È sintomatico di un’epoca storica e di un Paese infantile e morboso ciò che è accaduto e che ha avuto per protagonista, suo malgrado, il ministro di maggior peso di questo governo pavido e sospettoso (come già scrissi, la sedicente opposizione, che ha aperto autostrade ai fascisti, è pavida e inetta). Pare (pare!) che solo un miliardario sia caduto nella trappola, tuttavia una cosa così comica è rivelatrice di quanto sia verosimile che dei miliardari siano disposti a mettere mano al portafoglio per sovvenzionare delle nobili cause patriottiche: un giro di bonifici per “operazioni segrete”.
È ancora alla ribalta Massimo Cacciari, il quale, dopo essere apparso anche alla Madonna, dichiara che: “I nazionalisti combinano ideologie vetero-reazionarie con la subordinazione alla potenza economica dominante”. Ideologie vetero-reazionarie? Chiarisca, il madonnaro, please. I “nazionalisti”? Di chi si tratta, di Luciano Spalletti e dei suoi pedatori? Possibile che nessuno abbia il coraggio di chiamarli per quel che sono, ossia “fascisti”? Si dirà, ma questi sono fascisti da operetta. Perché i fascisti d’antan, tranne quando coraggiosamente e in folto manipolo aggredivano e bastonavano e assassinavano il malcapitato di turno, non erano forse una accolta di buffi attori da operetta, a cominciare dal loro capo?
Ne racconto un paio di scene da operetta tratte da un libro di Riccardo Gualino, nipote e omonimo di quel Riccardo Gualino che fu vicepresidente della Fiat, magnate dell’industria e della finanza prima e dopo il conflitto 1914-’18. Per protagonista, quello psicopatico che rispondeva al nome di Benito Mussolini, che per brevità si faceva chiamare “duce”.
«A un certo punto Mussolini premette un campanello e apparve un segretario che gli portava un fascio di lettere. Mussolini le prese, firmò la prima senza fare un commento, ma la lettura della seconda suscitò le sue ire. “Come! Una lettera come questa a quel mascalzone di [...]. La appallottolò e la lanciò nella stanza. Tutto il corriere fu smaltito a questo modo; fra inventive feroci contro alcuni destinatari e lancio aereo delle lettere incriminate, fra brontolii per certe missive che firmava dopo un “questa se ne poteva fare a meno”, e silenzi allorché la firma non esigeva proteste. Il segretario assisteva impassibile a quelle sfuriate. Infine Mussolini esplose in un’indignazione incontenibile di fronte a una lettera che fece a pezzi e gettò per terra comprendo di improperi il destinatario, che definì un ladro. Gualino se ne andò perplesso “riflettendo sul caso veramente straordinario di un capo di governo che fa assistere un estraneo a consimili scene nelle quali, fra l’altro, copre di contumelie e di apprezzamenti poco riguardosi personalità conosciute del regime e colleghi al governo”. La sua opinione fu che si trattasse di una commedia, a suo uso e consumo, allestita allo scopo di dimostrare il potere del capo del governo e il suo disprezzo nei confronti dei collaboratori e amici, nonché il suo irresistibile bisogno di essere attore e di recitare sul palcoscenico di Palazzo Chigi.»
Ancora più comica, se possibile, è questa scena: «Mio nonno era accompagnato da Giovanni Agnelli e da un tecnico, il quale avrebbe dovuto esporre la questione della “trazione elettrica a velocità elevatissima”, per cui portava sotto il braccio “in un lungo rotolo, diagrammi e disegni”. La presenza del tecnico ebbe su Mussolini un effetto sconvolgente. I tre erano a “più di 10 metri distanti”, ma Mussolini balzò in piedi con il volto stravolto, indicando l’uomo che portava con sé le innocue carte arrotolate. Riteneva che si trattasse di un’arma atta ad ucciderlo e chiedeva con voce rotta la ragione della sua presenza. Agnelli e Gualino ebbero un bel da fare per tranquillizzarlo e “Mussolini si rimise rapidamente, per quanto la conversazione si svolgesse poi con qualche disagio”. Comunque, continua mio nonno, “lo vidi trascorrere alcuni secondi di terrore, durante i quali divenne evidente ciò che si sussurrava negli ambienti a lui vicini, e cioè che egli fosse paurosissimo”.»
Riccardo Gualino, nel 1931, sarà fatto arrestare personalmente da Mussolini e poi, dopo la detenzione, processato dal Tribunale speciale in pochi minuti con la generica accusa di “gravi danni all’economia nazionale”, quindi condannato e inviato al confino.
Nei vari scritti autobiografici di Gualino, che sapeva usare la penna in modo formidabile, non si rintraccia mai un’espressione di odio nei riguardi di Mussolini e nemmeno di biasimo o recriminazione per Giovanni Agnelli (che godette dei beni sequestrati al suo amico e socio Gualino).
I brani citati sono tratti da Riccardo Gualino, Mio nonno Riccardo, Marini editore, Roma 2021. Bibliografia essenziale: Giorgio Caponetti, Il grande Gualino, UTET, varie ristampe; Riccardo Gualino, Frammneti di vita, Mondadori, 1931, ristampato, da ultimo, anche da Aragno, ma esaurito, comunque disponibile sul mercato dell’usato nelle varie ristampe editoriali; sempre di Gualino, Confessioni di un sognatore, Marini editore; può essere d’interesse: Nicola de Ianni, Gli affari di Agnelli e Gualino 1917-1927, Prismi, Napoli, 1998.
Che schifo Mussolini sempre. Grande merito dei comunisti averlo fucilato seppure in ritardo e con effettivi raccogliticci. Ma è stato come fucilare anima italiana.
RispondiEliminaProblema è come ci arrivano le pantegane al governo. Da questo punto di vista una follia le elezioni estive post covid. Ma c’è del metodo evidentemente