mercoledì 21 ottobre 2020

Sarebbe questo il punto di svolta per il federalismo europeo?

 

È passata una settimana dal rapporto World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale che ha indicato un graduale rafforzamento dell’economia internazionale nel 2021, e già le sue previsioni iniziano a far acqua.

All’inizio di questa settimana, la Cina ha reso noto che la sua crescita è stata del 4,9% nel terzo trimestre, dopo il 3,2% nel secondo trimestre e una contrazione del 6,8% nei primi tre mesi dell’anno. Indubbiamente un importante aumento della produzione industriale sostenuto dallo Stato, ma il risultato cinese è l’unico numero positivo all’orizzonte.

Non c’è alcuna prospettiva realistica che la Cina possa ripetere il ruolo che ha svolto dopo la crisi del 2008, quando le sue massicce misure di stimolo, alimentate dalla crescita del debito, hanno funto da volano dell’economia mondiale, e in particolare nei paesi esportatori di materie prime.

Nonostante le dichiarazioni ufficiali ottimistiche sul rimbalzo favorevole della Cina e sul ruolo che esso avrà nel promuovere una ripresa economica globale, i dati non sono stati all’altezza delle aspettative degli economisti, con segni di una rallentamento nel fondamentale settore delle infrastrutture.

Le prospettive economiche globali sono instabili e incerte, tanto più per quanto riguarda l’Europa. Il FMI prevede una caduta dell’8,3% nell’economia della zona euro per quest’anno (che non è poca cosa!), seguita da un “rimbalzo” del 5,2% per il 2021. Tuttavia, questo ottimismo sembra fuori luogo visto come stanno procedendo le cose.

Non a caso il Financial Times ha scritto questa settimana che “l’economia europea sta scivolando verso una doppia recessione”, visto quanto velocemente si sta andando verso i blocchi delle attività commerciali e shock di fiducia, con impatti devastanti soprattutto nei settori dei servizi ad alta intensità di forza-lavoro.

Questo fatto sarà “apprezzato” in Italia non appena sarà revocato il blocco dei licenziamenti e certi altri nodi finanziari e sociali verranno al pettine.

Le previsioni della BCE di una crescita della zona euro del tre per cento nel quarto trimestre, forse non sono azzardate grazie all’effetto “traino” del terzo trimestre ma bisogna tener conto che la spesa per consumi nelle festività natalizie sarà fortemente penalizzata se perdura questa situazione di panico generalizzato. Quanto poi a un ritorno dell’economia a livello pre-pandemico nel 2022, come ipotizzato, mi sembra davvero un ottimismo eccessivo.

E tutto ciò proprio quando molti Stati membri stavano ancora scommettendo su una forte ripresa nel 2021 e pianificando la politica fiscale conseguente. Anche perché non vedo un significativo coordinamento della politica economica europea, che sarebbe quanto mai necessario in questo frangente, fatto salvo l’accordo di luglio sul Recovery Fund.

Tuttavia i negoziati sui dettagli del Recovery Fund, cioè il prestito congiunto da 750 miliardi di euro, che entrerà in vigore l’anno prossimo, pare si siano bloccati sulle delle clausole secondo cui i pagamenti potrebbero essere sospesi ai paesi che hanno violato certi principi dell’UE.

E sarebbe questo il tanto decantato punto di svolta per il federalismo europeo?


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