Dal punto di vista economico la Cina rappresenta una reale minaccia soprattutto per l’Europa, anche se l’Unione Europea è il maggiore partner commerciale della Cina. È un fatto evidente come il management capitalistico stia procedendo al graduale svuotamento industriale dei principali paesi europei, specie quelli del Sud Europa, indirizzando i propri investimenti proprio in Cina, oltre che in India, Brasile e nell’Est Europa (*). Questo problema strutturale della deindustrializzazione è l’origine della crisi della “crescita” in Europa e non potrà essere risolto se non rimettendo in discussione gli accordi del WTO (secondo i quali ciascuno Stato deve trattare gli altri come fossero “il miglior partner” e le merci straniere come fossero prodotti nazionali). Chiaro però che indietro non s’intenda e non si possa tornare. A trarne vantaggio è quindi il deus absconditus, cioè quel “mercato”, nel quale 147 gruppi controllano il 40 per cento delle più importanti multinazionali del pianeta.
Molto sostenuti da parte della Cina anche gli interventi d’investimento in uscita che fanno registrare sin dal 2004 una forte crescita. Considerando che le dinamiche degli investimenti esteri cinesi sono sempre state oggetto di diretta regolamentazione e controllo politico, l’esplosione degli ultimi anni deve essere intesa come un via libera istituzionale al perseguimento di obiettivi globali da parte dei grandi gruppi industriali, soprattutto statali (più dell’80% del valore totale). Non a caso tale flusso si dirige soprattutto verso Asia e America Latina (80% del totale), regioni in cui i massicci interventi sono finalizzati soprattutto al sourcing di materie prime. Settore trainante è, ovviamente, il minerario (petrolifero e minerali rari). Altri flussi interessano l’Europa e gli Stati Uniti, aree nelle quali la Cina mira soprattutto ad acquistare tecnologia, marchi, design e segmenti qualificati della manifattura.
Apro parentesi per quanto riguarda l’Italia: l’interscambio con la Cina ci vede con importazioni circa doppie rispetto alle esportazioni. Contrariamente a quanto si potrebbe supporre, si segnala però una tendenza di fondo caratterizzata da una ricomposizione delle esportazioni cinesi in Italia a favore dei comparti a più elevato valore aggiunto e complessità produttiva, in particolare nel settore della componentistica informatica (computer e unità periferiche), delle componenti e schede elettroniche. Quindi non solo giocattoli e ninnoli vari.
Per molti paesi quindi andiamo verso una situazione dove la capacità produttiva che ha soddisfatto il più largo e generale benessere non riuscirà a garantire nemmeno la prima sussistenza (fenomeno della disoccupazione giovanile, in primis). Pertanto, in riferimento all’Europa, se tale processo di deindustrializzazione non sarà arrestato e anzi invertito (non bastano gli indirizzi di politica fiscale comune), ma non si vede come, l’euro non potrà durare a lungo e così il polo europeo tanto faticosamente costruito andrà in frantumi. Se la borghesia tedesca e nord europea crede davvero di poter far blocco con la Russia di Putin, dovrà prima fare i conti con l’oste americano.
Comunque per la Cina non sono tutte rose e fiori, come vedremo nel post successivo.
(*) Tecnicamente, l’adesione della Cina all’Organizzazione Mondiale del Commercio, avvenuta nel dicembre del 2001, può certamente considerarsi la svolta più importante non solo degli ultimi decenni per questo Paese.
Alla fine del 1999, l'amministrazione delle finanze cinese e del Ministero delle finanze hanno diramato, congiuntamente, la “Circular on Tax Collection Regarding the Implementation of the Decision Made by the State Council on Strengthening Technology Innovation and High Technology Development”. Secondo la circolare, le attrezzature importate per la produzione di beni elencati nella sezione "State Catalogue of New Technology Products", per il supporto tecnologico, gli accessori e le relative parti sono esenti da dazi doganali e dell'IVA.
Analogo trattamento viene esteso alle importazioni di tecnologia avanzata. La nuova versione del “Catalogue for the Guidance of Foreign Investment Industries", entrata in vigore il 1 dicembre 2007, prevede, per quei progetti di investimento straniero "incoraggiati", l’esenzione tariffaria sulle importazioni di macchinari e attrezzature per proprio uso. Il governo centrale ha introdotto l’esenzione tariffaria e dell’IVA sulle importazioni di beni strumentali per i progetti nel settore hi-tech e su altri settori prioritari quali l'energia, agricoltura, trasporti, infrastrutture, produzione di materie prime, e del terziario, come pure nelle industrie chiave (pillar industries).
Chiaro che godendo di queste condizioni di estremo favore le aziende nostrane lascino la penisola italica per trasferirsi in Cina (ma anche più banalmente in Svizzera o in Serbia), tanto poi la cassa integrazione e la mobilità si paga con i contributi europei, ma soprattutto tagliando le prestazioni pensionistiche e alzando le tasse in nome dell’equità e del rigore.
Voglio consigliare la visione di questo docufilm, sulle condizioni degli operai cinesi:
RispondiEliminahttp://youtu.be/pbMQKVE2ZkA
CHINE BLUE - LE CONDIZIONI DEGLI OPERARI CINESI
(commento dell'autore del VD)
Documentario che mostra chiaramente le reali condizioni di sfruttamento degli operai cinesi in fabbrica.
Per chi avesse ancora qualche dubbio sulla natura imperialista e sfruttatrice del capitalismo cinese.
Con ciò non voglio assolutamente dire che l'Italia è un paese libero, piuttosto sto mostrando di come anche in Cina sia la borghesia ad essere al potere e non la classe operaia.
Ho voluto inserire questo documentario per dimostrare che in Cina non c'è il socialismo, ma una forma di sfruttamento e di corporativismo che ricorda quelli dei regimi nazifascisti.