Senza un cellulare, un indirizzo mail, uno spid, un internet banking e altri bignè del genere, semplicemente non esistiamo. Avere una propria identità, se non t’inscrivi nella cultura socio-tecnica circostante, non è più possibile. Aggiungete a ciò le quotidiane astute perturbazioni nel campo della realtà alle quali siamo sottoposti, le fantasie tecnologiche dell’ineunte millennio, l’inesausto racconto dell’autonomizzazione della tecnologia, la promessa che l’intelligenza delle macchine superi quella degli umani, le illusioni transumaniste della Silicon Valley.
Una mattina ci sveglieremo convinti del più impensabile dei complotti, quello secondo cui il nostro mondo non sarebbe reale ma una contraffazione, una vasta simulazione frutto di una volontà superiore. Scopriremo di essere degli androidi che hanno ricevuto le istruzioni per compiere una missione inscritta nella nostra programmazione. Paranoia, direte. Se solo ce l’avessero raccontato dieci anni fa, e anche meno, avremmo creduto reale quanto e successo con il Covid-19 e ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza?
Philip K. Dick, il genialoide mescalinico che ha creato diversi capolavori della fantascienza, tra cui Blade Runner, l’ha chiamata la “Prigione di Ferro Nero”. Le sorelle Wachowski, le due registe, l’hanno trasformata nel loro Matrix. L’idea che ciò che sperimentiamo come “realtà” sia invece un simulacro, una simulazione in cui siamo tutti imprigionati, affascina da molto tempo. Alcuni azzardano persino di farla risalire a Platone e al suo mito della caverna, rendendola una delle più antiche ossessioni umane.
Ma no, i veri artefici di questa teolessia tecnologica siamo noi stessi e non esiste determinismo tecnologico. La fragilità dei loro imperi, del loro potere, richiede un flusso continuo di menzogne perché reggano capitalizzazioni che rappresentano centinaia di volte il loro fatturato. Una narrazione folle, esagerata e profetica, sempre più elaborata. È storia vecchia come il cucco che un mito o un dio diventano veri perché ci crediamo. Ho letto su un quotidiano economico: “Raccogliamo fondi con una narrazione molto forte di sconvolgimento e trasformazione del mondo”.
Quello che conta è avere impatto sui social media. Semplicemente rivelano una strategia per mascherarne altre, alimentano una paura per nasconderne altre. L’inflazione delle promesse scientifiche è un mercato per catturare risorse, per rendere inevitabile la traiettoria tecnologica e facilitarne l’accettazione sociale, per creare uno scenario futuro che mascheri l’ignominia del presente. Come se fosse diventato impossibile costruire un futuro fuori dai meri meccanismi di mercato e diverso da quello di una crescita economica e tecnologica apocalittica.
Ma già a parlarne, ti dicono che sei fuori dal mondo. Il loro mondo, quello di Netanyahu che ti spiega perché ha bombardato un ospedale due volte e non tre.
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