lunedì 11 settembre 2017

Come e più di prima


Un tempo gli uomini erano costretti a lavorare perché schiavi di altri, oggi perché sono schiavi dei loro bisogni, se reali o fittizi non fa alcuna differenza. Il bisogno è il mezzo violento per costringere il libero lavoratore ad essere laborioso. Sempre più laborioso, mano a mano che i suoi consumi si diversificano e aumentano nella misura nella quale si sviluppa la produzione, ossia il mercato delle merci.

Il lavoro del salariato, paragonato a quello dello schiavo, diviene più produttivo. Lo schiavo lavora solo sotto il pungolo della paura esterna, non per la propria esistenza che egli sa garantita. Il lavoratore libero è spinto e pungolato dai suoi bisogni, non di meno che dalla sua coscienza (cioè dall’idea) di essere liberamente autodeterminato, e questa coscienza di responsabilità ne fa un lavoratore molto migliore dello schiavo, anche perché deve battere la concorrenza degli altri venditori della stessa merce, ossia della forza-lavoro.

La realtà storica, abbellita con incipit suadenti come “libertà” e “democrazia”, non muta la sostanza reale della condizione del moderno salariato in rapporto all’antico schiavo. Il rapporto di dominazione e sottomissione si è modificato nella forma, diventata più libera perché di natura puramente materiale, volontaria, meramente economica. Il proletario, che crede effettivamente di essere un uomo libero e di agire in un contesto democratico, incarna il modello ottimale dello schiavo moderno.


L’idea di essere realmente libero, porta il proletario salariato a credere di poter mutare la propria condizione laddove vede un effettivo miglioramento delle sue condizioni di lavoro e di vita, ma in realtà si tratta di una diminuzione degli estremi della povertà in riferimento “all’inebriante aumento di ricchezza e potenza” dal lato della classe dei proprietari. Proporzionalmente la classe operaia rimane povera come e più di prima.

5 commenti:

  1. il lungo calvario dell' individualità, paradossalmente veicolato e insieme sistematicamente negato da uno specifico e spietato dominio della società, più che lavorare si è lavorati e l'essere sociale un deal

    un dominio sempre più stringente, anche un barbone non campa senza qualche contante. contraddittorio nel momento in cui anche un disoccupato o sottoccupato è chiamato a reiterare ideologicamente il rapporto

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  2. Per comprendere quanto il suo "impegno messo in atto con mezzo modesto" sia importante, provi a gettare un'occhiata a uno scritto simile e a pensare come, per un individuo costretto alla sua consultazione, sia fondamentale disporre di un'area franca in cui formarsi una coscienza critica opposta alla falsa coscienza dell'ideologia borghese:

    http://www.csri.it/cont_pubblicazioni/contributi/Sul%20rapporto%20capitale%20lavoro.html

    Siamo in tema con il post.

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  3. "Proporzionalmente la classe operaia rimane povera come e più di prima."

    Quello che dici è direttamente ricavabile dalla legge della caduta tendenziale del saggio di profitto.

    A fronte di un capitale fisso in crescita costante, la componente variabile del capitale si trova in decrescita. Il lavoro vivo del proletario ha un peso sempre più basso (seppur indispensabile) rispetto al valore prodotto, e per questo il suo "potere contrattuale" crolla.

    Schematicamente:
    1) il valore prodotto (e la massa totale del valore prodotto - la vera ricchezza del pianeta) cresce
    2) il capitale costante cresce
    3) il capitale variabile scende
    => riduzione progressiva del saggio di profitto accompagnata ma aumento costante del valore totale prodotto (la cosiddetta crescita costantemente auspicata dai nostri geniali economisti borghesi).

    Ne consegue che i padroni sono sempre di meno, ma sempre più ricchi, mentre gli schiavi salariati occupati sono sempre di meno, e sempre più poveri.

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