Per non fare come Brüning, Monti dovrebbe pensare come Keynes. E favorire un ampliamento dei consumi di massa Monti come Brüning? E' molto convincente l'analogia con il penultimo Cancelliere della Germania prima di Hitler, che ne facilitò l'ascesa con una politica fiscale di tagli nel pieno della Grande Depressione. Ma Monti lo sa? Forse lo sospetta.
Questo spiegherebbe l'enfasi sulle misure di liberalizzazione. In parte sicuramente ci crede, pensa davvero che più concorrenza possa far ripartire l'economia. In questo confortato da calcoli della Banca d'Italia, che sostengono che nel lungo periodo queste misure generebbero un aumento della crescita del paese. Ma quanto lungo sarebbe questo periodo: venti, trent'anni? Ma la crisi è oggi. Né Monti né la Banca d'Italia sembrano capire che, ammesso che funzionino, misure come queste sono come aggiustare la carrozzeria di un'automobile.
Questo spiegherebbe l'enfasi sulle misure di liberalizzazione. In parte sicuramente ci crede, pensa davvero che più concorrenza possa far ripartire l'economia. In questo confortato da calcoli della Banca d'Italia, che sostengono che nel lungo periodo queste misure generebbero un aumento della crescita del paese. Ma quanto lungo sarebbe questo periodo: venti, trent'anni? Ma la crisi è oggi. Né Monti né la Banca d'Italia sembrano capire che, ammesso che funzionino, misure come queste sono come aggiustare la carrozzeria di un'automobile.
Certo, con una carrozzeria in uno stato migliore un'automobile va meglio. Ma se il motore è fermo, aggiustare la carrozzeria magari fino a farla splendere non fa ripartire il motore.
Non vi è dubbio che Monti sia preoccupato del motore. Le sue richieste di sostegno alla Merkel lo dimostrano. Ma la risposta non è incoraggiante. A parte il primo sgarbo, «l'Italia è in grado di fare da sola», le voci di una richiesta tedesca di commissariare il governo greco, avocandone le decisioni sul bilancio dello Stato sembrano proprio una risposta indiretta. Ecco una ragione per cui il governo Monti si sta affidando alle liberalizzazioni come a una ciambella di salvataggio. Forse pensando che se riuscisse a convincere gli italiani che queste misure servono, la riacquistata fiducia possa far ripartire l'economia. Ma la fiducia deve avere basi oggettive. Ci deve essere una capacità di spesa, la fiducia non basta. E se anche le liberalizzazioni facessero risparmiare qualcosa alle famiglie, ricordiamo che tutto ciò che le famiglie risparmiano pagando meno, i venditori lo perdono, se non ci sono nuovi investimenti.
Ciò di cui il paese ha bisogno è la ripresa di consumi di massa, perché quelli di lusso non sono rallentati. Innanzitutto bisognerebbe che la lotta all'evasione fosse concentrata programmaticamente sui redditi alti; perché catturare la piccola evasione aggrava la depressione. E ci vorrebbe il coraggio di devolvere gli eventuali guadagni nella lotta all'evasione a spese per investimenti diffusi e necessari per riparare i guasti che la scarsa manutenzione ha inflitto a tutte le infrastrutture quotidiane del paese: dai vagoni ferroviari, alle scuole, le fognature, gli acquedotti etc., magari utilizzando finanziamenti fuori bilancio della Cassa Depositi e Prestiti. Tremonti li voleva utilizzare per fare scalate. Perché non usarli per investimenti? Se catturo redditi alti evasi, chi già le tasse le paga non è danneggiato se temporaneamente queste entrate vengono spese. E' ora di finirla con il tabù degli sgravi fiscali. Pochi soldi a tutti non garantiscono una ripresa. Invece la ripresa garantisce qualcosa a tutti.
Ma la debolezza maggiore della linea liberalizzatrice sta nella diagnosi 'morale' del male italiano. «Per vivere fuori della legge bisogna essere onesti» aveva cantato Bob Dylan. Ce lo ha ricordato un commento inglese alla vicenda Schettino: «La preferenza italiana per regole non scritte fa sì che questa società burocratizzata appaia estremamente libera». Si può fare senza supervisione solo se vengono sentiti obblighi vincolanti nei confronti degli altri. E' esattamente ciò che manca in Italia.
Non vi è dubbio che Monti sia preoccupato del motore. Le sue richieste di sostegno alla Merkel lo dimostrano. Ma la risposta non è incoraggiante. A parte il primo sgarbo, «l'Italia è in grado di fare da sola», le voci di una richiesta tedesca di commissariare il governo greco, avocandone le decisioni sul bilancio dello Stato sembrano proprio una risposta indiretta. Ecco una ragione per cui il governo Monti si sta affidando alle liberalizzazioni come a una ciambella di salvataggio. Forse pensando che se riuscisse a convincere gli italiani che queste misure servono, la riacquistata fiducia possa far ripartire l'economia. Ma la fiducia deve avere basi oggettive. Ci deve essere una capacità di spesa, la fiducia non basta. E se anche le liberalizzazioni facessero risparmiare qualcosa alle famiglie, ricordiamo che tutto ciò che le famiglie risparmiano pagando meno, i venditori lo perdono, se non ci sono nuovi investimenti.
Ciò di cui il paese ha bisogno è la ripresa di consumi di massa, perché quelli di lusso non sono rallentati. Innanzitutto bisognerebbe che la lotta all'evasione fosse concentrata programmaticamente sui redditi alti; perché catturare la piccola evasione aggrava la depressione. E ci vorrebbe il coraggio di devolvere gli eventuali guadagni nella lotta all'evasione a spese per investimenti diffusi e necessari per riparare i guasti che la scarsa manutenzione ha inflitto a tutte le infrastrutture quotidiane del paese: dai vagoni ferroviari, alle scuole, le fognature, gli acquedotti etc., magari utilizzando finanziamenti fuori bilancio della Cassa Depositi e Prestiti. Tremonti li voleva utilizzare per fare scalate. Perché non usarli per investimenti? Se catturo redditi alti evasi, chi già le tasse le paga non è danneggiato se temporaneamente queste entrate vengono spese. E' ora di finirla con il tabù degli sgravi fiscali. Pochi soldi a tutti non garantiscono una ripresa. Invece la ripresa garantisce qualcosa a tutti.
Ma la debolezza maggiore della linea liberalizzatrice sta nella diagnosi 'morale' del male italiano. «Per vivere fuori della legge bisogna essere onesti» aveva cantato Bob Dylan. Ce lo ha ricordato un commento inglese alla vicenda Schettino: «La preferenza italiana per regole non scritte fa sì che questa società burocratizzata appaia estremamente libera». Si può fare senza supervisione solo se vengono sentiti obblighi vincolanti nei confronti degli altri. E' esattamente ciò che manca in Italia.
Quello che ha bloccato la crescita in Italia non è stata certo l'eccesso di regole, i 'lacci e lacciuoli' di enaudiana memoria, bensì l'assenza di senso di responsabilità verso il paese, giustificata dal presunto eccesso di vincoli, peraltro ineffettuali, come dimostrano i ripetuti disastri, edilizi, ambientali etc., che il caso Schettino riassume emblematicamente. E' l'assenza di vincoli sul costo del lavoro che ha rallentato gli investimenti in innovazione e ridotta la competitività: parola di Banca d'Italia. E' l'assenza di controlli che ha fatto lievitare gli appalti pubblici e il deficit; che ha permesso una crescita dei prezzi dopo l'introduzione dell'euro, come in nessun altro paese, frenando la domanda interna; che ha trasformato le privatizzazioni, che si diceva dovessero aumentare la concorrenza a favore dei consumatori, in macchine oligopolistiche di erosione del potere d'acquisto degli italiani.
Il vero punto d'arrivo della strategia liberalizzatrice è più flessibilità del lavoro, che però ne facilita solo l'uscita. In entrata conta la domanda, non la flessibilità. Chi lo sostiene confonde lo spostamento di occupazione da un ramo all'altro con la crescita dell'occupazione complessiva. Se non vorrà assomigliare troppo a Brüning, sarà meglio che il presidente Monti metta da parte Einaudi, che non aveva capito nulla della Grande Depressione: parola di Giovanni Agnelli, il nonno dell'Avvocato. E che magari si rilegga il Keynes delle polemiche contro la «flessibilità» negli anni Trenta.
Il vero punto d'arrivo della strategia liberalizzatrice è più flessibilità del lavoro, che però ne facilita solo l'uscita. In entrata conta la domanda, non la flessibilità. Chi lo sostiene confonde lo spostamento di occupazione da un ramo all'altro con la crescita dell'occupazione complessiva. Se non vorrà assomigliare troppo a Brüning, sarà meglio che il presidente Monti metta da parte Einaudi, che non aveva capito nulla della Grande Depressione: parola di Giovanni Agnelli, il nonno dell'Avvocato. E che magari si rilegga il Keynes delle polemiche contro la «flessibilità» negli anni Trenta.
Monti a Matrix: "Il giovani dovranno rassegnarsi al fatto che il posto fisso non l'avranno MAI. D'altronde il posto fisso è una tale monotonia, meglio cambiare".
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