Leggo dal capitolo terzo di un libro di tale Ludger Eversmann, pubblicato dalla Luiss con il titolo Karl Marx nell’era digitale:
«La teoria dello sfruttamento era sbagliata. Quando l’ora della proprietà privata giunse al termine, Marx volle “espropriare gli espropriatori”. Era convinto che i capitalisti fossero espropriatori per il semplice fatto di essere capitalisti: perché “sfruttavano” i lavoratori. Alla base c’era la sua “teoria del plusvalore”, forse l’elemento più debole del suo apparato teorico. La sua argomentazione procedeva così: in un capitalismo produttore di merci, la stessa forza lavoro è una merce con un valore derivabile dai suoi costi di produzione. Tali costi sono calcolati a partire dai mezzi utilizzati per “produrre” la forza lavoro dell’operaio: cibo, vestiario, un’abitazione con l’arredamento necessario e magari una formazione professionale; in altre parole, tutto l’essenziale per metterlo nelle condizioni di lavorare quotidianamente. Tuttavia, il capitalista vende le merci prodotte dal lavoratore a un prezzo superiore al loro valore effettivo, corrispondente al valore delle ore lavorative dell’operaio. Si genera così un plusvalore, sottratto ingiustamente al lavoratore; il capitalista sfrutta cioè la forza lavoro dell’operaio».
Dunque è questa la teoria del plusvalore marxiana che s’insegna alla Luiss !!!!!!!
Il plusvalore sarebbe generato dall’applicazione di un sovrapprezzo alle merci. Come non averci pensarci prima. Povero Marx, davvero sbagliava.
Sia chiaro, questa non è l’unica enorme sciocchezza che si può leggere nel libro di Ludger Eversmann. Mi limito a questa perché sta un po’ ad architrave di tutto le altre scemenze, cosa frequentissima quando questi pasticcioni e lazzaroni pensano di trattare da par loro Karl Marx.
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Già confondere plusvalore e profitti ingenera confusione, come già spiegavo per esempio in un post di 11 anni or sono. Non parliamo poi dell’ignoranza che vige sulla differenza tra massa del plusvalore e saggio del plusvalore, ciò che vale anche per il profitto. Altro discorso ancora riguarda la differenza tra plusvalore assoluto e relativo, che non è semplicemente una questione concettuale.
Come si vede, l’ignoranza regna sovrana, ma non si deve mai sottostimare la malafede di questi cialtroni.
Non starò qui ad illustrare che cos’è la teoria del plusvalore di Marx (tra i tanti post che ho scritto sull’argomento segnalo questo), mi limito quindi di seguito ad alcune osservazioni sui prezzi delle merci, questione nebulosa anche questa, specie in epoca di inflazione galoppante.
I prezzi delle merci non sono arbitrari; né sono decisi dai capricci soggettivi dei capitalisti. Piuttosto, i prezzi sono determinati da leggi e dinamiche oggettive.
I prezzi non sono determinati dalla somma di costi produttivi e da un sovrapprezzo (ridicolo che da tale pratica derivi il plusvalore), piuttosto i prezzi sono, in senso classico, l’espressione monetaria del valore delle merci.
Come per i prezzi, i profitti dei capitalisti non sono arbitrari. Non si ottengono barando, “comprando a buon mercato e vendendo caro”. Le leggi della concorrenza, in generale, impediscono ai capitalisti di aggiungere semplicemente un sovrapprezzo ai loro costi.
Questo almeno fino a una certa epoca. In effetti, nell’epoca in cui dominano le multinazionali, molte aziende – in particolare quelle più piccole, prive delle dimensioni e del potere di determinazione dei prezzi dei grandi monopoli – si lamentano di non poter semplicemente trasferire ai clienti l’aumento dei costi (in particolare per l’energia e i trasporti), senza vedere un impatto negativo sui loro saldi.
Questa è una questione vera e riguarda la lotta tra i grandi monopoli internazionali (si astrae qui dalla speculazione prettamente finanziaria), che puntano ad accaparrarsi quote di ricchezza a danno dei produttori più piccoli e dei consumatori. Tuttavia ciò non ha alcun riguardo con l’origine e la natura del plusvalore, ma semplicemente con la sua distribuzione tra i soggetti della produzione e del mercato. Né le politiche monopolistiche sui prezzi rendono la società più ricca in termini di ricchezza reale, ma ridistribuiscono la ricchezza socialmente prodotta a vantaggio dei più forti. È una partita a rubamazzo. Ciò vale anche nella lotta tra capitalisti e lavoratori, normalmente a scapito dei lavoratori (anche qui valgono i rapporti di forza).
Pare proprio che tutti o quasi i detrattori di Marx non abbiano letto dalla fonte ma da qualche "bignami" scritto da chissà chi.
RispondiEliminaDifatti non si capisce questa cosa del sovraprezzo da dove la prendano gli economisti, tenendo conto che il punto di partenza di Marx è lo scambio di equivalenti nel passaggio dal venditore al compratore nel mercato delle merci, cioè che alla fine della fiera il plusvalore non dipende da un "sovraprezzo" deciso dal mercato, Marx spiega la creazione del plusvalore nonostante lo scambio di equivalenti nel mercato delle merci.
Mi sa che è tutta colpa della legge della domanda e dell'offerta, che per gli economisti è la madre del profitto, ai salariati è pagato il "servizio" che offrono al capitalista, per cui per lorsignori economisti i salariati non possono essere mai sfruttati dato che per il servizio offerto vale la legge della domanda e dell'offerta.
Saluti,
Carlo.
Malafede, solo malafede
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