domenica 11 ottobre 2020

Quel pirata del papa

 

Walter Brandmüller è un cardinale, arcivescovo cattolico e storico tedesco, assurto alle cronache per un commento fortemente critico nei confronti del documento programmatico pubblicato in preparazione del Sinodo sull’Amazzonia, svoltosi il 6 ottobre 2019 in Vaticano. Il cardinale ha definito l’Instrumentum laboris come un testo viziato da eresia e apostasia. Non le ha mandate a dire a Francesco.

Brandmüller è incidentalmente il prefatore del libro di Mario Prignano, Giovanni XXIII, l’antipapa che salvò la Chiesa. Prignano è un discendente (come può esserlo dopo sei secoli) di papa Urbano VI, e il suo libro merita senz’altro la spesa poiché si legge davvero come un romanzo pur essendo un’opera di sicuro rigore, basata su fonti primarie, anche inedite, che non concede nulla alla fantasia e tuttavia non lesina dettagli di costume e aneddoti veraci e gustosi.

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Tutto ha inizio dal cosiddetto Scisma d’Occidente. L’8 aprile 1378, un gruppo di cardinali, scontenti della sua gestione, contestarono a Bartolomeo Prignano (1378-1389), da pochi mesi eletto papa col nome di Urbano VI, la legittimità della sua elezione, tanto che in contrapposizione elessero un antipapa, ossia Roberto di Ginevra, che assunse il nome di Clemente VII (1378-1394), di obbedienza avignonese, cui successe l’aragonese Pedro de Luna, ossia l’ostinatissimo Benedetto XIII (1394-1423).

A Urbano VI, di obbedienza romana, succedettero: Pietro Tomacelli, col nome di Bonifacio IX (1389-1404), quindi Cosimo de’ Migliorati, Innocenzo VII (1404-1406), poi il veneziano Angelo Correr, ossia Gregorio XII (1406-1415).

Arriviamo così al concilio di Pisa, che si aprì il 5 giugno 1409 con sei cardinali “avignonesi” e otto “romani”. Il concilio si annunciò come un processo in piena regola contro i due pretesi pontefici, vale dire Gregorio XII e Benedetto XIII. L’obiettivo fu di dare seguito al fatto che, siccome i due papi rivali allora regnanti non avevano saputo onorare la loro rinuncia al papato, così come solennemente promesso, si rendeva necessaria la loro deposizione e l’elezione di un nuovo papa, che sarebbe stato l’unico romano pontefice.

Milioni di cristiani, fino ad allora divisi tra Avignone e Roma, dovevano essere ricondotti d’autorità ad una terza obbedienza, quella “pisana”.

Dopo la Francia (Carlo VI), anche la Polonia, il Portogallo e l’Inghilterra si schierarono contro i due papi regnanti a favore del concilio di Pisa. I due antipapi, convocati dal concilio, non presentandosi, furono dichiarati contumaci e indicati come “serpenti a sonagli, eretici ostinati, scismatici notori, indegni del papato, colpevoli di spergiuro e altri crimini enormi”. I patriarchi di Alessandria, Antiochia e di Gerusalemme, in apertura del concilio, dichiararono “veri e notori” tutti i crimini ascritti a carico dei due papi impostori, per cui vennero “definitivamente deposti e diffidati dal considerarsi pontefici”.

Lo scisma non era certo chiuso, ma veniva messo un punto fermo. Mancava ora di sapere chi sarebbe stato il nuovo “autentico” papa. I cardinali francesi non volevano un papa italiano, gli italiani non volevano un francese. Fu così che elessero un frate minore, originario di Candia, orfano di genitori, diventato arcivescovo di Milano, poi cardinale presbitero: Pietro Filargo, che prese il nome di Alessandro V.

In tal modo, a complicare ancora di più le cose, si ebbero tre papi.

Uno dei principali fautori della elezione di Pietro Filargo fu il suo amico Baldassarre Cossa, cardinale di Bologna. Alessandro V aveva 70 anni, un carattere allegro, amante del buon vino, ma anche generoso fino all’eccesso. Si permise, con una sua bolla, la Regnans in excelsis, di autorizzare francescani, domenicani, agostiniani e carmelitani a confessare, seppellire i morti e, abominio maggiore, raccogliere le decime. La qual cosa scatenò, com’era prevedibile, un putiferio. Le gerarchie ecclesiastiche e le più importanti facoltà teologiche avevano sempre rivendicato, in quanto pastori responsabili delle comunità dei fedeli, tali attività.

Alessandro nominò Luigi II d’Angiò re di Napoli nonostante il trono fosse occupato da Ladislao di Durazzo. Nel frattempo, Roma, la storica rivalità tra gli Orsini e i Colonna infuriava. I Colonna erano schierati con il re di Napoli Ladislao, gli Orsini con i Francesi. Intanto i romani tribolavano per la carestia.

Alessandro V non prese mai possesso del Vaticano. Roma era in mano alle truppe di Ladislao, nonostante l’iniziativa di Cossa e di Luigi II d’Angiò, che in base alla nomina papale rivendicava il trono di Napoli, di cacciarli dalla città. Sul momento vi riuscirono solo in parte. Alessandro voleva indire un anno santo, ma a Bologna cadde gravemente malato e poco dopo la notte del 4 maggio 1410 lasciò questo mondo. Ovviamente si parlò di avvelenamento.

Il 14 maggio 1410 s’aprì il conclave nel palazzo del podestà di Bologna. Dei 17 cardinali presenti solo uno era spagnolo, 3 francesi e 13 italiani, tra il quali sette napoletani e tre romani.

Baldassarre Cossa, originario di Ischia, erede di una famiglia locale proprietaria di una flotta che si dedicava anche le azioni di pirateria, pronto a riprendere la guerra contro Ladislao, era il candidato in pole position. In appena tre giorni il sacro collegio trova l’unanimità, e la trovò attorno all’unico candidato che poteva mettere d’accordo tutti.

In memoria del padre, Cossa adottò il nome di Giovanni XXIII. In quanto semplice cardinale diacono, non aveva mai celebrato messa: toccò quindi al cardinale di Ostia, Brogny, colmare la lacuna ordinandolo prete e consacrandolo vescovo.

Come Giovanni XXIII divenne a sua volta un antipapa è questione che riguarda il concilio di Costanza. Di cui forse dirò.


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