domenica 18 giugno 2017

La classe operaia non ha da realizzare ideali

Post lunghetto ma tema sicuramente interessante per chi non ha smesso di pensare con la propria testa.


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Sono molto d’accordo con parte dell’analisi scrittada Aldo Tortorella sul Manifesto quale recensione ad un libro di Sergio Sabattini:

Il tempo in cui viviamo dimostra bene che era un’illusione pensare che lo scacco fosse solo dei comunisti ivi compresi quelli come i comunisti italiani che avevano seguito la linea della piena fedeltà alla democrazia. Sono in crisi radicale i socialdemocratici europei costretti, ove ancora contano, a far da sostegno ai centristi più o meno moderati.
Di fronte a questi fallimenti a sinistra, la sua parte più moderata ha pensato che fosse tutto da buttar via, anzi da rottamare e che bisognava affrettarsi a mutare non solo la pelle ma tutti gli organi interni, il fegato, il cuore e anche il cervello, facendosi liberal-democratici e neoliberisti, esecrando le parole antiche e nascondendo le antiche bandiere. Ma è venuta la grande crisi iniziata nel 2007 e non ancora finita così che sono entrati in crisi anche i liberal-democratici vagamente progressisti, come i democratici americani o i loro maldestri imitatori di casa nostra, vittime della loro indifferenza verso i prezzi che la globalizzazione capitalistica faceva pagare a tanta parte dei lavoratori delle metropoli.

Vero è anche, però, che Tortorella non cita i limiti e le contraddizioni del riformismo prima che esso mutasse “non solo la pelle ma tutti gli organi interni”. Si tratta dello stesso soggetto, di Jekyll e Mr Hyde, stesso fegato, cuore e anche il cervello. Il processo di mutazione riguarda la stessa storia del Pci, nella quale si è giocato allegramente Gramsci contro Marx, o addirittura Vico contro Gramsci. Sempre là, al crocianesimo di ritorno della formazione del gruppo dirigente comunista e a un Marx che “nessuno leggeva”, come scrive nelle sue memorie Rossana Rossanda, allora responsabile cultura del Pci.

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Sono perfettamente in sintonia anche con questo passaggio di Tortorella, che definirei “programmatico”:

Insisto nel credere che il peggior guaio del nuovismo di ieri e delle rottamazioni di oggi non sia stato nell’oblio dei meriti del passato ma nella rimozione d’ogni ricerca sugli errori e sulle loro cause, procedura molto più difficile e dolorosa di qualunque abiura. Asserire che “tutto era sbagliato” ha lo stesso effetto di dire che “tutto era giusto”: non c’è più niente da sapere, da indagare, da scoprire.

Poi:

E la crisi ciclica particolarmente grave non ha provocato, com’era mito antico, spostamenti a sinistra o al centro sinistra, ma in senso opposto, come accadde in vasta parte d’Europa nella crisi del ’29 e come viene accadendo oggi negli Stati Uniti oltre che in tanti paesi europei. La classe operaia dei paesi economicamente più sviluppati propende in buona misura verso movimenti di protesta spesso apertamente di destra.

Anche qui sono d’accordo, tranne per quanto riguarda l’incipit: la crisi ciclica. Non vedo nulla di ciclico, vedo una crisi generale, storica, del modo di produzione capitalistico che procede come un gorgo nella corrente della storia e ci trascina via con essa stante l’assenza di una lotta organizzata ed efficace.

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Tortorella ricostruisce la posizione di Sabattini, il quale fa sua la tesi di Karl Korsch, ossia la critica dell’idea marxiana sulla rivoluzione. Idea che sarebbe stata d’ispirazione blanquista, ossia intesa a concepire la rivoluzione come insurrezione. In seguito, tale idea fu superata nella fase matura da Marx il quale giungeva a respingere l’idea di rivoluzione come colpo di stato armato. Del resto, oggi non c’è più materia del contendere – sostiene Sabattini –, la storia avrebbe già deciso, la  rivoluzione non è più all’ordine del giorno:

Lo stato creato dalla rivoluzione leninista è crollato. Il movimento comunista nato dalla terza internazionale si è dissolto. Il mondo è unificato nel mercato unico dei capitali e nel modello capitalistico interpretato da vari sistemi politici. 

Tortorella scrive di non essere d’accordo con la posizione di Sabattini: non è vero che la vittoria planetaria del capitalismo sia la prova della validità del sistema in cui viviamo e della sua indefinita parennità. Ed infatti sono in crisi radicale i socialdemocratici europei costretti, ove ancora contano, a far da sostegno ai centristi più o meno moderati.

Perciò propone di riprendere seriamente il filo di una discussione che ha le sue origini lontane nel tempo e di esaminare minutamente le origini stesse della vocazione rivoluzionaria di Marx ed Engels, per rintracciare nelle loro opere giovanili l’origine di un pensiero e delle sue lacune, un’operazione non solo interessante, ma meritoria perché si sforza di fornire alla tesi di Korsch un ulteriore fondamento. Così scrive!

Pertanto, se non è zuppa è pan bagnato. L’idea di rivoluzione di Marx sarebbe rintracciabile solo nelle opere giovanili, poiché in quelle più mature la riflessione sarebbe mutata. Scrive Tortorella:

credo che andrebbe anche ricordato che è molto arduo parlare di una dottrina della rivoluzione in Marx se non negli anni giovanili. L’unica esposizione [sic!] ch’egli, nella maturità, fece seppure succintamente della sua visione del processo storico sta, come ci insegnano gli specialisti della materia, nella ben nota prefazione a “Per la critica dell’economia politica”, e cioè che nessun sistema economico e sociale perisce finché non abbia espresso tutte le sue potenzialità e un altro non abbia iniziato a sorgere nel suo seno.

Quest’ultima è una frase di Marx. Premesso che quanto scrive Marx nel 1859 non appartiene di certo agli scritti "giovanili", tale frase è avulsa dal proprio contesto e s’incastra come in un puzzle che raffiguri un paesaggio irenico e attendista, cioè borghese. Tortorella “dimentica”, ossia omette, di citare ciò che Marx scrive subito prima in quella stessa Prefazione:

A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale.

Non è forse questa – chiedo – l’epoca nella quale si fa sempre più stringente la torsione tra forme della proprietà e dell’appropriazione della ricchezza da un lato e le forze produttive materiali della società dall’altro? Non è in questa fase storica che la grande industria e la sussunzione della scienza a essa hanno creato una situazione nella quale la quantità di lavoro erogato nella produzione non è più la fonte principale per la creazione di ricchezza della società? E insomma non è forse divenuto palese che lo sviluppo delle forze produttive materiali della società hanno raggiunto un livello tale in cui si fa saliente il carattere storico e transitorio della forma-valore?

A tutto ciò Tortorella manco allude.

Nello stesso luogo Marx non dimentica di dire che:

Come non si può giudicare un uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente fra le forze produttive della società e i rapporti di produzione.

Chiariva sul metodo scientifico con il quale si studiano simili mutamenti e la lotta ideologica che sorge dal conflitto tra le classi sociali:

Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo.

Ecco dunque che Marx ci richiama alla lotta, anzitutto sul fronte ideologico. La lotta ideologica quale determinante essenziale della lotta di classe; senza di essa non c’è teoria. La previsione teorica ci indica un possibile, ma il suo completarsi dipende dall’attività sociale degli uomini, dalla lotta di classe. Indicandoci un possibile, la previsione teorica influisce sulla nostra coscienza e sul nostro comportamento e sollecita un’attività conforme al suo conseguimento. Non siamo una colonia di topi (*). Quindi distruzione e costruzione cosciente, senza fanatismi, volontarismi utopistici, ma anche senza fatalismi e rassegnazione deterministica! (**)

L’agire rivoluzionario è un progetto scientifico di trasformazione, modellazione dell’avvenire, sulla base delle conoscenze del passato, del presente e delle sue latenze; fantasia creatrice che non teme di costruire connessioni impensabili per la razionalità dominante del capitale (che è, ricordiamolo bene, razionalità del plusvalore). È azione intelligente, individuale e di massa, nel tempo lungo (***).

(*) “Il ragno compie operazioni che assomigliano a quelle del tessitore, l'ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggiore architetto dall'ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera. Alla fine del processo lavorativo emerge un risultato che era già presente al suo inizio nell’idea del lavoratore, che quindi era già presente idealmente. Non che egli effettui soltanto un cambiamento di forma dell'elemento naturale; egli realizza nell'elemento naturale, allo stesso tempo, il proprio scopo, che egli conosce, che determina come legge il modo del suo operare, e al quale deve subordinare la sua volontà” (Il Capitale, critica dell’economia politica, I, cap. 5, Il processo lavorativo e processo di valorizzazione).

(**) Scoprire le leggi generali che determinano il reale significa anzitutto conoscere ciò che è possibile. E per legge generale di un fenomeno s’intende la sua contraddizione principale espressa in categorie (ad esempio economiche: valore d’uso e valore di scambio; o fisiche: attrazione e repulsione) o simboli (ad esempio matematici) tra loro connessi secondo procedure logiche (o matematiche) materialistiche e dialettiche che ne spieghino il processo reale. Per analisi della tendenza – espressione peculiare della legge – s’intende lo studio simulato della contraddizione principale come processo, e cioè la sua dialettica quantitativa e qualitativa, nei suoi diversi stadi: dall’inizio alla fine.

Scrive a un certo punto Tortorella: “Engels, che come si sa va tenuto ben distinto dal suo amico e sodale, potrà tendere, forzando il pensiero di Marx, a forme di determinismo storico anche sotto l’influenza del darwinismo e del positivismo”. E leggetevela la Dialettica della natura una buona volta! Così scoprirete che il peggior nemico del determinismo fu proprio Engels.


(***) “La classe operaia non attendeva miracoli dalla Comune. Essa non ha utopie belle e pronte da introdurre par dècret du peuple. Sa che per realizzare la sua propria emancipazione, e con essa quella forma più alta a cui la società odierna tende irresistibilmente per i suoi stessi fattori economici, dovrà passare per lunghe lotte, per una serie di processi storici che trasformeranno le circostanze e gli uomini. La classe operaia non ha da realizzare ideali, ma da liberare gli elementi della nuova società dei quali è gravida la vecchia e cadente società borghese. Pienamente cosciente della sua missione storica e con l'eroica decisione di agire in tal senso, la classe operaia può permettersi di sorridere delle grossolane invettive dei signori della penna e dell'inchiostro, servitori dei signori senza qualificativi e della pedantesca protezione dei benevoli dottrinari borghesi, che diffondono i loro insipidi luoghi comuni e le loro ricette settarie col tono oracolare dell'infallibilità scientifica” (Karl Marx, Indirizzo del Consiglio generale dell’associazione internazionale degli operai (1871).

10 commenti:

  1. Fin dalla stesura del "Manifesto" Marx ed Engels intrapresero una lotta teorica senza quartiere contro le deviazioni che ostacolano la lotta del proletariato, portando acqua al mulino delle forze reazionarie. La stessa storia della Prima Internazionale è la storia di come, attraverso una lotta instancabile contro l’anarchismo bakuniano, il tradunionismo inglese, il proudhonismo francese, il lassallianesimo tedesco e il mazzinianesimo italiano, si è stabilita l’egemonia del socialismo scientifico nel movimento operaio. Esiste un nesso inscindibile, nella transizione dalla società capitalistica alla società comunista (fermo restando che le premesse materiali di questa sono create da quella), tra la lotta del proletariato per la conquista del potere e la lotta per superare le deviazioni. Tale nesso scaturisce dalla stessa dottrina di Marx, che conosce un’unica verità: quella corrispondente alla realtà oggettiva. Dalla combinazione dell’analisi del Capitale e degli insegnamenti della Comune Marx trae nuovi sviluppi della sua concezione teorica, che troveranno espressione, in particolare, nella "Critica del programma di Gotha" del 1875, scritto che è fondamentale non solo per la critica delle posizioni dei lassalliani, ma anche per la definizione scientifica dei lineamenti e dei princìpi della società comunista. Questa non viene configurata né come l’oggetto di un pensiero utopistico che «prescrive ricette per l’osteria del futuro» né come «un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi», ma come la fase superiore di un processo di transizione, di cui la società socialista, «che porta ancora sotto ogni rapporto, economico, morale, spirituale, le “macchie” della vecchia società dal cui seno è uscita», costituisce la fase inferiore: processo di transizione reso possibile dal massimo sviluppo delle forze produttive e finalizzato all’autogoverno dei produttori associati in una società senza classi e senza Stato, perché senza merci, senza denaro e senza lavoro salariato. Ciò detto, che cos'abbia a che fare con l'impianto teorico, politico e strategico del socialismo scientifico il socialismo conservatore o borghese (così Marx ed Engels nel "Manifesto"), di cui quello di Tortorella è una variante, mi sfugge del tutto.

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    1. Marx ed Engels erano entrambi due antistatalisti radicali nel senso meno ideologico del termine. scoprirli in tanti sotto questa e non altra prospettiva può veramente ridare slancio storico alla faccenda

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  2. La classe operaia dei paesi economicamente più sviluppati propende in buona misura verso movimenti di protesta spesso apertamente di destra.

    Anche questo va precisato. E' chiaro che davanti ad un crisi globale del capitalismo internazionale le masse lavoratrici vengono spinte verso due valori "socialismo" e "nazionalismo" finendo per dare" al secondo un peso maggiore perché in questo incontrano anche l' interesse della piccola borghesia .
    Si ebbe quindi negli anni '30 l' affermazione del "nazionalsocialismo" in germania e in italia la mutazione verso il "sociale" di quel fascismo originariamente "libberista " secondo i desiderata dei suoi padrini e finanziatori.
    Ma si sono imposte in quegli anni anche altre soluzioni tipo "il socialismo in un solo paese" di stalin e il " socialismo nazionale" in svezia ,dove la priorità dei due "fattori " suddetti era invertito.
    In altre parole i nazionalismi "sociali" sono destinati ad emergere laddove i "socialisti" non capiscono (per fottuta ideologia se non peggio ) che non possono imporsi se non in un ambito "nazionale".
    Il retropensiero sempre più evidente in tanti sedicenti "sinistri" di oggi di poter imporsi servendo(si del) kapitale non funziona ; funzionò machiavellicamente a Lenin ( ma io non vedo Lenin in giro) ma solo per il fortuito "accidente" che tutte le potenze capitaliste si erano anche PRIMA dissanguate per definire il proprio ordine gerarchico .
    Altrimenti i bolscevichi in russia avrebbero fatto la fine dei "boxers" in cina qualche anno prima.
    ws

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  3. E' sempre necessario ribadire, contro il vacuo anti-engelsismo di matrice gentiliana che circola nella sinistra borghese e socialdemocratica, la complementarità e l'organicità del pensiero di Engels rispetto al pensiero di Marx. Sennonché, mentre si è parlato e scritto molto su Marx, spesso si è sorvolato sui rapporti fra il suo pensiero e quello di Engels, quasi che molti degli scritti di Engels abbiano rappresentato un peso morto per il marxismo. Per quanto concerne, infine, l'accusa di determinismo rivolta ad Engels, essa non ha alcun fondamento se non nell'ignoranza o nella malafede di coloro che l'avanzano, come dimostra la centralità della categoria dialettica di influenza reciproca, ribadita a più riprese dallo stesso Engels, come ad esempio nella lettera a J. Bloch del 21 settembre 1890, che qui di séguito trascrivo: “Secondo la concezione materialistica della storia il fattore che in ultima istanza è determinante nella storia è la produzione e la riproduzione della vita reale. Di piú non fu mai affermato né da Marx né da me. Se ora qualcuno travisa le cose, affermando che il fattore economico sarebbe l’unico fattore determinante, egli trasforma quella proposizione in una frase vuota, astratta, assurda. La situazione economica è la base, ma i diversi momenti della soprastruttura – le forme politiche della lotta di classe e i suoi risultati, le costituzioni promulgate dalla classe vittoriosa dopo aver vinto la battaglia, ecc., le forme giuridiche, e persino i riflessi di tutte queste lotte reali nel cervello di coloro che vi partecipano, le teorie politiche, giuridiche, filosofiche, le concezioni religiose e la loro evoluzione ulteriore sino a costituire un sistema di dogmi – esercitano pure la loro influenza sul corso delle lotte storiche e in molti casi ne determinano la forma in modo preponderante. Vi è azione e reazione reciproca di tutti questi fattori, ed è attraverso di essi che il movimento economico finisce per affermarsi come elemento necessario in mezzo alla massa infinita di cose accidentali (cioè di cose e di avvenimenti il cui legame intimo reciproco è cosí lontano e cosí difficile a dimostrarsi, che possiamo considerarlo come non esistente, che possiamo trascurarlo). Se non fosse cosí, l’applicazione della teoria a un periodo qualsiasi della storia sarebbe piú facile che la soluzione d’una semplice equazione di primo grado”.

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  4. La Struttura è l’elemento fondante del mondo moderno e rappresenta i rapporti di produzione. Su questi si fonda il Potere.
    La Sovrastruttura rappresenta il frutto, a livello politico e sociale, dei rapporti di produzione con cui il Potere legittima la propria visione del mondo: la sua EGEMONIA.

    Come ribaltare i rapporti di forza sfavorevoli nella nostra società? Solo con la Rivoluzione. Ma non c’è Rivoluzione se non c’è Emancipazione. Bisogna avere la padronanza di un'immensa mole di informazioni e l'abilità nello smascherare in ogni contesto le strategie, i meccanismi e gli inganni che il potere, mette in atto per manipolare la società. Bisogna andare al di là delle semplici rivendicazioni economiche, proponendo la propria EGEMONIA: cosa produrre, come produrre e per chi produrre.
    Prendo spunto dallo sciopero dei trasporti di venerdì scorso:bloccando i mezzi l’unico risultato è stato quello di colpire gli utenti, alienandosi la loro simpatia.
    E se invece, nell’intento di migliorare le condizioni di lavoro, ma anche di incrementare la quantità e la qualità del trasporto pubblico, si fosse scioperato lavorando normalmente senza far pagare il biglietto?
    Questo vorrebbe dire che si è già in presenza di una coscienza civica diversa. Coscienza che dovrebbe trasformare gli individui in persone.
    Secondo Chomsky non solo le università, ma più in generale ogni forma di istituzione scolastica è finalizzata a «fornire un servizio ideologico, promuovendo l’obbedienza e il conformismo», un processo che, secondo lui, comincia dall’asilo. A suo avviso, infatti, la scuola non è altro che questo: «premiare la disciplina e l’obbedienza e punire il pensiero indipendente». Un quadro scoraggiante, non c’è che dire. Che fare?
    Il fatto è che non basta individuare cosa leggere, bisogna insegnare come leggere, visto che «il semplice fatto di leggere non significa molto, se le nozioni acquisite non vengono integrate in un processo creativo». Queste considerazioni, che possono apparire di semplice buon senso, hanno per Chomsky una forte valore concettuale: rappresentano il grimaldello teorico con cui aprire un varco nei principi alla base del sistema educativo perché toccano da vicino la questione della natura umana.

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  5. In mezzo a tanti commenti di alto livello, aggiungo una piccola considerazione quotidiana. Proprio ieri a pranzo io e mia moglie, davanti ai risultati delle elezioni francesi, facevamo considerazioni simili a quelle contenute in questo post, sebbene a un livello accademicamente molto più basso :-) Dalla fine ella terza internazionale siamo arrivati proprio alla mancanza di un programma "di sinistra" credibile, e in cui poter credere, e su cui basare la propria azione. Insomma a pensare con la propria testa tutto sommato si arriva, per strade diversa, più o meno nello stesso posto.
    Questo articolo centra benissimo, per quanto mi riguarda, il nodo Gordiano dell'azione rivoluzionaria. E' essa possibile? E' essa auspicabile? Il popolo è pronto (e non ho usato la parola proletariato non a caso)? Un saluto

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    1. non ti sporgere troppo indietro per paura di cadere in avanti :)

      il 56,6% di astensioni alle legislative dovrebbe far riflettere;
      fin che pagano pensioni e stipendi pubblici, ossia finché ce la faranno ad erogare servizi e prestazioni potranno tenere. poi potrebbe essere l'apocalisse. ciao

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    2. in una società di classe non è praticabile l'apocalisse. Ogni disastro sarà ripartito secondo i rapporti di forza. Già oggi per i giovani italiani è l'inferno, ma le pensioni vengono puntualmente pagate (da loro stessi! con la vita). E' l'Italia.

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    3. "fin che pagano pensioni e stipendi pubblici, ossia finché ce la faranno ad erogare servizi e prestazioni potranno tenere. poi potrebbe essere l'apocalisse. ciao"

      verissimo. Nel mentre il "popolo degli sfruttati" magari prenderà la dovuta coscienza di classe. E non c'è nulla di più vero di quello che scrivi in coda al post. Non è una questione di ideali, ma di progetto lucido, creativo, cosciente. Ma quanto siamo lontani da questo? Se è vero che tutto va a rotoli, in mezzo a questi rotoli ci sta anche la testa della massa. E questa è la mia preoccupazione principale... speriamo che il futuro, insomma, sia più luminoso delle nostre paure

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