Senza esibizioni pubbliche, forse, ma domani sarà festa in certi ambienti. Giusto cent’anni fa, il diciotto brumaio 1921, fu fondato il Partito nazionale fascista.
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Nel 1919, la borghesia di molti paesi europei aveva pensato che il suo rovesciamento fosse una possibilità, anche imminente. Nel novembre 1918 era scoppiata la rivoluzione in Germania, costringendo l’imperatore a fuggire, portando al potere i socialdemocratici e determinando la fine della prima guerra mondiale. Nel marzo 1919 fu proclamata una Repubblica sovietica in Ungheria. Nello stesso anno, il grande sciopero dell’acciaio scosse gli Stati Uniti. In Italia, nel settembre 1920 erano iniziati scioperi e occupazione delle fabbriche. Nel dicembre 1920, la Cecoslovacchia fu sconvolta da scioperi di massa.
Nonostante la portata storica senza precedenti del movimento rivoluzionario in Europa, da nessuna parte la classe operaia fu in grado di emulare con successo l’esempio della Russia. In Germania, la rivolta del movimento spartachista fu repressa e i suoi leader, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, assassinati il 15 gennaio 1919 con il placet del regime socialdemocratico. A marzo, la controrivoluzione, con la benedizione della Seconda Internazionale, rovesciò il governo sovietico di Monaco e il suo leader, Eugen Levine, assassinato. La Repubblica sovietica ungherese, guidata da Bela Kun, fu rovesciata nel giro di un mese. In Italia, l’offensiva operaia non si trasformò in rivoluzione.
Alla fine del 1920, con l’arretrarsi dell’ondata di scioperi e proteste, la borghesia industriale e gli agrari divennero sempre più sicuri di sé. Individuarono in Mussolini e nel fascismo il mezzo per organizzare una controffensiva violenta che da un lato colpisse le organizzazioni di sinistra e dall’altro favorisse la stabilizzazione politica ed economica.
Le bande armate fasciste attaccavano, saccheggiavano e incendiavano le sedi delle camere del lavoro, dei circoli e delle associazioni, dei giornali di sinistra, intimidivano con pestaggi e omicidi qualsiasi oppositore. La violenza fascista e la difesa da parte delle organizzazioni socialiste e operaie si trasformarono in una guerra civile a bassa intensità all’inizio del 1921. In agosto Mussolini e altri dirigenti fascisti firmavano un patto di pacificazione con il Partito socialista italiano e la Confederazione generale del lavoro. Il patto, tuttavia, fu ignorato dai ras fascisti locali che continuarono l’azione terroristica con le loro formazioni squadriste. Il tentativo di Mussolini di trattenere i suoi seguaci nelle campagne minacciò di dividere il movimento fascista urbano da quello rurale. Mussolini rinunciò al patto di pacificazione il 15 novembre.
Quale lezione storica trarre? La borghesia, pur trovandosi in totale contraddizione con le esigenze del progresso storico e della sopravvivenza della nostra civiltà, tuttavia resta la classe più potente e decisiva. Anche se moralmente marcia e politicamente in crisi, ha una lunga esperienza di strategia di classe. Sappiamo come agì nel primo dopoguerra, l’abbiamo sperimentato nei decenni 1960-1970, lo viviamo disperatamente oggi. I padroni sanno come raggiunge certi obiettivi proprio nei momenti in cui il loro potere è più immediatamente minacciato, concentrando forze e risorse, dispiegando mezzi d’inganno, di coercizione e di provocazione.
Che fare? Questo non spetta a me dirlo, sarebbe oltretutto un grave peccato di presunzione. Per andare dove? I processi storici d’abitudine non si conformano alle aspirazioni ideali, tuttavia dobbiamo tener conto che c’è una differenza rispetto al passato: non possiamo più lambiccarci, il tempo stringe, il precipizio non solo è a un passo, ci siamo già con un piede dentro. Nelle coscienze questo fatto è avvertito, si fa strada la convinzione che il riformismo non paga, non dà risposte, non risolve i gravi e irriducibili problemi che ci stanno di fronte.
C’è la necessità e l’urgenza di un cambiamento di prospettiva, di paradigma, e tuttavia la critica e la protesta brancolano ancora nell’ambito dell’ideologia borghese. Protesta e critica diventano laterali, colpiscono solo di striscio, si fissano di volta in volta su un tema, il “clima”, i “diritti civili”, il “reddito”, tutte questioni sacrosante che però prese singolarmente non incidono sulla questione fondamentale, l’assetto economico e i rapporti sociali in cui tutto ciò avviene.
Ecco perché la lotta ideologica diventa essenziale. I padroni del mondo lo sanno, perciò lasciano fare e anzi accarezzano la protesta pacifica e la critica che si esime dal chiamare le cose col loro vero nome. Il capitalismo diventa come il colesterolo: c’è il bene e c’è il male. Quest’ultimo basta tenerlo sotto controllo. In tal modo il capitalismo è banalizzato e nulla della critica e protesta “per temi” potrà cambiare le cose.
Viene da pensare che non cambierà mai nulla se non qualche strato superficiale e insignificante del processo nel suo insieme a mio parere, del resto gli ultimi cento anni lo dimostrano ampiamente, oggi non dovrebbe poi neppure esistere la non informazione o l'ignoranza a schermare quanto sarebbe impellente un drastico cambiamento di rotte.
RispondiEliminaEppure nulla sembra avere la forza di portare un cambio di programma, di direzione, di clima..
Le élite sanno che un minimo va distribuito e lo fanno, ed il popolo sovrano dorme sonni più o meno tranquilli in percentuali che lasciano vivere egregiamente il Sistema, in più un indebolimento del pensiero comune trasforma quelle che un tempo sarebbero sfociate in lotte in zuffe da stadio, io questo vedo se guardo alla società italiana, nel resto del mondo non saprei dire.
Allora mi domando: forse i giovani sono davvero la speranza per il futuro? La mia speranza è che messi con le spalle al muro da qualche catastrofe che purtroppo ci o li investirà i giovani sapranno pensare a qualcosa di diverso, a mio modo di pensare un evento drammatico dovrà comunque prodursi per innescare una reazione, sennò saranno solo click e like a peritura memoria...
Grazie sempre per gli spunti interessanti
Un caro saluto
Roberto
Grazie Roberto, ciao
EliminaMa che cosa è questa borghesia "moralmente marcia"? Chi sono i costituenti di questa elite venefica che inquina il mondo? Secondo la Treccani "elite" è "L’insieme delle persone considerate le più colte e autorevoli in un determinato gruppo sociale, e dotate quindi di maggiore prestigio". Ecco allora che (cito alla rinfusa e solo gli italiani) io dovrei detestare tutti quelli che negli ultimi decenni hanno contribuito a fare di me una persona.
RispondiEliminaClaudio Abbado
Elsa Morante
Umberto Eco
Federico Fellini
Franco Basaglia
Primo Levi
Anna Magnani
Giacomo Manzù
Sandro Penna
Giorgio de Chirico
Sandro Pertini
Maurizio Pollini
Eduardo De Filippo
Rita Levi Montalcini
Federico Caffè
Camilla Cederna
Ludovico Geymonat
e...Olympe de Gouges :)
Mario
non ho scritto "élite", ma "borghesia". Una classe sociale, nel suo insieme, non delle singole personalità della cultura e dell'arte. L'aristocrazia francese settecentesca, per esempio, nel suo insieme era moralmente marcia. Non Voltaire, Diderot, Marie Gouze, ecc..
EliminaConfesso di non avere mai letto un rigo di Sandro Penna.
RispondiEliminariusciremo mai a colmare questa grave lacuna?
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