domenica 28 novembre 2021

Ciò che comunemente si rifiuta di capire


Notare l’uso del verbo “somministrare”. Come se l’informazione fosse una cosa necessaria ma anche dannosa, da dosare con moderazione e soprattutto sotto controllo dall’alto: ciò che si può dire e ciò che è meglio tacere per evitare l’esplosione delle contraddizioni e il collasso della materia sociale.

Ciò che comunemente si rifiuta di capire è che nella sua forma ideale totalmente compiuta questo sistema è l’antitesi della democrazia. La pandemia sta portando in superficie solo lo strato superficiale della “massa critica”, delle tendenze catastrofiche del rapporto sociale dominante (ma già questo, mi rendo conto, richiede uno sforzo di analisi e di comprensione in più).

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Così come l’informazione, anche i vaccini sono merci, valori economici come il petrolio, l’acqua, l’uranio o la terra, dunque rappresentano una questione politica e geostrategica della massima rilevanza, materie prime per le quali si contende su scala globale. Si è visto per i vaccini all’inizio di quest’anno in Europa; si palesa a ogni stormir di variante virale per quanto riguarda l’Africa e qualsiasi altro angolo buio del pianeta. Per quanto riguarda l’informazione, contrariamente alle apparenze, è la lotta di sempre. Perciò è tanto più necessario far dire e scrivere cose adeguate alle esigenze politiche ed economiche del momento.

Perché illudersi che in questo mondo (così come in quello del passato) l’informazione possa essere neutrale, “libera”? Facciamo un esempio: “sta piovendo”. Affermazione breve, assertiva e verificabile, quante altre mai. Non induce alcuna difficoltà nella comprensione immediata. Solo che, a seconda che tu sia in Italia, in India o nel Sahara, “piove” non significa la stessa cosa. Nella stessa Italia, secondo le contingenze indotte dalla crisi climatica, può significare cose diverse (non l’acqua che scende dal cielo, spero sia chiaro).

“È guerra”. Detto così, non è chiaro con chi si sta parlando né di che cosa esattamente. Solo che se vivi in Yemen, in Ucraina, in Siria, diversamente dall’Europa occidentale, il significato di questa “informazione” non è necessariamente lo stesso. Il significato dipende quindi dal contesto geografico, sociale, politico, economico, anche storico. Tante variabili. Dipende da chi trasmette le informazioni, da dove provengono, chi le riceve, dove vive, eccetera.

Per tutte le nostre quotidiane attività, lavorare, mangiare, amare, ci vogliono informazioni. Conoscere quali sono gli orari dei treni, di apertura del supermercato, e altre essenzialità di questo e di altro tipo. Per garantire la nostra sicurezza è lo stesso. C’è un pericolo da qualche parte? Da dove viene? Di che ordine? Se e quando può manifestarsi? Maggiore è la scala dei bisogni, tante più sono le informazioni dettagliate e affidabili di cui abbiamo bisogno (se possibile). È una delle cose che ci permette di essere parte di un tutto. Ecco perché si lotta per l’informazione.

Il controllo sull’informazione (intesa nell’accezione più ampia, semiotica), sul flusso tempestoso della comunicazione sociale, è potere sulle coscienze, sul nostro modo di esprimerci, sulle nostre idee, quindi sull’inestinguibile e sempre sapientemente rinnovato desiderio di avere per essere, insomma potere nella direzione dei nostri comportamenti e nella morsa degli eventi.

Tutto ciò fa parte dei primi livelli dell’informazione, o, come dicono alcuni, dei sistemi di segnalazione più basilari. C’è dell’altro, che qui per brevità non prenderò in considerazione, se non per rilevare quale importanza ha l’informazione che diventa ideologia e agisce sul nostro monologo interiore, laddove i processi sociali esterni si trasferiscono al nostro interno (altro che microchip sottopelle). È in tale sede che le idee, così apparentemente innocue, si radicano e diventano forze materiali della conservazione. In nessun caso siamo spettatori neutrali.

Nei rapporti uomo/donna, come in quegli amicali e ricreativi, nei luoghi di lavoro, ovunque, le idee dominanti cercheranno insistentemente un varco per penetrare nelle coscienze individuali e programmare, controllare, da quell’avvaposto, i comportamenti.

Pertanto, le molte teorie del complotto si rifiutano di vedere che la realtà è di solito molto più semplice delle loro fantasie, ma intellettualmente è più difficile da cogliere.

Morto Mario Monti, se ne faranno altri cento. Il problema non è rappresentato dai singoli agenti di questo sistema, per quanto la loro responsabilità individuale possa essere, a tempo debito, accertata e giudicata. Allora che si fa? È necessario togliere loro il potere, anzitutto quello economico. Come e per affidarlo a chi? Sono questioni che vanno affrontate in sede di realtà storica concreta, non ex ante con un articolo e nemmeno con mille libri inneggianti a immaginarie rivoluzioni da tenersi qui e ora in nome di un feticcio.

Se necessitate d’illusioni pronta cassa che vi aiutino a tirare avanti, per motivi di equilibrio psichico o altro, non sarà certo qui che le troverete, per quanto, a volte, indulga ad amene digressioni per tirare la giornata.

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