domenica 25 ottobre 2020

Marx e l'abolizione del papato

 

Nel corso delle ricorrenti crisi del capitalismo sono state portate avanti da teorici riformisti varie teorie che sostengono che queste “disarmonie” possono essere superate, se non del tutto eliminate, agendo sul sistema monetario senza toccare le fondamenta stesse della produzione capitalistica.

Uno di questi teorici fu Clifford Hugh “CH” Douglas, un ingegnere britannico che fece una scoperta straordinaria. Leggo da Wikipedia:

«Mentre stava riorganizzando il lavoro del Royal Aircraft Establishment durante la prima guerra mondiale, Douglas notò che i costi totali settimanali delle merci prodotte erano superiori alle somme pagate ai lavoratori per salari, stipendi e dividendi. Questo sembrava contraddire la teoria dell'economia classica ricardiana, affermando che tutti i costi sono distribuiti simultaneamente come potere d’acquisto».

Peggio di così non si poteva dire. Douglas ”scopriva” che c’è una differenza tra il valore prodotto dalla forza-lavoro e i salari erogati, ossia che questi ultimi erano di valore inferiore.

Douglas raccolse i dati da più di 100 grandi imprese britanniche e “scoprì” che tutte, tranne quelle in bancarotta, pagavano meno in stipendi, ossia che “il sistema economico era organizzato per massimizzare i profitti per chi deteneva il potere economico”. Quel Candide di Douglas, dopo tanta faticosa indagine, giungeva alla conclusione che i capitalisti non rischiano il loro capitale per beneficienza.

Il sistema capitalistico, lasciato alla sua spontaneità, non tende all’equilibrio a causa della crescente divaricazione tra domanda e offerta. Non c’è teoria riformistica che non punti a risolvere tale squilibrio. Ecco che occorre creare una domanda aggiuntiva o “aggregata”. In tal senso gli economisti e altri tirapiedi ne escogitano di ogni colore.

Douglas, tra il 1916 e il 1920, sviluppò le sue idee economiche pubblicando due libri nel 1920, Economic Democracy e Credit-Power and Democracy, seguiti nel 1924 da Social Credit. La sintesi di queste farneticazioni: l’idea base di riforma di Douglas era di portare il potere d’acquisto dei lavoratori in linea con la produzione, cioè col valore delle merci prodotte, proponendo la creazione di un “credito sociale”.

La sua proposta si basava su due punti: un dividendo nazionale per distribuire denaro (credito senza debito) equamente a tutti i cittadini, prescindendo dai loro guadagni, per contribuire a colmare il divario tra potere d’acquisto e prezzi; propose anche un meccanismo di aggiustamento dei prezzi, chiamato “prezzo giusto”, per prevenire l’inflazione.

Non bisogna credere che le “idee” di questo coglione rimanessero senza conseguenze. La teoria del “credito sociale” di Douglas e la sua nozione di “domanda insufficiente” trovarono espressione nelle opinioni di Keynes, che sosteneva che i problemi dell’economia capitalista derivassero da una domanda effettiva insufficiente, un divario che dovrebbe essere colmato dalla spesa pubblica. La provocatoria ipotesi di Milton Friedman sull’helicopter money (1969) va sostanzialmente nello stesso senso. Eccetera.

Durante gli anni 1920, le principali valute erano ancora legate all’oro, una situazione che venne considerata da alcuni critici come responsabile della continuazione di condizioni economiche depresse.

Nel 1924, l’economista tedesco Georg Friedrich Knapp avanzò una nuova teoria della moneta, sostenendo che il denaro non nasceva dalla produzione di merci e non aveva alcun valore intrinseco. Era un segno creato dai governi come mezzo di pagamento per gli obblighi fiscali che imponevano. Questa teoria è nota come cartalismo (derivato dalla parola latina charta).

Tutte queste teorie possiamo farle risalire a Proudhon e ad altri consimili riformisti, e come quella di Keynes hanno una prospettiva politica molto definita. Emergendo in periodi di crisi economica e sociale, postulano che queste crisi non derivano dalle contraddizioni intrinseche del capitalismo, ma possono essere superate attraverso un cambiamento delle politiche governative e l’adozione di un nuovo sistema monetario e creditizio (*).

Le crisi non sarebbero il risultato delle contraddizioni oggettive del modo di produzione capitalistico, ma di concezioni economiche, monetarie e fiscali sbagliate.

Gli Stati sono emittenti di denaro e non sono soggetti ai vincoli dei normali debitori. Una famiglia non può creare moneta per finanziare le proprie spese, ma i governi possono farlo. Ciò significa che i limiti alla spesa che si applicano a una famiglia non si applicano a un governo sovrano che emette la propria valuta e può finanziare le sue spese semplicemente stampando più denaro.

Non ci si spinge a sostenere che non vi siano limiti a tale spesa, ma che tali vincoli finanziari sorgono solo quando tutte le risorse disponibili dell’economia reale sono pienamente utilizzate e l’ulteriore spesa pubblica oltrepassi la capacità dell’economia. Ed è appunto ciò che in buona sostanza accade sotto i nostri occhi, ossia che la spesa pubblica oltrepassa sempre la capacità dell’economia creando debiti pubblici crescenti, i quali consentono, a loro volta, la speculazione sui titoli di Stato e dunque una forma ulteriore di drenaggio della ricchezza sociale.

A ben vedere, l’errore di questi riformatori non è sostanzialmente dissimile da quello in cui sono incorsi i vari sistemi “comunisti” del Novecento, ossia credere che sia sufficiente statalizzare i mezzi di produzione, pianificare quest’ultima, per raggiungere l’obiettivo di realizzare il “comunismo” senza però superare un’economia sostanzialmente basata sul valore di scambio (interno ed estero) e i relativi rapporti sociali (una lettura unilaterale del rapporto struttura/sovrastruttura). I “cambogiani”, poi, ebbero un’alzata di genio: per disfarsi in fretta di un’economia basata sul valore di scambio fecero tabula rasa dell’economia e della società ritornando a un baratto di mera stentata sussistenza e a rapporti sociali tipici del dispotismo asiatico.

Con ciò cosa voglio dire, che il capitalismo è eterno e che dobbiamo tenerci questo sistema e le sue “aporie”? Manco per idea; tuttavia non dipende dalla nostra volontà soggettiva stabilire il come e il quando, e però non vuol dire nemmeno starsene immobili a guardare il fiume che scorre. C’è una dialettica anche tra immanenza delle leggi e attività umana. L’attività umana stessa è attività oggettiva. L’attività pratica è il modo in cui possiamo dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere del nostro pensiero: non contro le leggi di natura, ma adoperandole a nostro vantaggio attraverso il processo della conoscenza.

(*) Nell’inverno 1857-58, nel mezzo di una crisi economica globale, Marx scrisse la bozza iniziale dell’opera che sarebbe diventata Il Capitale, per la critica dell’economia politica, pubblicata nel 1867. Il primo abbozzo è pervenuto a noi sotto forma dei cosiddetti Grundrisse (Lineamenti fondamentali per la critica dell’economia politica, pubblicati a Mosca per la prima volta nel 1939).

Il punto di partenza di Marx fu un’analisi del denaro e la confutazione delle teorie di Pierre-Joseph Proudhon, a quel tempo considerato uno dei principali teorici socialisti. I Grundrisse prendono le mosse da una citazione di uno dei seguaci di Proudhon, Alfred Darimon:

«Tutto il male viene dal predominio che ci si ostina a conservare ai metalli preziosi nella circolazione e negli scambi».

Secondo i proudhoniani, le “disarmonie” del capitalismo e del sistema sociale che gli corrisponde potrebbero essere superate se solo l’oro e altri metalli preziosi fossero rimossi dal loro status privilegiato di denaro e ridotti allo status di merci ordinarie. Se ciò fosse fatto, la disuguaglianza dello scambio tra capitale e lavoro potrebbe essere eliminata e la naturale uguaglianza di tutte le forme di lavoro potrebbe essere ripristinata.

La sostanza della confutazione di Marx consisteva nel dimostrare che il denaro non era un dispositivo ad hoc “inventato” allo scopo di facilitare lo scambio, ma nasceva dal sistema stesso di produzione delle merci, in cui il valore del lavoro contenuto nelle diverse merci deve trovare una misura indipendente di equivalenza che ne permetta lo scambio. Il denaro, insisteva Marx, non nasce per convenzione ma si sviluppa da una società basata sullo scambio di merci.

Il punto essenziale stabilito da Marx, attraverso un’analisi dettagliata delle concezioni proudhoniste, era che il denaro non creava i conflitti e le contraddizioni della società capitalista: «Non è il denaro che produce queste antitesi e contraddizioni; è piuttosto lo sviluppo di queste contraddizioni e antitesi che produce il potere apparentemente trascendentale del denaro».

Lo scopo dei proudhoniani era di farla finita con i mali sociali della società borghese, resi sempre più evidenti a causa delle crisi economiche ricorrenti, intervenendo sulla distribuzione e circolazione senza toccare i rapporti sociali di produzione, basati sulla produzione di merci.

Marx sollevava una questione fondamentale: « ... è possibile rivoluzionare i rapporti di produzione esistenti e i rapporti di distribuzione ad essi corrispondenti mediante una trasformazione dello strumento di circolazione — trasformando cioè l’organizzazione della circolazione? Inoltre: è possibile intraprendere una simile trasformazione della circolazione senza toccare gli attuali rapporti di produzione e i rapporti sociali che poggiano su di essi?».

Marx rispondeva perentorio: sarebbe come voler abolire il papato senza farla finita con la Chiesa cattolica.


2 commenti:

  1. Riguardo al sig.Douglas, dirò, prendendo a prestito la frase, che non l'ho letto e non mi piace. Riguardo allo sganciamento della moneta dall'oro, mi pare che da mezzo secolo a questa parte non ci sono più querelles. Forse qualche parola di più meritano le apparenti contrapposizioni fra monetaristi e keynesiani. Apparenti, a mio parere, perché se dovessi definire Keynes con una sola parola lo definirei, appunto, monetarista. Come mi riesce difficile vedere la differenza fra l'helicopter money di M.Friedman e il reddito di cittadinanza del noto aspirante Premio Nobel di Pomigliano d'Arco.
    Insomma, in questo quadro bisogna riconoscere che Marx ne esce meglio di tutti.

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