Basta con la povera carne umana mercanteggiata dagli
uni e dagli altri, passiamo ad altro.
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Come stroncare un libro in modo inappellabile pur
scrivendo che si tratta di “un’ottima presentazione
ragionata di temi e problemi che continuano a occupare la mente e cuore di
molti intellettuali” [e di qualche semplice lettore, si conceda] ?
Riesce bene a Sebastiano Maffettone sul Domenicale nel recensire il libro di
Giorgio Cesarale, professore di filosofia politica, dal titolo: A sinistra: il pensiero critico dopo il 1989.
Scrive il recensore:
“Entrando nel merito, la selezione da
parte di Cesarale degli autori di sinistra privilegia troppo – a parer mio
– una linea post-modernista e per così dire French-thought. Questa scelta schiaccia la sinistra sulla identity
politics, e rischia di far diventare il dopo marxismo un parente di Deleuze e
Derrida, per non dire di Heidegger e Nietzsche”.
Meglio di così non si poteva dire, e ciò vale per tutta la filosofia politica di
“sinistra” di questi ultimi decenni. Rincara e precisa Maffettone:
“Ora, per quel che credo la sinistra
non può prescindere dall’eredità marxiana, e Marx non solo non somiglia a Fanon
e Said ma è direi l’opposto di qualsiasi pensare post-moderno”.
Questo assunto – forse in senso contrario alle
intenzioni del recensore – lo leggo personalmente come un ineccepibile
chiarimento che sta a distinguere l’originale dal surrogato, l’eredità marxiana
dal dilagamento escrementizio che ne è seguito specie negli ultimi decenni. C’è
chi dalla grande miniera di Marx ha saputo trarre ricchezza; chi è riuscito a estrarne
almeno qualche pagliuzza di valore (spero sia anche il mio caso); chi invece,
ed è maggioranza, crede che quella miniera sia costituita da un accumulo d’inutili
pietre, peraltro di pietre “filosofali”.
Continua Maffettone:
“Sono consapevole che qui stiamo
disputando sul filo di interpretazioni controverse. Ma […] proprio
faccio fatica a immaginare che, per esempio, chi si accosta alla sinistra
teorica oggi debba passare attraverso l’opera tutto sommato modesta di Slavoj
Zizek oppure debba capire fino in fondo il tortuoso Alain Badiou”.
Messa la prua nella giusta direzione, Maffettone
prosegue a vele spiegate:
“[…] la stessa presenza di Agamben tra
i fondamentali della sinistra crea problema, questa volta non per il livello
intellettuale stesso ma per il livello se mi si perdona ‘soprastrutturale’
della sua analisi. Al tempo stesso, se appare ineccepibile ricordare
l’importanza dello spesso trascurato Giovanni Arrighi o quella di Wolfgang
Streeck, affidare i destini intellettuali della sinistra al populismo di
Ernesto Laclau o alla queer theory di Judith Buttler appare quantomeno
discutibile”.
Su Giovanni Arrighi avrei personalmente molto da
ridire, tuttavia complessivamente non si può non essere d’accordo
sull’impostura che Maffettone rileva a proposito di quelli che passano per
essere i maître à penser di una sinistra critica che usa un frasario ermetico
per nascondere il vuoto d’idee.