sabato 16 dicembre 2023

Speranze di redenzione elettorale

 

Il governo dei nostalgici si lusinga di essere l’artefice del calo dell’inflazione. Poco importa che tale fenomeno interessi più o meno tutti i Paesi. Vero è che l’inflazione in Italia cala forse più che altrove, ma questa non dovrebbe essere intesa come una buona notizia da parte dei salariati italiani.

L’aumento o la discesa dell’inflazione dipende da una molteplicità di fattori, ma quello salariale non è certo l’ultimo. N’è ben consapevole Cristina Lagarde, la quale dichiara: «L’inflazione di fondo ha registrato un’ulteriore flessione. Ma le pressioni interne sui prezzi rimangono elevate, principalmente per effetto della forte crescita del costo del lavoro per unità di prodotto.»

Pertanto, l’aumento dei tassi d’interesse serve a togliere “vigore all’economia”. E la Bce ha deciso di non abbassarli per il prossimo futuro. In pratica si punta alla recessione economica pur di toglier “vigore” ai salari. Si chiama lotta di classe, a farla, da decenni, sono solo i padroni e i loro chierici.

L’inflazione ha che fare con le dinamiche della domanda e dell’offerta, dunque con la dinamica salariale, la quale non è una variabile indipendente dei profitti. Questi, possono dipendere dal monopolio in certe sfere della produzione, dunque dalla lotta tra pescecani per la spartizione del plusvalore, ma in ogni caso dal grado di estorsione del plusvalore da chi lo produce materialmente.

Se il tasso di inflazione in Italia cala più che in altri paesi, ciò vuol dire che i salariati hanno meno da spendere, che loro salari sono nettamente inferiori al tasso d’inflazione. Questa, dicevo, non può essere una buona notizia per loro. Tuttavia la ben oliata mecchina di produzione del consenso li porterà, prossimamente, al seggio e a votare per gli artefici di questo miracoloso calo dell’inflazione.

Quanto agli altri, cioè a noi reprobi, con quali mezzi possiamo provare a contestare lo scherzo del destino che ci è toccato? In montagna in questo periodo fa freddo, al più potremmo andare a sciare. E poi, diciamocelo chiaro, questa inflazione ha preso di mira di più le stesse persone: i poveri e i più precari.

I nostalgici che stanno al governo stanno facendo un lavoro il cui prodotto non dispiace a chi in questo Paese ha in mano il potere economico. Gente che se ne frega delle gaffe, degli sproloqui, delle nostalgie fasciste, poiché sono gli eredi, spesso diretti, di quella stessa élite liberale che fu ben contenta di Mussolini per quasi vent’anni.

Quanto alle élite europee, nonostante le opinioni contrarie e i desideri di alcune menti illuminate, non frega un cazzo del colore politico dei governi, l’importante è che non escano troppo dal seminato. A loro andrebbe bene anche il nazionalsocialismo, l’importante è che sia senza socialismo: “La piena occupazione è possibile grazie alla sottomissione totale”.

Ma non voglio annoiare oltre e, nel caso, turbare speranze di redenzione elettorale.

"Un problema persistente"

 

Secondo i calcoli del governo americano, nel gennaio scorso 653.104 persone negli Stati Uniti erano senza casa. Lo riporta il New York Times, in un articolo a firma di Jason DeParle, pubblicato nell’edizione odierna a pagina 15.

Il numero dei senzatetto è continuato a salire quest’anno, a un livello più alto mai registrato, ha riferito il governo federale. Un rapporto ha rilevato che la popolazione dei senzatetto è aumentata di oltre 70.000 persone rispetto all’anno precedente, con un aumento del 12%.

Si tratta del più grande balzo in un anno da quando il Dipartimento per l’edilizia abitativa e lo sviluppo urbano ha iniziato a raccogliere dati nel 2007, e l’aumento ha interessato tutte le fasce della popolazione dei senzatetto.

Scrive il NYT: «Il numero dei senzatetto è cresciuto tra tutti i gruppi monitorati dal governo federale. È aumentato tra gli individui e le famiglie con bambini. È cresciuto tra i giovani e gli anziani. È aumentato tra i senzatetto cronici e tra coloro che entrano nel sistema [di conteggio] per la prima volta. È aumentato anche tra i veterani, il gruppo che negli ultimi anni aveva registrato i cali più marcati, dopo una significativa espansione degli aiuti federali.»

Funzionari dell’amministrazione Biden ed esperti accademici hanno affermato che il dato riflette sia un forte aumento degli affitti sia la fine delle misure straordinarie che il governo aveva adottato durante la pandemia, compresi gli aiuti di emergenza per gli affitti e i divieti di sfratto.

“Le cause più significative sono la carenza di case a prezzi accessibili e l’alto costo degli alloggi”, ha affermato Jeff Olivet, capo dell’Interagency Council on Homelessness degli Stati Uniti.

Dall’inizio della pandemia, il costo degli alloggi di base è aumentato di oltre il 20%, secondo le stime federali.

«Un crescente numero di ricerche ha dimostrato che i crescenti oneri relativi agli affitti portano a un aumento dei senzatetto. Gli aiuti federali per la casa hanno raggiungono solo circa una famiglia su quattro degli aventi diritto, e la percentuale di famiglie che pagano più della metà del proprio reddito per l’alloggio è a un livello record.

Dal 2007 al 2016 il numero dei senzatetto è diminuito ogni anno del 15%. È poi aumentato di circa il 6% negli anni precedenti la pandemia di coronavirus del 2020. L’aumento in un anno di 70.000 persone nel 2023 è più di quattro volte maggiore di qualsiasi aumento precedente.»

La crescita più marcata del numero dei senzatetto si è verificata nelle città più colpite dall’afflusso di migranti, tra cui New York, Denver e Chicago.

“Questo è in parte un problema costruito”, ha affermato Dennis Culhane, professore all’Università della Pennsylvania che è stato a lungo consigliere per il conteggio annuale del governo federale, “perché i migranti avrebbero potuto essere trattati in modo più umano al di fuori del sistema di servizi per senzatetto nelle aree in cui erano arrivati”.

L’aumento dei senzatetto non è comunque dovuto solo all’arrivo di migranti. Allo stesso tempo, si è avuto un forte aumento del numero dei veterani senza casa (+7%) e dei senzatetto cronici (+12%), e ciò suggerisce – scrive sempre il NYT – «che altre cause debbano essere in gioco, perché la recente ondata migratoria non influenzerebbe nessuno dei due gruppi.»

“Sta succedendo qualcos’altro”, ha detto Margot Kushel, direttrice della Benioff Homelessness and Housing Initiative presso l’Università della California, secondo la quale l’inflazione potrebbe essere un fattore: “Se il tuo reddito fosse stabile e tutte le tue spese aumentassero, ciò equivale ad un aumento dell’affitto”.

Jason DeParle, giornalista del NYT, due volte finalista per il Premio Pulitzer, ha scritto ampiamente su povertà, classe sociali e immigrazione. In un altro suo articolo per il NYT, pubblicato l’11 settembre del 2022, scriveva: «Per una generazione o più, gli alti livelli di povertà infantile dell’America la differenziano dalle altre nazioni ricche, lasciando milioni di giovani senza alcun sostegno basilare come cibo e alloggio, mentre è sempre più evidente che le difficoltà lasciano i bambini più poveri, più malati e meno istruiti.»

Tutto ciò è avvenuto nonostante i tassi di povertà infantile siano notevolmente diminuiti dal 1993 (erano 12 milioni i bambini poveri). Resta il fatto, scrive DeParle, che «Più di otto milioni di bambini sono rimasti in povertà e, nonostante i progressi condivisi, i bambini neri e latini hanno circa tre volte più probabilità dei bambini bianchi di essere poveri. Con la soglia di povertà bassa (circa 29.000 dollari per una famiglia di quattro persone in un luogo con un costo della vita tipico), molte famiglie che sfuggono alla povertà in senso statistico sperimentano ancora difficoltà.»

DeParle scrive di un problema persistente: « ... negli ultimi 50 anni non ci sono stati progressi reali su come affrontare la povertà negli Stati Uniti.»

venerdì 15 dicembre 2023

L’Anticristo abita a Washington

 

Un altro Natale di guerra per l’Ucraina, mentre procede l’espulsione dei palestinesi dal lembo di terra chiamato Striscia di Gaza che era loro rimasto, in attesa che ciò accada anche in Cisgiordania. I responsabili di tutto ciò, com’è noto, sono Putin e Hamas. Gli Stati Uniti continuano ad essere i difensori della democrazia e la Nato uno strumento di pace e sicurezza.

Il modo di agire degli Stati Uniti è sempre lo stesso, fin dalla loro fondazione. La loro ingerenza negli affari interni europei, per esempio, risale all’epoca post napoleonica, quando Metternich aveva buon gioco nel replicare a Washington: come potete parlare di libertà quando avete milioni di schiavi in catene?

Ieri, i leader europei hanno dato il via libera ai negoziati di adesione all’UE. Hanno ottenuto l’astensione del primo ministro ungherese Orban. Il quale, scrive il NYT, in cambio ha ottenuto lo sblocco di 10 miliardi di finanziamenti dell’UE congelati a causa della violazione ungherese di alcune regole europee.

I negoziati per aderire al blocco europeo, scrive ancora il NYT, «normalmente impiegano un decennio o più e coinvolgono importanti riforme per allineare un paese candidato alle regole e standard dell’UE, e dunque l’Ucraina dovrà superare la corruzione radicata, che ha ostacolato i progressi verso l’appartenenza all’UE, ristrutturare radicalmente parti della sua governance e applicare una serie di rigide regole nella sua economia, amministrazione e sistemi giudiziari per qualificarsi un giorno per l’adesione.»

L’Unione Europea ha già programmato finanziamenti per l’Ucraina nel suo budget attuale, mentre altri 52 miliardi sono in attesa di essere approvati (Orban si oppone) e destinati a un nuovo pacchetto di sovvenzioni e prestiti al paese dal 2024 al 2027. A guerra finita, l’Ucraina sarà un Paese completamente sottomesso e debitore degli Usa e della UE. Chi ha detto che il feudalesimo è finito?

Perché un continente ricco e capace di difendersi come l’Europa, che conta 500 milioni di abitanti, dipende, per la sua sicurezza, da una potenza lontana che ne conta solo 300 milioni? Il ruolo assunto dagli Stati Uniti è diventato così naturale che spesso non ci accorgiamo di quanto sia storicamente anormale e costituisca una realtà che dovrebbe essere imbarazzante.

Eppure c’è stato, pochi anni or sono, un momento in cui gli europei, anche a livello di leadership, cominciavano a chiedersi: perché noi europei ci ostiniamo a credere nella necessità di una garanzia americana per assicurare la nostra difesa?

Nel momento della massima crisi dell’Alleanza Atlantica (ricordiamo le parole di Macron, oppure l’accusa e minaccia di Trump agli alleati europei che si rifiutano di “pagare i loro conti”?), quando la cancelliera Merkel ammetteva di voler frenare gli aumenti del bilancio della difesa, eccoti la crisi ucraina e l’entrata in scena della Nato.

L’Europa non può avere una sua strategia geopolitica, ovvero, se ne ha una, essa è limitata al gradino più basso dello spettro operativo. Deve sottostare a quella di Washington, come quando 2018 Trump ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano, anche se tutti i paesi europei avrebbero voluto preservarlo. Poi Washington ha imposto nuove tariffe sull’acciaio e sull’alluminio europei, minacciando di imporre tasse simili sulle importazioni di automobili, con l’assurdo pretesto che “la sicurezza nazionale”.

Del resto l’Europa al suo interno è divisa su tutte le questioni importanti, come l’immigrazione o la politica fiscale. Ogni Paese europeo cerca Washington come alleato nei conflitti interni con gli altri Stati europei. Non deve dunque stupire se l’Europa è solo parte dell’arredamento americano. Come dimenticare quando il segretario di Stato Mike Pompeo ha definito la Brexit “un avvertimento” per “i burocrati di Bruxelles”? Mi vengono alla mente le parole di Martin Lutero quando disse: “Mi sento molto più libero ora che sono sicuro che il Papa è l’Anticristo”.

giovedì 14 dicembre 2023

La soluzione tecnica non esiste

Un mio nonno faceva il portiere di notte al Des Bains e laltro si mangiava il patrimonio al casinò. Rincasavano allalba

Agli eco-ansiosi che imbrattano musei e basiliche per attirare l’attenzione sul “tema” ecologico e della sostenibilità, si oppongono coloro che non nutrono alcun timore del futuro: questi ultimi credono nella tecnologia come altri credono in una dimensione metafisica, cioè in Dio (*).

Credono nelle tecnologie come forza suprema che ci salverà dall’apocalisse annunciata. Saranno facilmente in grado di arginare il riscaldamento globale e fornire energia più economica e pulita secondo necessità.

La creazione infinita di nuove tecnologie ha come principale scopo quello di trovare nuovi prodotti per nuovi profitti. In seconda battuta porta soprattutto a legittimare i nostri stili di vita, cioè di consumo, e, soprattutto, a non cambiare nulla.

Dire: “dobbiamo reinventare gli stili di vita”, è un modo per sviare il discorso dalla questione centrale: il mondo del capitalismo. Pensiamo solo alla globalizzazione dello stile di vita occidentale. L’omogeneizzazione degli stili di vita ha rafforzato l’impressione di vivere in una società senza classi, dove il lusso, più che il semplice comfort, costituisce un’ambizione molto diffusa.

Il “consumismo”, oltre che un fatto economico, produce la pacificazione dei conflitti tra le classi sfruttate e padronali, dunque corrisponde alla strategia di far scomparire le contraddizioni di classe e che non vi sia alcun bisogno d’immaginare un’altra società.

In un post del 18 marzo 2019, scrivevo: «Puntano falsamente e ipocritamente il dito accusatore verso i consumi, come se nella società dell’economia sovrasviluppata i consumi costituissero una variabile indipendente della produzione capitalistica, quando invece tutto è diventato bene economico e la funzione essenziale, confessata, dell’odierna economia sviluppata, è la produzione di consumatori, laddove il lavoro ha perso centralità e visibilità e prevale la liturgia del consumo nelle forme che si sono stabilite a seguito delle grandi trasformazioni intervenute negli ultimi decenni.»

Che cosa abbiamo interiorizzato a livello ideologico? Non siamo tutti perfettamente uguali, ma tutti abbiamo pari opportunità di “perseguire la felicità”. Questa immagine è costruita sulla convinzione che questa teoria corrisponda alla realtà.

Anche la cosiddetta scienza del clima sta acquisendo un posto centrale nella ricerca, è coinvolta nel nuovo business del tecno-soluzionismo. Poiché non possiamo ridurre le emissioni di carbonio, inventiamo miraggi tecnologici per continuare come prima.

C’è da attendersi un boom di investimenti in tutte le tecnologie di riduzione e cattura della CO2, incluse anche le tecnologie per flaring e emissioni fuggitive di CH4, cioè del metano. Seminiamo gli oceani, catturiamo il carbonio, iniettiamo zolfo nell’atmosfera. Ciò non argina molteplici fenomeni come l’acidificazione delle piogge, l’esaurimento del suolo e la distruzione della biodiversità, e soprattutto non ci permette di cambiare il modo di produrre e le nostre abitudini di consumo, alimentate da réclame palesi e occulte, con conseguenze molteplici e irreversibili.

Migliorando l’efficienza delle macchine, aumentiamo le opportunità di produzione di ciascuna di esse. Alla fine, quindi, il consumo energetico aumenta, nonostante i miglioramenti apportati a ogni singola apparecchiatura. È un fatto oggettivo, fattuale, statistico.

Questo è quello che è successo con l’auto: negli anni ’70, i produttori di automobili promettevano che, entro il 2000, non ci sarebbe stato più il problema del consumo di combustibili fossili perché i motori sarebbero stati estremamente efficienti, avrebbero consumato solo 1 litro ogni 100 km, ecc. Oggi però consumiamo più petrolio di prima, perché le auto sono più pesanti, più veloci, le distanze si sono allungate e il numero di veicoli è esploso.

Possiamo sperare di più dalle energie rinnovabili? Queste tecnologie dovrebbero supportare le transizioni e le politiche economiche, sociali e culturali. Da un lato, la quantità di energia prodotta dalle energie rinnovabili non consente di sostituire i combustibili fossili. D’altra parte, è stato notato che si aggiungono più di quanto si sostituiscono.

Anche se riuscissimo a raggiungere l’obiettivo della fusione nucleare (peraltro lontano e assai improbabile, checché ne dicano quelli della rivista Le Scienze), anche se una sorta di miracolo ci inondasse di energia pulita, gratuita e sicura, sarebbe comunque la cosa peggiore che potrebbe accaderci. Certamente decarbonizzeremo l’economia, almeno in parte, ma faremmo esplodere tutti gli altri consumi. L’inquinamento si moltiplicherebbe, con rifiuti di ogni tipo. Questo sarebbe il tecno-soluzionismo definitivo. La soluzione tecnica non esiste.

La scienza e la tecnica sono il prodotto di questo sistema, così come l’ottimismo scientifico e, per quanto paradossale possa sembrare, le paure indotte dalla rivoluzione digitale. Scrivevo nel citato post del marzo 2019: «Il progresso tecnico è anzitutto avanzamento delle tecniche capitalistiche e in tal guisa ogni effettiva feticizzazione della tecnica è fuori luogo. [...] Il progresso delle tecniche capitalistiche di produzione non ha lo stesso significato per le classi lavoratrici e per i loro sfruttatori, poiché per entrambi diverge il significato di progresso sociale. L’esempio della disoccupazione di massa o dell’inquinamento e del repentino cambiamento dei cicli naturali rappresentano degli esempi pertinenti.»

In grandissima misura scienza e tecnica rispondono, anche quando la ricerca è finanziata dagli Stati, agli interessi del grande capitale. Soprattutto a partire dagli anni ’70, le modalità di finanziamento della ricerca sono state essenzialmente controllate dal settore privato; gli stessi ricercatori sono obbligati a rispondere a bandi per progetti sempre orientati al tecnosoluzionismo. Accade che gli scienziati inventano false soluzioni tecniche per giustificare il loro lavoro. Se non mantengono le loro promesse miracolose, non ottengono i finanziamenti.

Ogni innovazione capitalistica porta a nuove forme di consumo distruttivo. Tutti i guadagni di efficienza ottenuti negli ultimi decenni grazie alle nuove tecnologie digitali sono stati assorbiti da nuovi usi e nuove forme di consumo, moltiplicando le difficoltà ecologiche, dai rifiuti all’energia consumata.

Tenendo ferma una sorta di continuità negli atteggiamenti umani, pur nella evidente differenza delle situazioni, che si afferma con l’assimilazione di determinati codici, è un fatto che nessuno può elevarsi sopra il livello tecnico della propria epoca. E dunque va preso atto che il capitalismo non agisce secondo razionalità e pianificazione, assecondando le leggi di natura volgendole a nostro vantaggio. La sua condizione mediana non è l’equilibrio, bensì la crisi a livelli sempre più complessi (che poi a livello scientifico non si voglia riconoscere il motivo fondamentale di tali squilibri, trascendente la sfera delle apparenze, è un altro fatto che la dice lunga sul condizionamento ideologico). Il capitalismo (lo vediamo ancora una volta nelle Borse in questi giorni) agisce secondo un sentimento euforico e lineare dello sviluppo delle forze produttive. Non produce solo merci, produce instabilità e follia. Pertanto la soluzione non è tecnica (quantomeno non può essere solo tecnica), e i rimedi terribili del futuro (che non è una continuazione meccanica del presente, esprimibile con una semplice curva su un diagramma) verranno imposti di volta in volta dalla necessità, dalla maturazione delle crisi.

(*) Gli uomini dalla loro attività hanno tratto il principio di causalità, quindi creato anche dei meccanismi sociali sulla base di tale principio, ma poi hanno compiuto l’errore infantile di attribuire alla natura le proprie creazioni. È stato un errore inconsapevole, che però continua ad accompagnarci, favorito da un’altra nostra creazione: la religione. Potendo produrre solo una parziale conoscenza della natura, viziata dall’ideologia, gli uomini devono necessariamente accontentarsi del proprio progresso tecnologico, a fronte di una natura in parte incompresa e in gran parte fraintesa.

mercoledì 13 dicembre 2023

Vedi Dubai e godi

 

Le COP, le grandi conferenze internazionali sul clima, assomigliano sempre più a un rituale che torna regolarmente alla ribalta e che dimentichiamo subito dopo. Si parla di un sacco di cose che riguardano il clima, parlano persone molto importanti, che sanno cosa fare e cosa non fare per salvare il pianeta.

Pertanto noi non dobbiamo preoccuparci né del cambiamento climatico né di altro: ci sono persone che si prendono cura di tutto affinché possiamo continuare a produrre e consumare, a goderci la nostra piccola vita. Naturalmente alcune persone non sono d’accordo. C’è chi vuole meno petrolio e chi ne vuole anche di più. Ma la democrazia è proprio questo: ognuno può dire quello che pensa e poi fare quello che vuole.

La domanda che ha agitato le menti alla COP28 di Dubai era come abbandonare i combustibili fossili che rappresentano il 75% delle emissioni di CO2 nel mondo. Pare sia stato raggiunto un accordo per la riduzione graduale (phase down) fino a zero emissioni da qui al 2050. Purtroppo per quella data avrò altri impegni e non potrò tenervi aggiornati sui risultati raggiunti.

Ci prendono per il culo. Chi vuole davvero allontanarsi dai combustibili fossili? Nessuno! Oggi più che mai si chiede petrolio, gas e carbone perché queste materie prime sono assolutamente essenziali allo “sviluppo” e per mantenere alti i profitti! Permettono di fare così tante cose che sarebbe stupido farne a meno, soprattutto perché domani non troveremo il modo di sostituirli.

Le centrali nucleari? Ma non scherziamo. I tedeschi senza gas e petrolio russi non sarebbero andati oltre la Kübelwagen, e gli italiani senza l’Eni andrebbero ancora pel tratturo antico al piano. La produzione di petrolio è aumentata costantemente anche in questo nostro secolo, solo il 2020 ha segnato un calo della produzione globale prima di ricominciare a salire alla grande nel 2021. Nessuno vuole consumarne di meno, e tutti vogliono aumentare produttività e PIL.

Tutti vogliono i combustibili fossili. Senza benzina i caccia israeliani non possono volare e bombardare Gaza. Gli abitanti di Gaza sognano di vedere arrivare camion cisterna pieni di diesel per far funzionare i loro generatori – almeno quelli ancora funzionanti – e ricaricare i loro smartphone. E che dire degli ucraini che si congelano le palle nelle loro case? Con cosa li riscalderà? E tutti quei bambini che aspettano di ricevere a Natale miliardi di giocattoli di plastica realizzati grazie al miracolo del petrolio. Vorresti privarli di tanta gioia? Quale pazzo vorrebbe mettere fine alla felicità che i combustibili fossili ci permettono?

Che cosa significa “transition away”? La COP richiede ai paesi di rendicontare in maniera trasparente le proprie emissioni e le proprie azioni, ma non obbliga nessuno a rispettare gli impegni presi. Come da aspettative i progressi di riduzione delle emissioni fin qui sono stati minimi. Ognuno poi è libero di coltivare le proprie illusioni.

Vorrei dare un’occhiata nelle valigie dei 70.000 (settantamila) delegati, giornalisti, lobbisti e comparse varie alla COP per vedere che cosa si stanno portando a casa. Neanche un gadget, un ninnolo, hanno resistito come asceti alle lusinghe dello shopping in un posto come l’Expo City di Dubai? Godiamoci tutto ciò che ci capita sottomano, automobili, aerei o navi da crociera, fino all’ultima goccia di petrolio.

Basta guardare la réclame, soprattutto durante le festività natalizie, che promuove una marea di prodotti la cui produzione richiede oceani di combustibili fossili, altro che eolico e fotovoltaico. “Divieto”, “riduzione” sono paroloni impronunciabili da parte dei politici e dei “cittadini-consumatori”. Un’orgia di petrolio, del quale gli Stati Uniti sono di gran lunga il primo produttore assoluto, per cui s’è disposti a scatenare guerre di ogni tipo, anche un conflitto mondiale.

L’oro nero ha ancora un futuro brillante davanti a sé, e i funzionari dell’OPEC almeno non fanno gli ipocriti assumendo pose di vergini spaventate davanti a divinità come il petrolio e il gas il cui consumo non è mai diminuito perché in realtà tutti ne chiediamo di più.