domenica 29 gennaio 2023

La petizione che non potrai mai firmare

 

Potrà sembrare uno scherzo, ma 200 milionari in occasione del recente forum di Davos si sono appellati ai leader politici presenti: vogliono essere tassati di più e subito. Il loro commovente appello lo potete leggere qui, ma non potrete mai firmarlo.

Tutto ciò non è molto bello e fantastico? Sì, fantastico, perché una piccola tassa non cambierà nulla, non impedirà al sistema che crea miliardari di essere un disastro per il nostro pianeta, le nostre società, la nostra immaginazione.

Sì, un disastro per la nostra immaginazione. Chi di noi non vorrebbe diventare molto ricco? Solo in pochi, pochissimi, magari abbastanza benestanti, risponderebbero: no, grazie, sto bene così. Ogni anno sono spesi decine di miliardi per acquistare merci “di fascia alta” nei noti negozi del lusso. Leggo per esempio che Louis Vuitton sta seguendo la strategia di “aumentare i propri prezzi e lanciare nuovi prodotti più costosi”. Proprio così.

David Ricardo, di cui quest’anno ricorre il bicentenario della morte, per molti aspetti ha rappresentato l’apice teorico dell’economia politica borghese. Marx ha descritto coloro che hanno fatto seguito a Ricardo come economisti “volgari”, per il modo con cui hanno tentato di spiegare e risolvere – con una visione estremamente soggettiva e apologetica dell’economia – le contraddizioni del capitalismo.

Il tentativo di superare queste contraddizioni senza superare il sistema che le produce è destinato al fallimento. Comprese le teorie riformistiche che hanno come loro perno centrale la fiscalità e cose del genere, alla Stiglitz o Piketty, per intenderci.

Anche Keynes disprezzava l’economia della rendita, che vedeva come un grande destabilizzatore dell’intero sistema economico (nel cap. 12 della sua Teoria Generale paragona la speculazione a un casinò). Per lui il problema non era il capitalismo in sé, ma il capitalismo laissez-faire, in cui i mercati e gli investitori non regolamentati sono lasciati liberi di perseguire il proprio profitto individuale senza alcuna cura per il resto della società.

Scrive Keynes nel cap. V del suo La fine del laissez-faire (si può scaricare in rete la traduzione): “Da parte mia credo che il capitalismo, saggiamente governato, possa probabilmente essere reso più efficiente di qualsiasi altro sistema ora in vista nel raggiungere obbiettivi economici, ma che in sé stesso è per molti aspetti estremamente criticabile”.

“Estremamente criticabile”, dice il barone inglese. È un giudizio etico-morale, ma ha anche cercato, come farà in seguito Hayek proponendo una ricetta diversa, di trattare l’economia come una scienza, cercando le leggi che governavano l’economia attraverso un attento studio dei fatti nella sfera della circolazione. Ma Keynes di Tilton e von Hayek, per la loro posizione di classe, non erano interessati a indagare le reali ragioni del “disequilibrio”. Anzi, avevano tutto l’interesse a ignorare o negare lo “scandalo” su cui regge l’accumulazione capitalistica. Per quanto riguarda il metodo, entrambi scontavano le mende di un certo ambiente sociale e intellettuale (unilaterale e deterministico), che sconosce il materialismo dialettico (*).

In breve, Keynes era un pragmatico utopista (le due cose possono stare assieme), che desiderava un ritorno ai bei vecchi tempi, in cui la classe capitalista era composta da borghesi responsabili che investono anche per il bene delle loro comunità e della società nel suo insieme (tipo i Crespi, i Marzotto, i Rossi, eccetera). Keynes voleva far girare la ruota della storia all’indietro verso un tempo immaginario di “capitalismo responsabile”.

Il motivo del fascino delle idee e ricette keynesiane e del loro successo presso i riformisti di tutte le razze va cercato nella fortuna che ebbe la sua leggenda. The General Theory di Keynes non ha avuto nessun ruolo nel plasmare le politiche del New Deal che sono state retrospettivamente descritte come “keynesiane”. La semplice verità è che, quando si trattava di politica fiscale e monetaria, la maggior parte dei più stretti consiglieri di Roosevelt, semplicemente non erano “keynesiani”, nemmeno in senso lato. Questo non vuol dire che FDR non abbia ricevuto consigli “keynesiani” dai suoi consiglieri, che però keynesiani non lo erano affatto.

La politica fiscale espansiva, e in particolare la spesa su larga scala per i lavori pubblici, ebbe i suoi fautori del New Deal in Frances Perkins, Harold Ickes, Harry Hopkins e Marriner Eccles. Ma chiamare “keynesiane” le politiche favorite da questi New Dealer è una cosa; affermare che i loro sostenitori fossero effettivamente influenzati da Keynes è tutt’altro paio di maniche (**).

Il New Deal, contrariamente alla leggenda corrente, ha fatto relativamente poco per contrastare la recessione e, in qualche modo, l’ha prolungata. Tali riforme avevano solo una relazione incidentale con politiche volte a migliorare la spesa aggregata (lo si vide bene nel 1936-’37) che poi vennero identificate con l’economia “keynesiana”. È stata la guerra il fattore davvero decisivo per far uscire il capitalismo dalla grande crisi. Non andrebbe dimenticato.

Le frasi che si sentono spesso oggi da coloro che incolpano il capitalismo “neoliberista”, “non regolamentato”, “selvaggio”, non tengono conto che è questa la vera natura del capitalismo, e tutti i tentativi di regolamentare e rattoppare il capitalismo per renderlo più gentile, verde e responsabile sono utopici, quando non siano in malafede (spesso).

Per contro, il marxismo novecentesco (ammantandosi di un giudizio storico e dialettico che mal possedeva) ha teorizzato e posto in pratica una forma di socialismo che procedeva con la socializzazione dei mezzi di produzione (statalizzando però totalitariamente ogni aspetto della vita economica e sociale!), la pianificazione (monoliticamente burocratizzata) e promuovendo uno sforzo collettivo di “costruzione” secondo dottrina, altrimenti il Gulag o l’invio coatto nelle comuni agricole (lavoro forzato fomite di un’accumulazione originaria che in Occidente aveva richiesto secoli di super-sfruttamento).

Marx picchiava forsennatamente con i pugni contro il coperchio della sua bara, voleva uscire per dirgliene quattro.

Sia chiaro, socializzazione, pianificazione, lotta ideologica e quant’altro sono tutte cose che possono preludere a una società di tipo socialista o comunque socialmente avanzata. Tutto ciò è però avvenuto senza tener conto delle posizioni arretrate di partenza (premoderne!), dal lato economico e da quello della società civile (“La tradizione di tutte le generazioni scomparse pesa come un incubo sul cervello dei viventi”).

Sottovalutando che in questa nostra preistoria l’umanità è ancora in lotta per i bisogni primari e in ciò le forze dello scambio giocano ancora un ruolo fondamentale (lo stesso Lenin presagiva, nei suoi ultimi scritti, che la NEP sarebbe potuta durare “decenni ancora”).

Trascurando poi un altro aspetto che abbraccia tutti gli altri, ossia che gli uomini non sono degli automi (il valore perenne dell’individuo, concetto considerato d’impronta borghese) e che la società per la sua complessità di registro non può essere ricondotta a un composito meccanismo regolabile in ogni suo ingranaggio secondo direttive piovute dall’alto, peraltro contravvenendo le leggi del processo storico e spesso anche quelle dell’umanità e del buon senso pratico.

Mentre abbiamo più o meno fatto i conti con uno pseudo socialismo da incubo, non vediamo profilarsi una via d’uscita dalla crisi storica di un capitalismo reale da panico. Insomma, mentre da un lato siamo riusciti a dirci la verità, dall’altro si trova comoda la menzogna che c’è da difendere il meno peggio.

(*) L’approccio alla crisi di Keynes e Hayek ha per oggetto la sfera della circolazione, non quella della produzione, dalla quale appunto ha origine la contraddizione fondamentale. Keynes e Hayek vedevano solo un lato del problema: Keynes del lato della domanda, Hayek dell’offerta.

Keynes arriverà ad accusare Marx di “debolezza logica”: «Ho provato sinceramente a leggere i volumi di Marx, ma ti giuro che non sono proprio riuscito a capire cosa tu ci abbia trovato e cosa ti aspetti che ci trovi io! Non ho trovato neanche una sola frase che abbia un qualche interesse per un essere umano dotato di ragione. Per le prossime vacanze dovresti prestarmi una copia del libro sottolineata» (lettera a Piero Sraffa, 5 aprile 1932). E con tale colmo di presunzione, insipienza e spocchiosa stupidità pensava di aver liquidato Marx.

(**) È stata molto sopravvalutata la sua Teoria generale (1936) in connessione con il New Deal rooseveltiano (che precede di anni il libro di K.); né i suoi articoli inglesi del periodo della Grande Depressione sembrano aver ispirato l’amministrazione americana nei suoi propositi riformistici. Né la “lettera aperta” a Roosevelt, pubblicata il 31 dicembre 1933 sul New York Times, ha prodotto qualche influenza sul presidente, che disse a Felix Frankfurter: “Può dire al professore che per quanto riguarda i lavori pubblici spenderemo nel prossimo anno fiscale quasi il doppio dell’importo che stiamo spendendo in questo anno fiscale, ma che c’è un limite pratico a ciò, ossia quanto il governo può prendere a prestito”. Le idee e le politiche di FDR si svilupparono indipendentemente da Keynes, e così quelle dei suoi collaboratori del Brain Trust (Rexford Tugwell, suo il programma agricolo, Raymond Moley, Adolf Berle, Harry Hopkins, George F. Warren, che fu centrale nell’importante decisione di togliere gli Stati Uniti dal gold standard, ecc.).

3 commenti:

  1. È stata la guerra il fattore davvero decisivo per far uscire il capitalismo dalla grande crisi. Non andrebbe dimenticato.
    Assolutamente vero. Non andrebbe dimenticato e andrebbe meditato.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. meditato? il prossimo post lo intitolo: la riconoscete dalla chiappa scultorea e dal turgido capezzolo?

      Elimina
  2. "La Russia è stata definita dagli analisti occidentali una “tigre di carta”, mentre invece è proprio la Nato ad essersi rivelata tale. Un grande economista del passato Friedrich List disse che il benessere di una società e la sua ricchezza complessiva non erano determinati da ciò che la società può acquistare , ma da ciò che può produrre: una lezione che l’anglosfera non ha affatto seguito ritrovandosi ora a dover difendere con le unghie e con i denti il proprio dominio che è al tempo steso il proprio capitale: senza la capacità di ricatto che non deve e non può essere messa in discussione il dollaro non potrebbe essere la moneta di riferimento che oggi in qualche modo è l’unica reale ” produzione” americana. Sarebbe il disastro totale per gli Usa". da:
    https://ilsimplicissimus2.com/2023/01/28/il-ringhio-della-tigre-di-carta-chiamata-nato/

    RispondiElimina