«In Italia la libertà ed il diritto ormai avevano finito di esistere. [...] quest’abdicazione collettiva si può agevolmente spiegare quando si riflette sull’assenteismo delle masse italiane in tutte le lotte del Risorgimento e sull’influenza perniciosa delle secolari dominazioni straniere. La libertà e il diritto costituiscono il patrimonio ambito e prezioso soltanto degli uomini che abbiano appunto sviluppato il senso civico della vita collettiva ed individuale. Chi non apprezza questi sentimenti, chi non li sente sangue del proprio sangue e carne della propria carne è naturale che per la difesa di essi non si batta. È ancora più umano che si adatti e si affidi al Governo ed all’Uomo che diano loro l’impressione di garantire un minimo di benessere ed un massimo di ordine.»
«[...] In questa obiettiva, seppur mortificante, constatazione risiede la causa e l’origine della crisi italiana che sostanziò l’ultima tragedia italiana. Tragedia che non è finita perché è risorto con intatti i rudimenti reazionari del passato mussoliniano, il neo-fascismo, che poi è il vecchio fascismo. Allora come oggi esso trova sostegni morali, politici e finanziari negli stessi ambienti della più opaca ed angusta conservazione sociale.»
«[...] occorreva che Mussolini si impegnasse in una guerra di così ampia portata come quella spiritualmente e materialmente preparata per anni da lui e da Hitler, occorreva soprattutto che questa guerra venisse perduta. Occorreva che il nostro Paese fosse sommerso in un vortice di sangue, di tragedie e di rovine perché il mussolinismo frenetico di tanti milioni di italiani si trasformasse, sotto l’impeto dei bombardamenti alleati e sotto la pressione delle deficienze alimentari, nel più furioso e truculento rancore.»
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Chi scrisse queste limpide e lapidarie parole? Difficile e quasi impossibile indovinarne l’autore. Le pubblicò nel 1965 Cesare Rossi. Sebbene oggi ignoto ai più, all’inizio degli anni Venti del secolo scorso “Cesarino” non era affatto un Carneade, ma uomo molto influente e potente, strettissimo collaboratore e prezioso consigliere di Mussolini, al punto di diventarne poi capo ufficio stampa della presidenza del Consiglio dei Ministri e membro del Gran Consiglio (istituito di fatto). Eminenza grigia, suggeritore e anzi ispiratore del capo del fascismo almeno fino al ritrovamento del cadavere dell’on. Giacomo Matteotti.
Dopodiché diventò il capro espiatorio (non certo innocente) sul quale scaricare gran parte delle responsabilità del finto rapimento e dell’effettivo, premeditato, assassinio del deputato socialista. Mussolini aveva bisogno di allontanare da sé l’ombra, ma anche molto di più di un’ombra, di un suo coinvolgimento diretto nel tragico fattaccio. Rinvenuto il cadavere dell’assassinato, l’incauto Cesarino dovette suo malgrado assumere un ruolo rilevante nella vicenda Matteotti, essendo egli in strettissimi rapporti con il maggior artefice diretto del (finto) rapimento e del delitto.
Parlo di rapimento simulato poiché l’uccisione del deputato dell’opposizione non fu imprevista. Lo scopo di quell’azione messa in atto dal consorzio criminale capeggiato da Amerigo Dumini (1894-1967) fu proprio quello di chiudere per sempre la bocca a Matteotti. La tesi dell’”incidente”, accolta dalla sentenza istruttoria del 1925, destinata ancora oggi ad avere credito, non è sostenibile. A quale scopo rapire il deputato, per dargli una lezione? Irrituale per gli impuniti fascisti: i pestaggi avvenivano sul posto, qualunque esso fosse.
Il rapimento del deputato non era necessario per dargli una “lezione”, ed era anzi controproducente. La dinamica stessa del “prelevamento” non lascia dubbi in merito. La sorte di Matteotti era segnata e non doveva essere diversa da ciò che effettivamente accadde, e se di ciò non si fosse trattato, i fatti sarebbero andati diversamente.
Come già scrisse lo storico Mauro Canali nel suo saggio biografico (Cesare Rossi, da rivoluzionario ad eminenza grigia del fascismo), « [...] sarebbe invece più corretto chiedersi quale scenario si sarebbe profilato se, al contrario, tutto fosse andato liscio, senza che il classico granello, una vecchia coppia di portieri [di via Stanislao Mancini, coniugi Villarini Domenico e Erasmi Ester] che puntualmente annotò il numero di targa dell’auto sospetta [55-12169] che da più giorni si aggirava in quel tratto del lungotevere Arnaldo da Brescia, inceppasse meccanismo criminale, avviando la vicenda verso una diversa conclusione.»
E ancora Canali: «È la stessa ostinata incredulità verso le responsabilità di Mussolini manifestata da uomini e forze politiche, in una situazione dove pure tali responsabilità erano divenute presto evidenti, a garantire, qualora l’esecuzione del delitto fosse andata secondo i piani, con il cadavere introvabile e gli assassini senza identità, sulla assoluta insospettabilità di cui avrebbe goduto il capo del governo.»
Scriveva Rossi nel suo Memoriale pubblicato da Il Mondo il 27 dicembre 1924: «Fu in questa occasione dell’aggressione Amendola che Mussolini cominciò ad illustrare certi suoi criteri di vendetta, che in sostanza consistevano nel sequestro e nella scomparsa dei più temuti avversari del regime [il Memoriale è riprodotto in: C. Rossi, Il delitto Matteotti, Ceschina, p. 174].» Nel suo Memoriale, Rossi racconta con dettaglio di altri assassinamenti compiuti dai fascisti con l’accordo di Mussolini, Emilio De Bono (capo della polizia e comandante della milizia fascista), Aldo Finzi (sottosegretario dell’Interno) e altri gerarchi.
A riguardo del movente dell’assassinio. Non fu un interesse a sfondo affaristico e corruttivo quello di tappare la bocca di Matteotti, tesi di comodo che assolve i silenti patrocinatori di un accordo politico con il fascismo di Mussolini. Scrive Canali (p. 332) su ciò che la cronaca politica del tempo conferma: «Allora la collaborazione di uomini e settori del socialriformismo [sbarazzarsi dell’unico vero e coraggioso oppositore, nota mia] sarebbe senza dubbio giunta prima. Senza scossoni e soprattutto senza che si rendesse necessaria la drammatica svolta del gennaio 1925.»
E su questo intreccio d’interessi comuni di fascisti ed entourage “riformista” si può arrivare ad adombrare che vi sia stata anche una trama più vasta, se non altro nella misura di tacito consenso, insomma un delitto di Stato con manifattura fascista. Non sarebbe una novità considerando col senno di poi. Tuttavia, quando si prende in esame una qualsiasi trama delle molte che punteggiano la storia di questo disperato Paese, non se ne esce più. E allora mi fermo ai nudi fatti accertati.
P.S. Amerigo Dumini, riconosciuto come principale responsabile del rapimento e dell’omicidio, ma rubricato come preterintenzionale (!), sconterà meno di due anni di carcere anche grazie alla cosiddetta amnistia Dumini varata ad hoc. Cesare Rossi affida a un memoriale di diciotto pagine la sua autodifesa e la dimostrazione del coinvolgimento di Mussolini nel delitto Matteotti; riesce a scappare in Francia, è protagonista di vicende rocambolesche che terminano con l’arresto e la condanna nel 1929 a trent’anni di carcere per attività antifascista (fantastico!). Imprigionato (ma per modo di dire) e poi confinato, a Rossi sono assegnate tremila lire mensili. Rossi chiede cinquemila lire aggiuntive, che vengono prontamente accordate. Il 13 ottobre 1942 il prefetto scrive che “noto Cesare Rossi accetta trasferimento a Sorrento”, senza omettere la richiesta del solito contributo per trasporto delle masserizie. “Sta bene. Metta la spesa nella contabilità dei servizi di polizia”, annota a penna un funzionario.
Sei sicura che Il Mondo abbia pubblicato il Memoriale di Rossi il 27 dicembre 1924 ?
RispondiEliminaVengono riferite cose assai poco popolari nell' Italia di fine '24.
Forse è un refuso.
Ciao cara
Il Mondo pubblicò la sera del 26 dicembre 1924 nel numero che porta la data del giorno successivo. ciao Beppe
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