Ha un bel dire Scalfari quando scrive che le cause della situazione attuale «sono l'esplosione del debito, la finanziarizzazione dell'economia, l'emergere di nuovi attori nell'economia mondiale e la legge dei vasi comunicanti che la globalizzazione ha reso effettiva». Quella della globalizzazione non è una legge di vasi che comunicano, ma un assioma dietro al quale si nascondono precisi interessi di varia natura, anzitutto quello delle grandi società multinazionali private e statali, ossia si tratta del solito travaso di ricchezza a senso unico.
Provi il giornalista a chiedere alla Cina di vendergli una delle sue 150 maggiori società e vedrà che da quelle parti i vasi comunicano pure in inglese ma con sottotitoli in mandarino. Viceversa l’Italia, su istigazione anche di Repubblica, svende quel poco che le resta dei suoi vasi migliori, mentre lo Stato cinese controlla l’80 per cento del valore del mercato azionario nazionale, "pilotando la propria moneta, dirottando fondi in quei settori che sono favoriti e lavorando strettamente con altre società cinesi che operano all'estero”; lo Stato russo e quello brasiliano controllano allo stesso modo il 62% e il 38% delle loro società. Tanto per citare le parole del bolscevico Economist.
Scalfari scrive che tali paesi, “nostri concorrenti”, operano, “nella divisione internazionale del lavoro, nell'inesistenza dei diritti sindacali”. Del resto, osserva: “come si impedisce in un'economia aperta una concorrenza di questa natura? Con i dazi? […] blindare l'Europa (e l'Italia) con una impenetrabile cinta di protezionismo? […] quei Paesi reagirebbero […] in egual modo alle nostre esportazioni”.
E bravo, ma dov’era il nostro illuminato mentore quando il WTO dettava le “regole” del commercio, perché non ha dedicato mezzo editoriale per denunciare il fattaccio? È per effetto di tali accordi che il capitale multinazionale, ossia quelle 787 grandi corporation che controllano l'80 per cento delle più importanti imprese del mondo, ovvero i 147 gruppi che controllano il 40 per cento delle più importanti multinazionali del pianeta, può agire senza violare alcuna legge, poiché non ci sono leggi che contrastano realmente la sua azione e quelle che ci sono state scritte sotto dettatura. Ciò che per il capitale finanziario integrato è un affare, per tutti gli altri è diventata una dipendenza e una condanna.
E allora come se ne esce, visto che non potrà durare all’infinito questo stato di cose? A opporsi al cambiamento dell’attuale sistema economico non sono solo, com’è naturale, gli interessi cospicui, dominanti e predatori del capitale e di quei multimilionari che nei loro media difendono la propria interpretazione del mondo nel nome presunto della legge dei vasi comunicanti. Si registra altresì una resistenza e uno scetticismo molto diffusi negli strati sociali che più subiscono la crisi del sistema. Questo dipende da più motivi, per esempio dalla paura di perdere ciò che tanto faticosamente si è conquistato ma anche e sicuramente dall’esperienza delle rivoluzioni del Novecento, laddove il potere decisionale era nelle mani della burocrazia di partito, dove la produzione non teneva conto dei bisogni effettivi e dove l’iniziativa individuale non trovava sbocco.
Tuttavia non sarebbe necessario inventarsi nulla di straordinario perché il progresso civile ed economico che ci ha condotti fin qui ci consentisse di cambiare senza dover ripercorrere gli errori della pianificazione centralizzata e anche senza cadere nell’errore opposto in cui sembra credere l’attuale dirigenza cinese, la quale ritiene di poter fare pieno uso delle forze del mercato e di guidare l’economia con politiche macroeconomiche centralizzate. Quando l’economia di mercato sarà abbastanza forte da poter agire indipendentemente la dirigenza del partito si accorgerà, se non dell’errore (perché essa si ritiene immune), almeno dell’illusione.
«Nel cuore dei momenti di esaltazione e di depressione s’incrociano il meglio e il peggio […]. Ci manca la costanza di una volontà di vivere sempre attenta a ciò che la conforta e quella tensione che si snoda in grazia allontanando da noi la paura, la vanità, il senso di colpa e d’impotenza, tutte disposizioni propizie a far prendere una brutta piega alle cose, agli avvenimenti, e alle circostanze».