Il Nagorno Karabakh è uno Stato che non esiste, eppure si dibatte tra la guerra e la pace da trent’anni. Amato dagli armeni (cristiani), conteso dall’Azerbaigian (islamico), dimenticato dal resto del mondo, è un piccolo fazzoletto di terra del Caucaso meridionale, non più vasto dell’Umbria. Con una popolazione laboriosa di circa 1,5 milioni, gran parte del territorio è costituito da zone montuose coperte da foreste, mentre è pianeggiante il lato meridionale lungo il confine con l’Iran.
Il Nagorno Karabakh è quasi interamente occupato dalla Repubblica dell’Artsakh (così denominata a seguito del referendum del 2017), costituitasi nel 1991 con il nome di Repubblica del Nagorno Karabakh, autoproclamatosi indipendente dall’Azerbaigian e riconosciuto solo da tre stati non appartenenti all’ONU. Non vi fa però parte la regione settentrionale di Shahumian (attuale distretto di Goranboy, vedi cartina) sotto controllo dell’Azerbaigian dopo la guerra di trent’anni fa.
Nel 1991 la regione, come detto, si proclamò unilateralmente indipendente, ma ancora oggi per il diritto internazionale fa capo al governo di Baku. Dopo un conflitto con migliaia di morti e centinaia di migliaia di profughi da entrambe le parti, nel maggio del 1994 l’Armenia, l’Azerbaigian e l’autoproclamatasi Repubblica del Nagorno Kabarakh sospesero le ostilità e firmarono l’accordo di Bishkek.
Da allora sono in corso negoziati di pace sotto l’egida del Gruppo di Minsk, una struttura di lavoro creata nel 1992 dalla Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa. In pratica uno stallo.
La guerra è ripresa in questi giorni tra azeri e armeni, gli uni sostenuti dalla Turchia (gli azeri sono etnicamente turchi), che invia miliziani siriani (martedì, il Guardian ha intervistato i siriani della regione di Idlib assunti dalle milizie islamiche per 7.000-10.000 lire turche il mese per lavori di “sicurezza” in Azerbaigian), e gli altri dalla Russia. Tanto per non farci mancare nulla c’entra anche l’Iran, nel nord del quale vive una consistente popolazione azera.
Il presidente Recep Tayyip Erdoğan, che evidentemente ha interesse a rimuovere l’attenzione dai suoi problemi economici interni, ha chiesto agli azeri di espellere l’Armenia dal Nagorno-Karabakh e ha promesso che “il popolo turco sta con i suoi fratelli azeri con tutti i mezzi”. Ciò intensifica le tensioni con il principale sostenitore regionale dell’Armenia, la Russia.
Fonti armene affermano di aver distrutto 83 droni, sette elicotteri, 166 veicoli corazzati, un aereo da guerra e una batteria missilistica, e di aver causato 920 vittime. L’Azerbaigian afferma di aver distrutto 130 veicoli corazzati, 200 sistemi di lancio di artiglieria e missili, 25 batterie missilistiche di difesa aerea e un sistema di difesa aerea S-300, provocando 2.300 vittime. Ovviamente si esagera nei conteggi, e però queste cifre possono dare l’idea che non si tratta di una mera scaramuccia di confine.
Questo è il più sanguinoso combattimento armeno-azero dalla guerra del 1988-1994 tra le due ex repubbliche sovietiche. Ora però il conflitto è invischiato nelle innumerevoli rivalità geopolitiche e conflitti etnici locali, senza dimenticare l’interesse degli Stati Uniti a isolare e minacciare sia l’Iran che la Russia, tramite la quale si muove l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO), che comprende le repubbliche post-sovietiche di Russia, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan.
Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha chiamato il presidente russo Vladimir Putin e il presidente francese Emmanuel Macron per discutere sul da farsi. I francesi hanno lo zampino ovunque, come se il loro impero fosse quello del 1900. La Francia sostiene le parti opposte alla Turchia nella guerra civile libica e sostiene le rivendicazioni marittime greche nel Mediterraneo, dunque ha motivo di immischiarsi nella politica turca nel Caucaso.
Macron, in una conferenza stampa a Riga, dove si stava recando per discutere della crisi elettorale in Bielorussia (proprio non si fa sfuggire nulla) ha dichiarato: “La Francia è molto preoccupata per le dichiarazioni bellicose della Turchia nelle ultime ore, che danno il via libera all’Azerbaigian di riconquistare il Nagorno-Karabakh. Questa è una situazione che non accettiamo”.
Come diceva quel vecchio maestro elementare cinese? Ah sì: “una scintilla può dar fuoco a tutta la prateria”. Mi pare che ci siano già parecchi fuocherelli accesi, tuttavia continuiamo a guardare con ottimismo il futuro.
Ci ritroveremo alleati dell'odiata Russia contro la guerrafondaia Turchia di Erdogan? Possono gli Usa far parte di una coalizione che si contrapponga ad un utile attore geopolitico antieuropeo nel Medio Oriente, in Tripolitania, nel Mediterraneo Orientale ed antirusso nel Caucaso?
RispondiEliminaEccezionalmente due E-6B Mercury sono stati rilevati in volo su entrambe le coste degli Usa nei minuti precedenti all'annuncio della infezione della coppia presidenziale (sito forbes.com).
Per l'orologio dell'apocalisse continuano a mancare 100 secondi alla mezzanotte. (Peppe)
sai bene che nel gioco geopolitico (e politico in generale) non esiste nemico-amico se non nell'accezione dettata dalle circostanze e dagli interessi
EliminaGià, per questo penso che Erdogan e il suo entourage abbiano dimenticato, almeno temporaneamente, il brutto scherzo del tentato golpe del 2016 ordito sotto l'amministrazione Obama-Biden. Senza considerare che la Turchia non ha mai abbandonato la NATO, per statuto guidata dagli Usa, pur continuando le schermaglie con Francia e Grecia. (Peppe)
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