venerdì 13 agosto 2021

Il grande caos

 

Il Pentagono ha annunciato ieri che gli Stati Uniti stanno inviando 3.000 soldati e marine in Afghanistan per proteggere le strutture diplomatiche statunitensi a Kabul e organizzare l’evacuazione dei civili americani. Le truppe speciali americane inviate in Afghanistan saranno schierate presso l’aeroporto internazionale di Kabul. Con circa 4.200 dipendenti, l’ambasciata degli Stati Uniti a Kabul è una delle più consistenti al mondo. Il dispiegamento delle truppe avviene mentre l’offensiva fulminea dei talebani – e la disfatta delle forze regolari afghane sostenute dagli Stati Uniti – ha stretto un cappio intorno alla capitale afghana.

Un’altra brigata dell’esercito composta di 3.500 - 4.000 soldati statunitensi è stata inviata in Kuwait in “attesa” di un possibile rapido dispiegamento in Afghanistan.

Nelle ultime ore è giunta la notizia della conquista da parte dei talebani della seconda città più grande dell’Afghanistan, Kandahar, nel sud e della caduta di Herat nell’ovest. Entrambe hanno una popolazione di circa 600.000 abitanti. Kandahar è il luogo di nascita storico dei talebani ed è stato un importante centro militare sia per l’occupazione guidata dagli Stati Uniti che per il regime afghano. Herat, una città prevalentemente di lingua persiana, è la porta strategica per l’Iran.

Nella provincia meridionale di Helmand, la capitale Lashkar Gah è sotto assedio, con i talebani che ieri hanno preso possesso del quartier generale della polizia. L’aviazione statunitense ha effettuato degli attacchi nel tentativo di fermare l’avanzata dei talebani, provocando vittime civili nella città.

Queste sconfitte lasciano al governo del presidente Ashraf Ghani un controllo precario di qualche lembo di territorio attorno a Kabul. Ghani si è recato a Mazar-i-Sharif, una città assediata di mezzo milione di abitanti nel nord, nel tentativo di mobilitare le forze fedeli ai signori della guerra afgani responsabili di alcuni dei peggiori crimini della sanguinosa guerra civile degli anni 1990.

In buona sostanza cosa sta avvenendo in questi giorni in Afghanistan? Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden aveva inizialmente annunciato che tutte le truppe statunitensi sarebbero state ritirate dall’Afghanistan entro settembre 2021, in adempimento di un accordo negoziato tra l’amministrazione Trump e i talebani a Doha nel febbraio 2020.

La maggioranza delle truppe statunitensi e degli appaltatori militari ha già lasciato l’Afghanistan, e il giorno ufficiale per il completamento del ritiro è stato anticipato al 31 agosto. Washington ha dichiarato che avrebbe lasciato una forza di 650 soldati e marines a protezione dell’ambasciata americana e dell’aeroporto di Kabul. La situazione però sta precipitando, gli uomini delle forze regolari afghane si stanno arrendendo senza combattere o si sono semplicemente tolte le uniformi confondendosi tra la popolazione, per cui i nuovi schieramenti statunitensi sono volti non solo a evacuare il personale statunitense, ma a ritardare la caduta di Kabul ed evitare uno spettacolo umiliante come quello nel Vietnam del Sud nel 1975.

Washington sta cercando disperatamente di mediare un accordo con il movimento islamista. L’inviato permanente degli Stati Uniti in Afghanistan, Zalmay Khalilzad, già rappresentante degli interessi della compagnia petrolifera Unocal nel Paese, è stato inviato a Doha per colloqui che hanno coinvolto Cina, Russia, Pakistan, Unione Europea, Nazioni Unite e repubbliche dell’Uzbekistan e del Tagikistan. L’Iran ha rifiutato di prendere parte ai negoziati.

Era presente anche Abdullah Abdullah, presidente dell’Alto Consiglio afgano per la riconciliazione nazionale e rivale elettorale del presidente Ghani. I colloqui di Doha hanno prodotto un’offerta ai talebani di un accordo di condivisione temporanea del potere in cambio di un cessate il fuoco. Il primo ministro pakistano Imran Khan ha dichiarato che qualsiasi accordo del genere dipende dalla rimozione del presidente afghano Ghani. Il grande gioco, dopo vent’anni di guerra, si è trasformato in un grande caos. Un altro.


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