Questa estate il caldo non è stato opprimente dove abito, ma al Sud, a giudicare da una certa foto che ho visto su FB (102,56 gradi Fahrenheit), il calore è stato quello di un ferro da stiro rovente. Un’ondata di caldo record anche in Grecia, dove la temperatura ha toccato in alcune zone i 116,8 gradi Fahrenheit (47,11° C.), innescando numerosi incendi in tutto il paese, con morti, decine di feriti e migliaia di evacuati, bruciate diverse case e circa 800 km quadrati interessati dalle fiamme.
Le montagne della regione algerina di Tizi Ouzou sono state interessate da più di 100 incendi boschivi nelle ultime due settimane, causando più danni di tutti gli incendi dal 2008 al 2020 messi insieme. Sono state ridotte in cenere le cittadine di Larbaâ Nath Irathen, Beni Douala e Aït Mesbah. Finora 90 persone sono morte.
In Bolivia sono bruciati circa 1.000 km quadrati nelle regioni dell’Amazzonia e del Chaco.
I più grandi incendi sono attualmente attivi in Siberia, che hanno interessato dall’inizio dell’anno più di 100.000 km quadrati (pari a un terzo del territorio italiano). Sono stati di un’entità paragonabile alla catastrofica stagione degli incendi boschivi australiani 2019-‘20. Gli incendi sono stati in parte favoriti da temperature record che hanno raggiunto i 47,7 gradi durante l’estate. Il fumo degli incendi ha coperto il cielo per oltre 3.000 km da est a ovest e 4.000 da nord a sud, arrivando fino a Ulan Bator, la capitale della Mongolia, e raggiungendo per la prima volta il Polo Nord.
Oltre al fuoco, l’acqua. Nel fine settimana in tutto il Middle Tennessee vi è stata una catastrofica inondazione, con 22 persone morte, tra cui diversi bambini e due gemelli di sette mesi, mentre almeno 50 risultano disperse.
Le inondazioni di luglio in Europa hanno causato la morte di più di 230 persone, specie in Germania e Belgio. Le forti piogge nella regione turca del Mar Nero hanno causato inondazioni improvvise con 82 vittime. Inondazioni si sono verificate in Cina, Stati Uniti, India, Pakistan, Giappone, Afghanistan e Nuova Zelanda.
Un altro segnale del cambiamento climatico è la pioggia caduta per 9 ore consecutive e per la prima volta dall’inizio delle registrazioni sulla vetta più alta della Groenlandia. Le temperature sono aumentate sopra lo zero per la terza volta in meno di un decennio, consentendo il verificarsi di precipitazioni anomale.
Come indica l’ampiezza geografica degli esempi citati, non c’è paese che non sia interessato dagli effetti degli eventi meteorologici estremi causati dal cambiamento climatico.
Il rapporto Carbon Majors del 2017 mostra che solo 100 aziende in tutto il mondo hanno prodotto, nel periodo 1988-2015, il 70.6% di tutte le emissioni globali di gas serra («All 100 producers account for 71% of global industrial GHG emissions»), nel 2015 il 72.1%, e sono responsabili di circa la metà (52%5) di tutte le emissioni di gas serra causate dalle attività umane dall’inizio della rivoluzione industriale (1751). Il 59% di queste società è di proprietà statale.
Un così forte e veloce aumento delle temperature globali, prelude a fenomeni climatici molto più devastanti, ondate di calore e di siccità più lunghe, scarsità di risorse idriche nei mesi estivi, alta frequenza degli incendi, innalzamento del livello del mare e delle maree, erosione delle coste ed estinzione delle barriere coralline, fattore quest’ultimo essenziale della catena alimentare e fonte di sostentamento per milioni di persone.
Non è azzardo ipotizzare che il clima globale entri in una fase qualitativamente diversa, quella in cui gli effetti dell’attuale fase del riscaldamento alla fine disaccoppino il clima terrestre dall’attività industriale umana, di modo che altri processi geofisici, come il rilascio di metano dallo scioglimento del permafrost, riscaldino il pianeta molto più di quanto sia capace anche la combustione di combustibili fossili. Uno scenario del genere sarebbe impossibile da controllare e produrrebbe estinzioni in massa degli esseri viventi in breve tempo.
Come ho già scritto in questo blog, questa è l’epoca che ha ogni mezzo tecnico per alterare in modo assoluto e definitivo le condizioni di vita sul pianeta, ma è anche l’epoca che ha tutti i mezzi necessari di controllo e previsione per misurare con esattezza e in anticipo dove ci sta portando un’economia lasciata libera di crescere senza limiti e senza una programmazione. Un’economia che ha come scopo assoluto ed esclusivo il profitto, l’accumulazione fine a se stessa.
L’accelerazione dell’accumulazione, che a sua volta guida l’accelerazione dello sfruttamento delle risorse mondiali e ha portato direttamente agli attuali (e futuri) disastri ecologici, e la caduta del saggio del profitto, sono semplicemente diverse espressioni di uno stesso processo, ambedue esprimendo lo sviluppo della forza produttiva. Pertanto l’accelerazione del processo di accumulazione non riguarda una cattiva predisposizione dei singoli soggetti economici, bensì segue di necessità le leggi proprie e ineludibili dell’attuale modo di produzione.
Non saranno le nuove tecnologie a salvare il pianeta dalla crisi ambientale, come vorrebbero farci credere, con l’impiego di fonti energetiche alternative, in tutto o in parte, al fossile (la costruzione di metanodotti peraltro continua e la lotta per il controllo dei giacimenti d’idrocarburi è sempre più aspra). Una tale tecnologia e una tale scienza possono soltanto accompagnare verso la progressiva accelerata distruzione del mondo che le ha prodotte e che le possiede.
Il limite non è tecnologico, ma riguarda il movimento stesso del capitale.
Pertanto, l’impegno dichiarato sulla riduzione delle emissioni inquinanti resta un buon proposito, ma non può diventare volontà reale (e i fatti lo dimostrano) se non trasformando il sistema produttivo attuale dalle fondamenta. Questione che non è presa in considerazione nemmeno per ipotesi, perché ciò è contrario a tutti gli interessi piccoli e grandi in campo e all’ideologia che li accompagna.
Senza nulla togliere a quest'ottimo articolo, vorrei sommessamente far notare, che bel l'85% degli incendi, qui in Italia, è di natura dolosa.
RispondiEliminaBuona giornata
Non è casuale che nel post non cito l'Italia, che peraltro è lo zero virgola del pianeta. Cordialità
Eliminal’alterazione del clima, più che un problema nazionale, sembra un problema di ricchezza, oppure, usando un termine ormai caduto in disuso, di classe.
RispondiElimina«La ragione di questa enorme disparità di emissioni è abbastanza ovvia: ricchi e benestanti, in qualunque parte di mondo vivano, hanno stili di vita abbastanza simili e molto energivori», spiega Tim Gore, capo delle politiche e della ricerca di Oxfam International.
«Più una persona ha un reddito alto, e più ha consumi che comportano alte emissioni: dall’avere tante auto in famiglia e spesso di grossa cilindrata al viaggiare frequentemente in aereo, dall’essere forti consumatori di prodotti ad alte emissioni, siano essi alimentari, vestiti o elettronica, all’avere abitazioni più grandi e ben climatizzate, che consumano molta energia».
Al contrario i poveri mangiano poco, locale e spesso autoprodotto, hanno case piccole e poco o per niente climatizzate, consumi extra alimentari minimi e viaggi ancora meno frequenti.
https://www.qualenergia.it/articoli/chi-ha-riempito-aria-co2-problema-classe/
P. S: anche se l'articolo sopra tratto da qualenergia.it è in fondo una critica laterale borghese, vale la pena leggerlo. Sia per i dati che offre, sia per capire come questi vogliono risolvere i problemi climatici senza uscire fuori dall'ottica ideologica capitalistica.
RispondiElimina