I sondaggi elettorali sono un’istantanea, hanno un valore predittivo relativo, a volte incappano in clamorose smentite al momento in cui si contano i voti reali. E però se i sondaggi continuano a essere commissionati (e pagati) serviranno a qualcosa di diverso dalla lusinga del momento.
Cinque mesi dopo che l’ex capo della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha formato un “governo di unità nazionale”, il partito di Giorgia Meloni, all’opposizione, è in testa nei sondaggi.
Questo partito aveva ricevuto solo il 4% dei voti nelle ultime elezioni generali del 2018. Ora è dato da mesi e da diversi sondaggi sopra il 20 per cento.
Vero che le prossime elezioni politiche non avranno luogo fino al febbraio/marzo 2023, e che eventuali elezioni anticipate possono tenersi solo dopo le elezioni presidenziali del gennaio 2022, tuttavia non stiamo parlando di un futuro lontano.
Che la Meloni, a capo di questo partito, possa candidarsi a formare un prossimo governo, in coalizione con Lega e Forza Italia, non è una eventualità remota e tantomeno astratta. Senza i voti della Meloni, stando ai sondaggi, la destra nel prossimo parlamento non avrebbe i numeri per governare, e comunque un simile governo non potrebbe permettersi di avere Meloni all’opposizione. Tutto ciò dice qualcosa?
Meloni si colloca in una precisa tradizione storico-politica, quella del neofascismo italiano. Cresciuta in un quartiere popolare di Roma, a 15 anni aderì al movimento giovanile del Movimento Sociale Italiano. Sulla cui matrice ideologica non mi pare vi possano essere dubbi.
Nel 1994, Berlusconi ha portato nel suo primo governo il Msi, fatto inconcepibile in precedenza. Meloni ha ricoperto ruoli di primo piano nel MSI e nel suo successore Alleanza Nazionale, e nel 2008 è diventata ministro.
Insoddisfatta della moderazione di AN, che alla fine si è fusa con Forza Italia di Berlusconi, ha fondato Fratelli d’Italia nel 2014 per continuare nel solco della tradizione del MSI, anche se cerca di presentare FdI come un tradizionale partito conservatore di destra. Però l’emblema del partito, tanto per dirne una, continua con il simbolo della fiamma del MSI.
Le nostalgie di molti suoi militanti, le celebrazioni del 28 ottobre (1922), i pellegrinaggi in certi luoghi e molte altre cose, possiamo anche considerare alla stregua di folclore. E però che senso ha chiamare questo partito “post-fascista”? È un partito antifascista, ripudia il fascismo? Meloni ha mai preso le distanze dai movimenti chiaramente neofascisti che le fanno da contorno elettorale? Perderebbe un bel pacco di voti. Dichiara di avere verso il fascismo un rapporto “sereno”. C’è poco da rasserenarsi.
Com’è potuto accadere ciò che fino a pochi decenni or sono sarebbe apparso come inimmaginabile? Semplice: c’è sulla scena politica parlamentare un partito che rappresenti le classi popolari, i salariati, la difesa dei ceti sociali più deboli? Dopo il crollo del vecchio sistema partitico, la cosiddetta seconda repubblica non è mai nata. Solo macerie.
Storicamente il vuoto della sinistra è sempre colmato dalla destra più reazionaria. Faccenda stranota, e tuttavia la sinistra sembra disinteressarsene, impegnata com’è solo per taluni (pur sacrosanti) diritti civili, nonché su questioni che riguardano grandi banche e altri suoi tradizionali trofei, però dimentica di tutto il resto.
A incaricarsi di rappresentare quelle che un tempo erano chiamate “le istanze dei più deboli”, ci pensa il partito della Meloni, illudendo di avere una soluzione ai loro problemi ma in realtà trasformandoli in un’arma politica ed elettorale per combattere il nemico di turno e guadagnare posizioni verso la stanza dei bottoni.
Finirà male anche questa volta. Facciamo finta di niente, continuiamo con l’indifferenza, la superficialità e la complicità. Sovraesponiamo mediaticamente questi personaggi, sottovalutiamo e banalizziamo la questione, invece gravissima, del ritorno delle forze fasciste e del loro messaggio politico. Cantiamo “Bella ciao” il 25 aprile, antifascisti per un giorno all’anno, governando insieme con Matteo Salvini e Berlusconi, in attesa che la peggiore destra si prenda tutto il piatto.
Oppure c'è una parte dell'elettorato che ragiona con la pancia. E quando appare qualcuno o qualche partito che la spara più grossa e indica nemici ed avversari più diretti, soprattutto quelli che ti assolvono dalle tue magagne, subito si accoda.
RispondiEliminaPenso a Hitler nel '33 ed alla sparizione della social democrazia e dei comunisti in Germania. Maggioranze che si sfaldano come neve al sole.
Chi li vuole questi voti? O li teniamo nei recinti della Le Pen?
CdB. Una semplice ipotesi di getto...