lunedì 13 febbraio 2012

Uno scoop al giorno


Questa mattina un mezzobusto del TG3 parlava della Grecia come “la più antica democrazia”. Deve essersi perso qualcosa, anche di recente. Con lo stesso metro si potrebbe dire che l’Italia, o almeno Roma, è la più antica repubblica europea. Il Corriere della sera invece ha uno scoop ripreso anche da Dagospia (che ovviamente non se ne fa scappare uno). “Le pressioni di Berlino sul governo di Atene per vendere armi sono state denunciate nei giorni scorsi da una stampa tedesca allibita per il cinismo della Merkel, che impone tagli e sacrifici ai cittadini ellenici e poi pretende di favorire l'industria bellica della Germania”.

È un articolo generico che non dice nulla e non offre dati. Esattamente due anni fa, nel mio piccolo, anzi piccolissimo blog, offrivo qualcosa di meglio: QUI. Non c’è che dire, tempestivi questi notisti italiani che hanno bisogno di suggeritori d’oltralpe.

* * *

Se ti chiami Jean Louis Marie Ghislain De Cartier De Marchienne, multimiliardario svizzero, puoi essere responsabile di 2.191 morti e cavartela con 16 anni di galera. Non scontandone nessuno perché nel frattempo hai 89 anni e inoltre siamo ancora al primo grado. Se invece ti chiami Stephan Schmidheiney, sempre per lo stesso motivo puoi sperare nel processo d’appello, poi in quello di Cassazione e magari, perché no, nella prescrizione. C’è un documento agli atti del processo, dal titolo Mechanism fo the processing of asbestos related claims in Italy, in cui si legge «A partire dall’inizio del 1984 la strategia di comunicazione sul caso Eternit in Italia ha avuto e ha ancora solo un obiettivo generale molto chiaro: tenere l’azionista finale (cioè l’holding svizzera e in ultimo Stephan Schmidheiny) per quanto possibile fuori del caso».

Che l’asbesto fosse cancerogeno si sapeva da tempo, ma in Italia la grande stampa aveva da seguire Canzonissima e Sanremo. Nel 1976, Stephan Schmideiny  riunisce i suoi 35 top manager della Eternit e compie una svolta nella strategia comunicativa stabilendo che l’amianto ”può far male solo se ne si abusa, l’alternativa delle zero fibre di amianto inalabili nell’aria deve rendere tutti consapevoli che condurrebbe la chiusura delle fabbriche e tanta disoccupazione”. Il solito ricatto occupazionale.

Conclude il magistrato: «La decisione di passare dalle lavorazioni a secco, molto polverose, a quelle parzialmente a umido non fu presa da Schmidheiny per spirito illuministico ma come concessione inevitabile di fronte alla prime reazioni dell’opinione pubblica sulla pericolosità dell’amianto e per tener vivo il business di quella produzione». Si era all’inizio degli anni 70, nel 1980 si raggiunse il picco della produzione mondiale di amianto con 4.811.942 tonnellate. Tredici anni dopo, vietato l’amianto in quasi tutti i paesi più industrializzati, si continuano a produrne oltre 2 milioni di tonnellate destinate ai «paesi in via di sviluppo» e in particolare a far crescere le bidonville attorno alle nuove megalopoli del mondo.

Già allora dicevano che gli operai italiani non erano competitivi e anche oggi vorrebbero che crepassero a livelli cinesi.

Nessun commento:

Posta un commento