martedì 21 febbraio 2012

Se non è zuppa è pan bagnato


Sostiene Rossana Rossanda che oggi essere comunisti non è facile. Se è per questo, è sempre stato difficile essere comunisti e Rossanda lo sa meglio di tanti altri. L’anima critica del Manifesto soggiunge: “È appunto nostro compito chiarire che cosa intendiamo nel dirci comunisti, o perché non si possa dirlo più. Io credo che, almeno nei tempi brevi, non si possa dirlo più. E non perché il sistema mondializzato sia diventato più umano, condiviso e condivisibile, meno feroce, più pacifico perché libero e un po' meno inegualitario, cosa che non vuol dire conformizzato”. E allora perché? Secondo me non lo dice, o almeno non l’esplicita qui chiaramente, ma tuttavia afferma almeno a grandi linee cosa vuol dire essere comunisti o almeno anticapitalisti: “un comunismo che poco ha a che vedere con i 'socialismi reali', ma che realizzi un cambiamento del vivere e del produrre e che facendolo realizzi un più di libertà politica”.

Il punto critico della questione non sta solo nel fallimento dei “socialismi reali”, anche se è da quelle eseprienze storiche e dalla loro conclusione che bisogna partire. E cioè dal diffondersi di due convincimenti: il primo riguarda l'identificazione di quelle società come effettiva concretizzazione degli ideali che avevano ispirato il movimento comunista internazionale. Il secondo convincimento, conseguente e abilmente alimentato dalle forze reazionarie, riguarda tali eseperienze come la dimostrazione pratica circa l’impossibilità stessa del comunismo come progetto di una società libera e democratica diversa dal capitalismo.

Il danno di quelle esperienze è stato dunque doppio, sia dal lato pratico che teorico. E qui entra in gioco la responsabilità storica della sinistra occidentale, decisiva nel fatto che essa, pur con tutti i distinguo del caso, ha identificato troppo a lungo e insistentemente il “socialismo reale” e i sistemi consimili come effettive realizzazioni, per quanto imperfette e perfettibili, del comunismo o di qualcosa che gli assomigliava molto da vicino. Quindi ha lasciato passare l'idea che la statalizzazione dei mezzi di produzione e anzi di ogni tipo di proprietà, compresa la piccola proprietà ancora vigente durante la Nep, potesse venir giudicata come l’inverarsi di presunti, ma in effetti inesistenti, precetti teorici marxiani di cui al ben noto, per esempio, fraintendimento sul significato del concetto di "dittatura del proletariato".

Tuttavia, ora, oltre che una questione di sostantivi e di percezione, si tratta di un problema di risposte. E anche qui bisogna guardare agli errori del passato. L’aver tardato da parte di molti, da un lato di fare i conti fino in fondo con i “socialismi reali”, e dall’altro l’aver cercato formule di compromesso con il capitalismo e le sue seduzioni, ha portato a trascurare l’importanza della proposta strategica comunista, ossia di un progetto sociale ed economico di alternativa radicale e a tutto campo che solo la teoria marxista è in grado di offrire proprio a partire dalla critica delle esperienze novecentesche.

8 commenti:

  1. Credo che il grosso errore dei partiti rivoluzionari odierni sia, fondamentalmente, quello di portarsi dietro una simbologia e un linguaggio "storicamente determinato", relativo all'Ottocento e al primo Novecento, e dunque molto poco, appunto, seducente per studenti e moderni proletari. E' un grosso limite, perché purtroppo oggigiorno il linguaggio, la comunicazione, il contenitore, insomma, l'estetica, sono molto importanti. Ma vengono sottovalutati, e la destra, furba, ne approfitta, portandosi dietro tanti giovani alle prime esperienze politiche.
    Che fare? Svecchiarsi senza perdere i contenuti. Cavolo, se l'ha fatto la Chiesa, potranno farlo anche i partiti rivoluzionari, anche i marxisti, o no? E' così difficile? Su Bentornata Bandiera Rossa c'era un post in merito (http://bentornatabandierarossa.blogspot.com/2012/01/perche-il-marxismo-non-ha-piu-il.html). Lo condivido in larga parte.
    Saluti

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  2. Credo che, oltre al nome (forma), la Rossanda chieda anche una nuova prassi (sostanza) che consenta ai "comunisti" l'accesso al potere - visto che le due strade maestre (elezioni o rivoluzione) non permettono ad essi di accedervi.

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  3. Comunista è un appellativo che non ho mai riferito a me stesso. Prima ancora di eventuali remore a indossarlo, penso a quel simbolo sulla bandiera rossa. Ci sono una falce e un martello, attrezzi di lavoro di un contadino e un operaio.
    Ho svolto anche lavori manuali, ma specialmente d'intelletto, quindi non penso di avere tutto il diritto di fregiarmi dell'appellativo "comunista".
    Ritengo che il più grande tradimento ai lavoratori sia venuto non tanto dal capitalismo e dalla società consumistica, quanto dai nuovi interpreti laboriosi di questa scena: gli impiegati.
    Troppo spesso, purtroppo, i colletti bianchi utilizzano l'intelletto per perseguire fini individuali anziché mettersi al servizio di chi ha i calli sulle mani e indossa una tuta.
    Ne scrissi a riguardo sul mio blog.
    Per me non conta tanto volerlo essere o meno. Conta di più poterlo essere. "Comunista" per me significa la forza lavoro: fisica, nobile, mentalmente pulita, con un'intelligenza schietta e senza intellettualismi ingannevoli.
    Detesto la forza bruta, strumento dei nemici di ogni sviluppo sociale. Ma anche il troppo intelletto, da aria condizionata e "pacatamente" veltroniano, estraneo al sudore della fronte.
    Così, un'esternazione. Forse ho un poco sproloquiato, ma vabbeh, non muore nessuno ;)

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  4. @ mauro: avevo letto il post, a mio avviso è concettualmente confuso, fondamentalmente sbagliato. per es: il marxismo è una scienza, eccome, l'unica scienza sociale che ci permette di comprendere correttamente i processi storico-sociali. il paragone tra Marx e Galileo non è appropiato: galileo è il fondatore di un metodo scientifico applicato alle scienze fisiche, marx è lo scopritore di un metodo che ci permette di intendere la relatà nel suo insieme. eccetera

    ciao

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  5. mi correggo: è il fondatore di un metodo scientifico, sta per: è il fondatore DEL metodo scientifico

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  6. Si Olympe è vero quello che dici ma attenzione, i fisici moderni non userebbero più alcune parti del lessico di Galileo! L'errore è qui: cambiare parti del lessico, non il contenuto. Cambiare l'estetica, il contenitore, non il concetto.
    Da linguista è una cosa molto importante cui tengo e che mi balza agli occhi :)

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  7. Se non è zuppa è panbagnato!

    Se non volete chiamarlo comunismo, chiamatelo marzapane, ma la necessità che sia la collettività a decidere cosa produrre, come produrre, dove produrre e come distribuire, e non la Shell, la Monsanto o Goldman&Sachs (tanto per fare degli esempi), diventa più evidente giorno dopo giorno, crisi dopo crisi, anche tra i molti che non si definirebbero mai comunisti.

    Bisogna continuare a fare informazione(egregia come diciottobrumaio), e porsi di fronte al lavoro di costruire forme di rappresentanza politica - aperte, democratiche, partecipative - che allarghino i fronti, che gettino ponti, evitando di ricadere nei vizi storici del settarismo, e che non siano facilmente smobilitabili da logiche poliziesche (vedi G8 Genova).

    Adelante marzapaneros!

    gianni

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  8. La scienza marxista, nell'analizzare il perché il capitalismo è quello che è, è inoppugnabile. Quello che di cui non ha mai tenuto conto è che l'uomo non è riducibile a mera economia.
    Avidità e volontà di potenza sono equamente distribuiti tra il presidente di Goldman Sachs e l'ultimo barbone. Il problema è sempre lo stesso: chi controlla i controllori?

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