domenica 22 gennaio 2023

Nei difficili cammini dell’arte

 


Leggo dal libro diaristico Le case, le cose, le carte, di Elena Caradini Albertini, queste sue annotazioni alle pagine 278-79 riferite alla data del 9 maggio 1949:

Vado al Museum of Modern Art da non mancare a New York. Cuore dell’Arte Avanzata, mecca degli spiriti liberi. Edificio che s’spira all’ultimissimo stile nordico tedesco che poco si vede in questa città, a tutto suo vantaggio [della città, ovviamente].

[...] Nello squallido giardinetto, m’imbatto in una creazione surrealista a base di pezzi di metallo stranamente connessi e soggetti ad un certo movimento secondo quel poco fiato d’aria che può circolare in fondo a questo misero spazio libero tra altissimi edifici.

Due ragazzine slavate, intellettualissime, sono sedute in quel poco invitante angoletto ove proprio l’arte non “ride” né ride il cielo. Mi rivolgo a loro un po’ ironica e chiedo che significhino i pretensiosi rottami di ferro meno estetici e altrettanto ingombranti d’un’altalena abbandonata.

Difficult to explain, but you must look at the ... mobile, haning on the staircase from the top-floor. Surley you will like it!”. Non ci credo. Comunque salgo all’ultimo piano e m’infilo subito nelle salette seguendo istruttive spiegazioni che dalle pareti guidano l’inesperto nei difficili cammini dell’arte moderna.

[...] per quest’arte non ho mai provato e non riesco a provare desiderio. I sensi hanno pure la loro parte nell’apprezzamento artistico e i miei tacciono, semmai infastiditi o appena lontanamente attratti.

Finito il giro, eccolo lo strano coso ammirato da quelle ragazze. Un coso straordinario che ti prende come una piccola stregoneria. Pendaglio metallico leggero leggero che dondola al respiro d’un ventilatore o forse per l’air-conditioning nascosto. Seduta sul primo gradino della scala, guardo in su come una stupida a quella specie di aquilone ancorato che invita a fluttuanti pensieri e a relaxation. Si può dire quel che si vuole. Ma le ragazze avevano ragione, poverine. And I like it, I don’t know why: Calder autore di questo nonsense» [Alexander Calder, 1898-1976].

*

Elena C.A. era una persona, non solo per i suoi tempi e per la sua classe sociale, di non comune sentire e di cultura artistica superiore, aperta alle novità (fino a un certo punto, però). Uscendo dal museo: “Sto per comperare delle riproduzioni ma me lo vieto perché si tratta di arte che non so amare”.

Puoi amare un qualsiasi dipinto, anche non ben riuscito, ma come fai ad amare una lisca di pesce incollata su una tela bianca? Si può detestare il realismo sovietico, ma ha un suo perché e una sua identità riconoscibile. Quale identità se non quella della ripetitività stereotipata o della provocazione possono avere le opere degli “artisti” contemporanei?

La questione è sempre la stessa. Quando ti trovi di fronte a una cosiddetta opera d’arte contemporanea, ciò vale per le arti figurative così come per l’architettura o la musica, c’è sempre bisogno che qualcuno te la spieghi. Insomma, devono soccorrere delle parole, altrimenti non si capisce un tubo (neanche dopo la “spiega”, s’è per questo!). In pratica i dipinti e altre opere esistono soltanto per illustrare il testo, per diventare null’altro che teoria, nel migliore dei casi pura e semplice letteratura (neanche quella, date retta!).


Dopo la spiegazione, devi annuire fingendo di aver capito e di essere convinto della bontà artistica dell’opera, del suo alto significato, altrimenti passi per un ignorante, per un bimbo di cinque anni alle prese con un film pornografico di cui puoi seguire l’azione dei corpi ma non può comprendere le sfumature.

Eppure una pittura rupestre o una statuetta stilizzata del neolitico hanno già una loro qualità narrativa, non hanno bisogno di complesse e astruse spiegazioni per essere colte nel loro significato, almeno quello più immediato e percepibile ad oculum. Fu Gregorio Magno a dire che la pittura serve all’analfabeta quanto la scrittura a chi sa leggere. Oggi siamo tutti più istruiti e colti, la Fontana di Duchamp e per il resto l’intelligenza artificiale.

È il trionfo del formalismo considerare questa supposta arte con una sua logica interna, che in realtà non esiste. Non si tratta della difesa di un realismo ingenuo: l’analisi formale è importante, ma tenendo presente che le forme artistiche sono un prodotto e un riflesso della società, altrimenti incomprensibili se non inserite nel loro contesto storico. Al contrario, l’arte contemporanea non rivela alcun preciso contesto, se non quello del disorientamento e disfacimento, è diventata un gioco di società e soprattutto di mercato (eloquente l’episodio della ragazzina “artista” nel film La grande bellezza).

Non so quanto valgano queste mie considerazioni che possono apparire “retró”, ad ogni modo mi faccio accompagnare da quanto scriveva Elena nel suo libro in data 22 gennaio 1949 (lascio al lettore curioso eventualmente scoprirlo).

7 commenti:

  1. (Se è duplicato, cancellalo)
    Le tue considerazioni sulla necessità di "spiegare" l'opera sono sviluppate nel libro "The Painted Word" di Tom Wolfe. Il concetto è già espresso nel titolo.

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    1. mi pare di aver sviluppato il concetto a modo mio

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    2. Non dubito che la tua sia un'elaborazione originale. Ti volevo solo indicare un interessante riscontro

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  2. “I bambini sanno qualcosa che la maggior parte degli adulti hanno dimenticato”.
    https://comedonchisciotte.org/keith-haring-larte-come-enunciato-politico/

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  3. A volte guardando creazioni moderne ho il sospetto che avesse ragione Corrado Guzzanti quando faceva dire ad un suo personaggio, un televenditore, il tormentone: "L'opera d'arte è il suo prezzo".
    Ormai vanno spiegati pure i vini; non ci accontentiamo più di gustare qualcosa. Tutto deve essere cerebrale.
    (Peppe)

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  4. Ci sono persone a cui non riesco a spiegare, oggi, che un ready made puo essere arte. Vorrei chiedere l'aiuto da casa.

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