Tutte le descrizioni della peste, da Lucrezio a Defoe, da Manzoni a Camus, sono state influenzate dalla narrazione di Tucidide della cosiddetta “peste di Atene”. Tuttavia è certo che la “peste di Atene” non ha nulla a che fare con la peste causata dal batterio Yersinia pestis che colpì in varie fasi gran parte dell’Europa e dell’Asia nella tarda antichità, nel tardo medioevo e in età moderna. L’epidemia descritta da Tucidide ha finora provocato molte spiegazioni diverse, ma la sua vera causa non è stata ancora chiarita.
L’epidemia colpì Atene in un momento estremamente inopportuno. Per anni era stato chiaro agli osservatori lungimiranti che la rivalità tra la potenza terrestre di Sparta e quella marittima di Atene avrebbe condotto a una lotta per la supremazia, che gli storici descrivono come una lotta di potere tra diversi sistemi politici. Sparta era un’oligarchia che divenne partner naturale dei regimi aristocratici, mentre Atene era a capo di una lega che mutò nel corso degli anni da un’alleanza di democrazie abbastanza simili in un impero dominante.
Nulla di veramente nuovo avvenne in seguito sotto il sole, verrebbe da dire.
Pericle avvertì i suoi concittadini “che la guerra è necessaria”. Le cospicue risorse che Atene drenava dalla Lega furono usate non solo per costruire i templi sull’Acropoli, ma anche le lunghe e imponenti mura che collegavano Atene al porto del Pireo. Ciò creava una massiccia difesa nel caso in cui gli spartani invadessero l’Attica.
Nel 431 ebbe inizio la seconda guerra del Peloponneso. Le guerre peloponnesiache, la cui intricata vicenda storica ci dava tanta noia a scuola, furono, nel loro contesto storico, l’equivalente dei conflitti mondiali del XX secolo: causarono immense perdite di vite umane ed enormi rovine, esacerbarono l’ostilità di classe e di fazione, divisero gli Stati greci e ne destabilizzarono i rapporti, minando la loro capacità di resistere a una conquista dall’esterno.
I primi a muovere, nel marzo di quell’anno, furono i tebani, potenti alleati di Sparta. Guidati da Nauclide s’infiltrarono a Platea, e però mal gliene incolse: le donne plateesi, comprese le schiave, ebbero un ruolo decisivo nella loro disfatta scagliando tegole e pietre contro gli invasori. I tebani arresisi furono trucidati. L’attacco dei tebani a Platea costituiva una palese violazione della pace tanto faticosamente raggiunta dopo la prima guerra del Peloponneso.
L’esercito professionista spartano invece devastò la campagna dell’Attica e i raccolti, ma fu incapace di assaltare le mura di Atene. Per contro, le truppe della flotta ateniese attaccarono le pianure costiere degli alleati di Sparta nel Peloponneso. Dopo alcune settimane di saccheggio, le truppe si ritirarono per dedicarsi alla mietitura. Pericle volle perseguire in questa strategia l’anno dopo, nel 430, ma oltre agli spartani arrivò la “peste”.
Il “morbo” dapprima comparve nel porto del Pireo, poi si fece strada attraverso il groviglio di tende e capanne che i contadini sfollati avevano eretto tra le lunghe mura. Alla fine raggiunse i quartieri migliori ai piedi dell’Acropoli.
Si diceva che questa peste avesse avuto origine in Etiopia, da dove si era diffusa in Egitto, in Libia e in gran parte dell’Impero persiano, prima di fare la sua comparsa in Attica. Tucidide, che ne fu colpito, ne descrive dettagliatamente i sintomi: simili a quelli della peste polmonare, del morbillo, della febbre tifoidea e di numerose altre malattie, ma non precisamente identificabile.
Le persone «prima di tutto soffrivano di un intenso calore alla testa e di arrossamento e infiammazione degli occhi, e subito tutto dentro, gola e lingua, era rosso sangue, e l’alito era strano e puzzolente». Seguono starnuti e raucedine, forte tosse, ulcere e vomito: «La maggior parte di loro perì il settimo o il nono giorno del calore interno».
L’opinione pubblica giocava un ruolo importante in questo frangente, controllarne gli umori era fondamentale. Con l’infuriare della peste di ateniesi si rivoltarono contro Pericle. Non avevano mai vissuto niente di simile a quell’epidemia, e lo sconforto in cui essa li aveva gettati aveva ormai gravemente minato la posizione del loro generale, la loro fiducia nella sua strategia nel proseguimento di una guerra che addebitavano alla sua intransigenza.
È evidente che le condizioni in cui vivevano gli ateniesi, asserragliati e accalcati con i profughi invece di essere sparsi per tutta l’Attica, rendevano gli effetti della peste molto più terribili.
Non potendo fare nulla di concreto per proteggersi dall’epidemia, la natura fece il suo corso. Prima di esaurirsi nel 427, l’epidemia uccise 4.400 opliti, 300 cavalieri e un numero imprecisato di cittadini delle classi inferiori, falcidiando fosse un terzo della popolazione della città.
Oggi sono disponibili farmaci efficaci per affrontare questo tipo di epidemie, ma in quantità adeguata solo per una minoranza della popolazione mondiale, quella appartenente ai paesi economicamente più ricchi, che possono pagare prezzi elevati. Le leggi di natura non c’entrano, ci si ammala e si può morire perché è fatta prevalere la logica del mercato, sostenuta mediaticamente dai più realisti del reame. Non è una novità, ma è bene tenerlo a mente.
Nonostante la peste, che grazia! :)
RispondiEliminaA proposito, le varianti sono da un po' di tempo designate con lettere dell'alfabeto greco; si è detto per non stigmatizzare alcuni Paesi ma l'effetto (voluto?) è quelli di dimenticare che la pandemia è ecumenica, riguarda tutta l'umanità. L'importante è però che stiamo a posto noi, dicono gli amministratori del mondo.
RispondiElimina(Peppe)