Con
la fine delle dittature burocratiche dell’Est Europa si è chiusa un’epoca. Prima
ancora s’era chiusa l’epoca dell’egemonia della classe operaia, che si era
costruita e poi consolidata nelle lotte tra il 1848 e il 1871, e poi tra il
1905 e il 1917. Questa egemonia ebbe un sussulto tra gli anni Sessanta e
Settanta, quando si sperimentò un’alleanza tra lavoratori e studenti, e una
collaborazione stretta tra intellettuali e avanguardie di lotta. Sembrò allora
che si dovesse andare ben oltre ad un mero riconoscimento normativo del ruolo
del lavoro all’interno della fabbrica (si pensò di staccare il lavoro dal
capitale), a un mutamento radicale nella società, nella scuola e
nell’università, così come nella cultura e nella politica.
E
ci fu indubbiamente anche tutto questo, per chi ha memoria, e si può
rintracciarlo, per i più giovani, nella riproposizione di certi programmi su
Rai Storia. Pur con mezzi che ci appaiono ben modesti, quelle trasmissioni
televisive, rispetto all’oggi, mostrano un diverso approccio ai temi del
sociale, dell’economia, dell’ecologia, della guerra e della politica estera. Il
raffronto segnala la debolezza attuale del pensiero critico, per profondità e per
qualità, per la minore concessione alla spettacolarizzazione.
Oggi
quell’egemonia, del lavoro e della cultura antagonista, non esiste più. C’è
stata, come tutti sappiamo, una vera e propria involuzione. Si può cogliere
nelle risposte elusive e inconsistenti quando sono poste delle domande
semplici, del tipo di quelle che ascoltavo stamane alla radio e alle quali la
giornalista di turno (al pari dei suoi precedenti colleghi) non sapeva rispondere.
Domande sulla crisi, sulle disuguaglianze, sulla globalizzazione e simili. Raramente
è pronunciata la parola “capitalismo”, mai e poi mai è evocata, fosse pure come
possibilità meramente teorica, l’alternativa all’attuale sistema economico. E
come potrebbero poi, anche volendo, questi affabulatori dell’ovvio rischiare
certe risposte?
D’altro
canto anche per quanto riguarda i sindacati e i partiti politici, essi sono diventati
figure assolutamente secondarie e parassitarie, a fronte di un’estrema domanda
di lavoro e di giustizia sociale in contrapposizione a un sistema
dell’estorsione del profitto senza limiti e misura. Si è dimenticato che è sempre
il lavoro a produrre la vita, a darle senso e dignità, malgrado la totalizzante
sussunzione capitalistica e l’irrilevanza sociale verso cui lo spinge la
tecnologia, che è solo un mezzo.
Alain
Badiou, del quale scrivevo ieri, parla di una situazione che ricorda la vigilia
del primo conflitto mondiale. In molti l’abbiamo pensato e anche scritto. Al
punto in cui siamo, però, rintraccio un’altra analogia storica, che
di anno in anno, di precipizio in precipizio, si va facendo sempre più chiara e
pregnante. Mi riferisco a quanto descritto dal Taine nel suo Le origini della Francia contemporanea. Cambiano
le figure, ma nel dramma sociale e politico d’allora si possono riconoscere molti
aspetti di quello odierno. E del resto si tratta di due epoche, la crisi dell’ancien régime
e la nostra, di grandi cambiamenti, di rivoluzione. Una rivoluzione che non
interessa più solo la classe operaia.
Se dovessimo immaginarci gli Stati Generali di oggi, andrebbero ridisegnati sulla base di categorie sociali ben diverse. Anche il concetto di classe mi pare che faccia acqua, mentre quello di blocco sociale sembra più calzante. La nobiltà non conta più, e il clero, sebbene antipaticamente invasivo e detentore di vaste proprietà, non è più un “secondo stato”. In realtà, c’è solo borghesia, e perciò la suddivisione va fatta al suo interno.
RispondiEliminaUn Primo Stato possiamo chiamarlo dei Capitalisti, e questo ti piacerà. Il Terzo Stato è composto, verosimilmente, dalla ex classe operaia, che chiameremo per comodità Piccola Borghesia Produttiva (senza connotazione di spregio: è solo per distinguerla dagli altri due Stati) ed è caratterizzata dal fatto che produce reddito e paga le tasse. Rimane il Secondo Stato, quello che incassa le decime: e si fa per dire, perché sono ben più del 10%. Lo chiameremo la Borghesia Burocratica, del resto molto simile a quella che tu ben descrivi nel post di qualche anno fa: “il loro trattamento era assicurato da tasse e gabelle, o da sportule con cui la popolazione pagava gli adempimenti burocratici, che ovviamente andavano proliferando”.
In cima alla Borghesia Burocratica stanno i politici, ma anche e soprattutto i dirigenti della pubblica amministrazione allargata. Sotto, c’è la piccola borghesia burocratica, peggio pagata ma sterminata come numerosità, e con la stessa fonte di reddito.
In questo modo, abbiamo ridefinito i blocchi sociali, o, se preferisci, le classi. La Rivoluzione potrà avvenire solo quando il Terzo Stato prenderà coscienza di essere sfruttato e, soprattutto, da chi.
Ci vuole ancora tempo, mia cara.
Il mio rif. al Taine non verteva su queste questioni. ciao
EliminaRaramente è pronunciata la parola capitalismo?
RispondiEliminaC'è gente come il Fusaro, che la pronuncia d amane a sera, e allora?
lei, pur sapendo leggere, è un analfabeta.
EliminaSiamo in due allora (io e lei).
EliminaLa mia era una provocazione, e lei non ha saputo cogliere tra le righe quello che volevo intendere per davvero.
Succede a chi come lei, è troppo occupato a rispecchiarsi nei suoi alti processi mentali.
La saluto
le provocazioni bisogna saperle scrivere, anche quando rispecchiano modesti pensieri
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