sabato 3 ottobre 2020

Cesare Beccaria precorritore di Donald Trump

 

Considerato che diventa insostenibile avere una posizione diversa in tema di Sars-CoV-2 da quella degli allarmisti isterici da una parte (3-4.000.000 tamponi il giorno!) e da quella dei cosiddetti negazionisti dall’altra (le mascherine non servono a un cazzo), nel senso che, come dice un amico, si rischia di prenderle dagli uni e dagli altri, meglio occuparci di “quei dettagli che sui costumi e sulle arti e sulle scienze possono portar lume”, specie guardando al passato che del futuro non c’è certezza e il presente è infinita pena.

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Quale immagine ha fissato la posterità di un personaggio come Robespierre? È quella dell’incorruttibile tiranno, dell’irriducibile apostolo della Dichiarazione dei diritti, ma anche del giacobino della prima e dell’ultima ora, del proscrittore dei girondini e del loro inesorabile giustiziere e carnefice. Questo almeno racconta la vulgata, e in tutto ciò c’è anche del vero.

Forse lascerà quasi incredulo più d’uno sapere che Robespierre non solo fu favorevole al mantenimento dell’istituzione monarchica, ma anche contrario alla pena di morte, tanto che il 30 maggio 1791, già personaggio noto, prese la parola all’Assemblea nazionale costituente riprendendo i due punti essenziali sviluppati dai riformatori dei Lumi per dire di essere contro la “barbarie” delle antiche leggi penali: la pena capitale è infondata teoricamente e inefficace in pratica.

Posizione identica a quella espressa dal Beccaria su input del Verri e supporto storico-giuridico di Luigi Lambertenghi, nell’opera Dei delitti e delle pene, un altro di quei libri famosi e tanto citati ma che pochi si prendono la briga di leggere di prima mano, altrimenti saprebbero per esempio che Beccaria, in fatto di porto e uso privato delle armi, fu precorritore di tale Donald Trump.

Questo è Robespierre che sta all’opposizione, poi quando entra a far parte del Comitato di salute pubblica, nel luglio del 1793, la sua posizione è già cambiata da tempo, cioè al momento del processo contro Luigi XVI. La Convenzione nazionale è divisa, ogni partito, ogni fazione, tira l’acqua al proprio mulino. C’è anche chi vuole salvare la testa al re chiedendo che ci si appelli al popolo per le decisioni.

Robespierre, nella sede dei Giacobini, il 12 dicembre 1792, pronuncia un violentissimo discorso inteso a dimostrare che “la nazione è nelle mani di furfanti”. Poi, il successivo 28, alla Convenzione, respinge con veemenza la proposta di fare appello al popolo per giudicare il re. Egli è innanzi tutto convinto che l’esecuzione di Luigi XVI sia indispensabile per “cementare le libertà con un grande esempio dato all’universo”.

Il punto di vista politico di Robespierre è realistico, se si può usare questa espressione. Come disse un vecchio bibliotecario cinese, la rivoluzione non è un pranzo di gala. Non si giustiziava Luigi Capeto, bensì si decollava Luigi XVI e ciò che egli rappresentava, cioè la continuità del vecchio regime, in quel frangente la restaurazione e quindi il motivo della controrivoluzione. Per Robespierre vale il principio secondo cui il potere principale è quello legislativo, mentre quello esecutivo è secondario, del quale occorre assicurarsi la fedeltà. Un’assicurazione che la monarchia non poteva offrire alla rivoluzione. E allora: zàcchete.

5 commenti:

  1. Cioè non credeva riproducibile in terra di Francia il modello inglese, tanto ammirato dal Voltaire. (Peppe)

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  2. La posizione di Robespierre coincide con quella di Beccaria anche quando si adopera per far giustiziare il re, e, tutto sommato, anche nel successivo periodo del Terrore. Beccaria, infatti, giustificava la pena di morte per difendersi dalla rivoluzione o dalla controrivoluzione. Indubbio che a Robespierre sia un po’ scappata la mano, ma si parla in via concettuale.

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  3. Al TG1 esaltazione incondizionata del MOSE opera salvifica e protettrice della laguna e della Basilica. (fuori tema ma non sono riuscito a trattenermi!) GS

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