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Se dovessimo accettare le idee per la loro universalità, il luogo comune dominerebbe in lungo e in largo. Come del resto avviene. E così dobbiamo rassegnarci al giudizio maggioritario dell’”animale della buona coscienza”.
Si consideri il lavoro, quello vero e non l’ozio operoso di chi può permetterselo. Solo un salariato moderno sembra non accorgersi di essere sottomesso al proprio padrone come lo schiavo antico; anzi è pronto a protestare il contrario. Come il prigioniero del mito della caverna non s’avvede di essere legato a una catena invisibile mascherata dalla fictio juris del contratto. E anzi propizia il buon dio suo perché il lavoro non gli venga mai a mancare.
Lo schiavo moderno considera il proprio padrone con ogni riguardo, chiamandolo perfino “datore di lavoro”. Un suo collega antico, un lavorante della manifattura, un domestico, un addetto ai servizi, avrebbe detto questa cosa ridicola e assurda; perfino il suo padrone ne sarebbe stato sorpreso: «chiunque offra il suo lavoro in cambio di denaro vende se stesso e si mette a livello degli schiavi» (Cicerone, Dei doveri, I, CL).
La perdita di questa elementare cognizione della reale condizione sociale dello schiavo si è specialmente accompagnata al mutamento avvenuto con la crisi del Tardo Antico. Nella piaga s’intrufolò il cristianesimo, sancendo il precetto che chi non lavora non mangia. Naturalmente facendo d’uopo sacre eccezioni.
Passarono almeno una dozzina di secoli perché il principio della libertà individuale assumesse un carattere universale iscritto solennemente negli statuti dei popoli, consentendo così al servo di vendersi davvero liberamente.
Un cittadino ateniese o romano avrebbe riso della cosa e invece noi cittadini del mondo moderno consideriamo questo traguardo come il più alto raggiunto, come il bene più prezioso che abbiamo, spesso non potendone vantare altri.
La cosa più patetica di questi giorni? Sentir ripetere da tutti i burocrati, i politici, i borghesi, insomma, che il blocco dei tir che sta paralizzando l'Italia è gravissimo perché blocca la "libera circolazione delle merci". Strano, vero? Quando c'è un conflitto in atto vengono chiamate merci, quando invece è tutto regolare, quando la pace sociale borghese è intonsa, vengono chiamati "beni".
RispondiEliminaPurtroppo non è solo patetico, ma fa infuriare, sentire il governo di Goldman Sachs che minaccia manganello e olio di ricino ai rivoltosi sulla base del fatto che la loro rivolta "lede i diritti dei cittadini".
RispondiEliminaMentre di altri diritti, anche più importanti, lo stesso comitato d'affari fa carne di porco tra gli applausi degli affiliati alla stessa cupola.
mauro (un omonimo del Mauro dell'altro commento, che apprezzo)
Le segnalo anche quest'articolo sulle liberalizzazioni scritto da militanti della mia corrente politica di riferimento: http://www.leftcom.org/it/articles/2012-01-24/manovra-salva-italia-il-grande-capitale-all-attacco
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