelle alture. A quei tempi i mezzi di collegamento con la Sardegna erano a vela, compreso il servizio postale giornaliero nella tratta Cala Reale – Porto Torres, quando il mare lo permetteva. Ogni martedì però, a Cala d’Oliva, giungeva il postale proveniente da Genova – Livorno – Caprera – Maddalena – Porto Torres. E il giovedì vi faceva scalo quello proveniente da Cagliari per Alghero. L’approdo però a Cala d’Oliva era facoltativo. Poi c’era la navetta cisterna Dora, che riforniva d’acqua, assai scarsa nell’isola. Insomma, una bellezza inconsolabile, soprattutto se non a scopi turistici.
Sennonché nel 1915-’16 l’Italia si fece carico dei prigionieri austro-ungarici, ma non di quelli provenienti dal fronte italiano, bensì di quelli catturati dai serbi e che nella loro ritirata, sotto l’incalzare asburgico, i soldati di re Pietro traevano con sé fin verso l’Adriatico, cioè fino al porto di Valona, dove, raccolti e imbarcati su navi italiane, furono poi inviati in l’Italia. I più fortunati, si dovrebbe dire, poiché furono migliaia coloro che morirono nella marcia da Niš a Valona (Vlora).
Dove si sarebbero potuti alloggiare, nutrire, curare e sorvegliare questi prigionieri? Non in una qualche sperduta isola, sicuramente, viste le loro condizioni a dir poco “pietose” e “miserande”, come ebbe a suo tempo a rilevare chi li vide imbarcare a Valona. L’ordine di predisporre l’Asinara a ricevere i prigionieri giunse di pochi giorni l’arrivo degli stessi sull’isola.
Il 16 dicembre, periodo ideale per questo tipo di escursioni, su ordine del comando della legione di Cagliari, giunse sull’isola il capitano dei carabinieri reali Curti Giardino (che non ho conosciuto) con sedici militi, il capitano di commissariato Ulleri ed il ragioniere del genio sig. Canessa, i quali avevano l’incarico di predisporre ai bisogni, inizialmente, dei 5 o 6 mila prigionieri in arrivo! Alla ricezione dei materiali necessari, diciamo così, fu inviato il giorno 14 a Porto Torres il sottotenente Scano.
Nel pomeriggio del giorno 17, giunsero nell’isola il ten. col. della riserva Efisio Paulis, il quale assunse il comando del costituendo presidio, e il comm. Giuseppe Druetti, medico provinciale di seconda classe, quale ispettore di sanità pubblica, quindi il cav. Paolo Brigida, medico di terza classe, ed il dott. Raimondi, medico di porto. Restava da provvedere alla sorveglianza dei prigionieri e alla sicurezza dell’isola, e perciò un fatto sbarcare il giorno 18 la 3^ compagnia del 319° btg. territoriale (immaginiamo costituita da quali scarti della leva), con un tenente e tre sottotenenti.
Ma già dei prigionieri, quel mattino stesso, erano giunti con i piroscafi Alighieri e America, in totale 3.716 uomini di cui 635 ufficiali. Durante la traversata si erano verificati dieci decessi. Uno dei primi problemi che si presentarono, non il più grave però, fu quello delle lingue. Incomprensibili non solo, immaginiamo, al dott. Efisio Paulis, ma incomprensibili anche ai prigionieri stessi, di diverse nazionalità, per cui le traduzioni che si poterono rimediare portarono confusione sui nomi che non di rado furono completamente cambiati.