Prosegue l’atto conclusivo della cacciata dei palestinesi dalla Palestina da parte dei sionisti. Ne resteranno solo una piccola aliquota, quelli destinati a certe attività produttive e ai servizi. Ovviamente non avranno gli stessi diritti riconosciuti dalla Stato sionista ai cittadini della propria razza. Il riconoscimento dello stato di Palestina annunciato da alcune nazioni europee potrà attendere con orgoglio l’ultimarsi dello sgombro.
Tutto ciò sta avvenendo nei giorni nei quali si commemora (assai in sordina) il più grande crimine bellico del Novecento: l’annientamento di due città giapponesi con l’arma atomica da parte degli Stati Uniti.
Si narra che la distruzione delle due città evitò un ancor più grande spargimento di sangue se si fosse proceduto a un’invasione terrestre del Giappone. In realtà il Giappone e le sue forze armate erano allo stremo. Le città bombardate e rase al suolo, come Tokio, senza più rifornimenti, specie di petrolio dall’Indonesia.
Il Primo ministro, l’ammiraglio Kantarō Suzuki, propose di avviare trattative di pace con la mediazione dell’Unione Sovietica, sfruttando la posizione di neutralità che il Giappone aveva mantenuto con il paese per tutta la durata della guerra. I primi contatti avvennero tra Hirota e l’ambasciatore sovietico a Tokyo Jakov Malik, ma non approdarono a nulla, stante l’accordo della Russia con gli altri alleati e la prevista dichiarazione di guerra al Giappone.
Dopo aver decifrato il Codice Viola giapponese, i funzionari statunitensi sapevano che l’ambasciatore giapponese in URSS, Sato Naotake, stava discutendo le condizioni di resa a Mosca. Il 30 giugno 1945, Sato aveva ricevuto l’ordine di comunicare al Cremlino che l’imperatore giapponese Hirohito desiderava che la guerra fosse “terminata rapidamente”, ma che ciò era impossibile “finché Inghilterra e Stati Uniti avessero insistito sulla resa incondizionata”. Tokyo voleva garanzie che gli Alleati vittoriosi avrebbero lasciato la famiglia imperiale al potere dopo la guerra.
Per Washington il punto in questione non si poneva: gli Usa erano disposti a mantenere al potere l’imperatore giapponese (come infatti avvenne), nonostante i crimini di guerra commessi dal Giappone, tra cui una guerra di occupazione genocida in Cina che costò 20 milioni di vite. In ballo vi erano altre due ben più decisive questioni: la concordata entrata in guerra dell’Urss contro il Giappone e la sperimentazione, non più solo in vitro, degli effetti in corpore vili delle nuove armi.
L’8 di agosto, truppe sovietiche erano penetrate nel Manciukuò, mettendo fine allo Stato fantoccio creato dai Giapponesi (vedi il film di Bertolucci, L’ultimo imperatore). Tra i pochi a riconosce il Manciukuò negli anni Trenta vi fu l’immancabile Vaticano e la Spagna franchista.
L’offensiva sovietica, sferrata con grandi forze meccanizzate e motorizzate, raggiunse in pochi giorni notevoli successi e si concluse con la disfatta completa dell’armata giapponese del Kwantung e con l’occupazione della Manciuria, di parte della Corea e di alcune isole nipponiche.
A quel punto, la resa giapponese era questione di giorni, al massimo di settimane. Tutto ciò avveniva nello stesso periodo nel quale i capi di stato maggiore alleati approvarono le direttive per l’operazione Olympic, il piano di invasione del territorio metropolitano giapponese che avrebbe dovuto prendere il via il 1o novembre.
Pertanto, c’era tutto il tempo per attendere la resa giapponese prima dell’invasione, e dunque per il lancio delle atomiche. Sennonché, a quel punto della seconda guerra mondiale, l’offensiva russa in Cina, rappresentava un serio ostacolo agli interessi statunitensi in Asia e nel Pacifico.
Era tempo di “occuparsi dei russi”, scrisse il Segretario alla Guerra Henry Stimson in uno dei suoi promemoria al Generale George Marshall, allora Capo di Stato Maggiore di Truman. Questo poteva essere fatto “in modo piuttosto approssimativo e realistico”, aggiunse Stimson, poiché “abbiamo un’arma che sarà unica nel suo genere”.
"...i crimini di guerra commessi dal Giappone, tra cui una guerra di occupazione genocida in Cina che costò 20 milioni di vite.." - questa la avevo dimenticata, se la ho saputa - mi si è subito affiancata al genocidio in corso, come oscurità senza immagini, che non ho di quella - intanto il tuo andare toglieva ogni velo di seppur spietato calcolo umanitario al recupero di memoria delle immagini della distruzione della città giapponesi verso la fine della seconda guerra mondiale - ben altro scopo che salvare vite! Dunque, ciò che sta accadendo a Gaza di nuovo ha in primis la parziale informazione in tempo quasi reale, quella che è riuscita a superare le barriere interposte in emissione e in ricezione. Quanto a orrore, ce ne è in abbondanza nella storia - e non c'è bisogno di specificare "dell'uomo" - di storia c'è solo questa.
RispondiEliminaconncordo completamente con questa analisi; uno dei problemi della siisra dopo la seconda guerra mondiale è stata proprio la mancanza di ua analisi marxista sulla 2 guerra, i suoi mandanti e i suoi meccanismi; cosa che no era successa con la 1 guerra; sulla prima Tarle si era incaricato di scrivere un testo che ha fatto epoca e che segnalo qui L’Europa nell’epoca dell’imperialismo 1871-1919, 1927, pubblicato i Italiano dagli editori riuniti; ma che si trova anche in rete; sulla seconda mancano annalisi autorevoli di tipo marxista; io ho trovato solo questa che segnalo; Chris Bambery The Second World War: A Marxist History (2014); se avee altri testi segnalateli; dunque grazie a Olympe per questa analisi con la quale cocordo completamente
RispondiEliminagrazie a te per le segnalazioni
Eliminahttps://www.officinadeisaperi.it/eventi/i-perche-di-una-strage-la-bomba-che-inauguro-la-guerra-fredda-da-il-manifesto-e-resistenze-org/
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