lunedì 23 novembre 2020

Non quei figli

 


Quanto può reggere stabilmente un ordine economico e sociale come quello attuale? Non mi riferisco alla “fine” del capitalismo (tema scientifico, non romantico), ma all’esplosione delle sue contraddizioni (*), quelle di un sistema entro il quale i lavoratori esistono per i bisogni di valorizzazione di valori esistenti, invece che, viceversa, la ricchezza materiale esista per i bisogni di sviluppo dei lavoratori.

Nelle condizioni odierne, che sono le più favorevoli ai lavoratori, il rapporto di dipendenza degli stessi al capitale riveste forme tollerabili o, come osservò qualcuno, “comode e liberali “.

Per rendere felice la società (nella frazione di chi non ha bisogno di lavorare per campare) e per render il popolo contento anche in condizioni povere, è necessario che la grande maggioranza rimanga sia ignorante che povera (la povertà commisurata allo sviluppo sociale dell’epoca, lo dico per gli sciocchi).

Ecco perché in una nazione libera in cui non siano consentiti gli schiavi, la ricchezza più sicura consiste in una massa di poveri laboriosi. Nozione questa che la classe dominante occidentale possiede in tutte le accezioni stereotipate del concetto di democrazia.

La gente che ha un patrimonio indipendente deve questa condizione quasi esclusivamente al lavoro altrui, non alla propria capacità, che non è assolutamente migliore di quella degli altri; non è il possesso dei mezzi di produzione e del denaro che distingue i ricchi dai poveri, ma il comando sul lavoro di questi ultimi.

Non per nulla le istituzioni civili borghesi, pur sancendo che il lavoro è a fondamento della società, riconoscono tuttavia che i frutti del lavoro possono essere appropriati anche in maniera diversa che non con il lavoro.

*

Considerata nei suoi singoli avvenimenti, l’economia è dominata dal caso; le sue leggi rimangono invisibili e incomprensibili ai singoli agenti. Le leggi interne che si attuano nei singoli casi e che li regolano, sono visibili solo quando questi casi sono riuniti in gran numero.

Ecco perché, per esempio, non sono pochi quelli che credono che le macchine creino nuovo valore, valore ex novo (plusvalore, impropriamente chiamato anche valore aggiunto); per non parlare poi del profitto commerciale e del profitto tratto dal commercio di denaro, settori nei quali è diffusa l’idea che il profitto derivi anche da circostanze dipendenti da furbizia, esperienza, abilità, truffa e migliaia di fattori che influiscono sul mercato, sembrando sgorgare interamente dalla circolazione e non dal processo di produzione stesso.

Il profitto appare ormai determinato in modo accessorio dallo sfruttamento diretto del lavoro, e tutto ciò per nascondere la vera natura del plusvalore e quindi l’effettivo meccanismo del capitale. Ci si potrebbe chiedere allora da dove venga l’accanita opposizione padronale intorno ai limiti della giornata lavorativa.

Senonché non tutto il plusvalore trova opportunità d’impiego produttivo, né come reddito viene completamente speso in consumi. I capitalisti di solito non prendono più di tre pasti il giorno, e anche i salariati non mostrano propensione a consumare tutte le ostriche, lo champagne e il caviale che offre il mercato.

Per acquistare tutto quel ben di dio invenduto serve creare della domanda aggiuntiva, quella che i sacerdoti del capitalismo chiamano “aggregata”. Altrimenti il meccanismo dell’accumulazione e della riproduzione del sistema s’inceppa; subentra la crisi, la pace sociale non è più garantita come prima, il potere politico è in bilico, c’è bisogno di cambiamento, il sistema democratico va a farsi fottere.

Chi meglio dello Stato, battitore di moneta, può, attraverso il debito, creare reddito sociale aggiuntivo? In tal modo si creano anche nuovi posti di lavoro, si pagano le pensioni, anche e soprattutto quelle fasulle, e tutte le altre belle cose che creano consenso e mantengono l’ordine sociale e il relativo voto di scambio, insomma quel sistema che fa dire ai suoi apologeti che è il migliore possibile e pertanto l’unico davvero desiderabile.

Come si ripiana il debito pubblico? Con le imposte. Chi le paga, e su quale ripartizione? Domanda cruciale, alla quale se ne aggiunge un’altra che è la risposta alla prima: chi avrebbe il coraggio di gettare una parte notevole del peso delle imposte sulle spalle della borghesia e di quei “ceti produttivi” elettoralmente determinanti?

Inoltre, l’indebitamento dello Stato è l’interesse diretto delle banche e della grande e media borghesia che governano e legiferano per mezzo del parlamento. Il debito statale è uno dei forzieri della tesaurizzazione della loro ricchezza, uno degli ambiti della loro speculazione e una delle fonti di arricchimento.

Quando la situazione del debito pubblico è instabile, c’è la possibilità di provocare delle oscillazioni straordinarie e improvvise nel corso dei titoli di Stato, favorendo l’arricchimento favolosamente rapido soprattutto dei giocatori in grande. È successo diverse volte, e chi sapeva in anticipo della crisi politica e del cambio di governo, ha provveduto per tempo.

Le tasse le paga solo chi non può evaderle o eluderle, ossia prevalentemente i redditi (reali) medio-bassi. Tutti gli altri, chi più e chi meno, la fanno franca. Quando sento dire che il debito pubblico graverà sulle spalle dei nostri figli, sorrido. Non sulle spalle dei figli di puttana.

(*) Le quali trovano espressione principalmente in due fatti complementari: il processo di produzione capitalistico è essenzialmente un processo di accumulazione; le stesse leggi che producono per il capitale sociale un aumento della massa assoluta del profitto producono anche una diminuzione del saggio del profitto.


16 commenti:

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    1. eppure non ho sparato a dei vecchietti :)

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    2. Ammirato anche per questo.
      Ammirato bene.
      ciao

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  2. due limiti nella massificazione estrema sono dati dall'ambiente e dal conflitto. Si può fare un debito accomodante finché non intervengono questi fattori.
    Il virus è in parte un esito ambientale, e le tasse, in Italia, le pagano i meno violenti.

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    1. le pagano quelli che non possono evitarle, anche certi redditi a tre cifre

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  3. Seguo sempre con attenzione,e spesso con ammirazione, i tuoi pezzi economici. Su alcune cose, è vero, non siamo d'accordo. Mi riferisco, in particolare, al capitale costante e capitale variabile, nonché alle epoche storiche, perché secondo me oggi viviamo in un'epoca postborghese che Marx non intravvide. Ma non vorrei più discutere di questo. Stiamo al tema: tu dici che l'unico modo per redimere il debito sono le tasse. Si può essere d'accordo, se però includiamo nella tassazione quella forma particolare che chiamiamo inflazione. Capisco che in questo preciso momento parlare di inflazione appaia irrealistico. Ma tante cose sono cambiate nell'arco di pochi decenni, e non è assolutamente detto che tutto si congeli per sempre nella situazione attuale. Qualche giorno fa, Mme Lagarde, persona sgradevole ma pur sempre a capo della BCE, ha detto che lei creerà moneta ad libitum. Mi pare che i presupposti per una futura ripartenza dell'inflazione ci siano tutti. Paradossalmente, la presenza dell'euro, che fu causa di inflazione al suo avvento, potrebbe fare da freno: ma fino a un certo punto. Ed ecco che, magicamente, il debito si dissolve. Qualcuno ne fa le spese, è chiaro. Per questo dicevo che anche quella è una forma di tassazione.

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    1. "tu dici che l'unico modo per redimere il debito sono le tasse."

      Oh, no, amore. ho scritto diversi post su questo, è esattamente quello che crede Piketty, quel furbacchione.
      di là delle apparenze, il tema del post è il plusvalore. sempre lo stesso, maniacalmente.

      grazie per i tuoi commenti, sempre interessanti.

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    2. Saprei di più su Piketty se fossi un lettore dei settimanali di gossip di G. Cairo. Purtroppo, così non è.

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  4. il debito pubblico si ripiana stampando moneta. Mi sorprende sempre la sua ostinazione nel negarlo. Credo sia dovuta al fatto che lei si rende conto che, se usata bene, l'arma dello stampare moneta sarebbe in grado di mitigare notevolmente gli effetti collaterali negativi del capitalismo.

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  5. Di una cosa, indubbiamente, bisogna rendere onore al merito dei "cavalieri del lavoro" altrui. Il fatto che sono stati capaci di sedare ogni forma di conflitto tra loro e i "comandati", ovverosia di esser riusciti a nascondere, da bravi giocatori e falsari, lo scontro di classe dal quale sono risultati vincitori assoluti. Bravi padri e figli di puttana, sì.

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  6. Gentile Olympe,
    questo tuo bellissimo post non mi ha schiarito le idee e ti rifaccio delle ulteriori domande: il debito pubblico è un meccanismo utilizzato per sottomettere il popolo? Ed attraverso questo, da parte di chi ne possiede una quota, ricattare e indirizzare le scelte dei popoli? E una società marxista puo basarsi sui meccanismi delle società capitalistiche e borghesi? Noi l’ingerenza l’abbiamo già subita, da parte della Germania, quando con il governo Berlusconi fecero schizzare lo “spread”, altro trucco, alle stelle. Confidando in un suo benevolo ascolto, la saluto
    roberto b

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    1. Caro Roberto, non è questione di benevolenza o meno, ma rispondere alle domande poste, senza liquidarle con delle frasette, richiederebbe una lunga trattazione e molto tempo. con molta cordialità

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