Di nome fa Lorenzo. Nasce ad Aiello Calabro, figlio del sindaco democristiano e nipote del fu pretore di Cetraro. Per quale motivo ne scrive a tutta pagina 9 il Sole 24ore di ieri? Il titolo dell’intervista di Paolo Bricco lo spiega: si tratta del “ragazzo del Sud che scommise sul turismo e oggi è pronto a esportarlo”. Non Murgia & Sushi dell’improvvisato Pierfrancesco “Checco” Zalone in Tolo Tolo. Lui, Lorenzo Giannuzzi, classe 1950, partendo dalla gavetta c’è l’ha fatta davvero.
Lorenzo s’iscrive al liceo classico, per tradizione di famiglia, dice, ma già al ginnasio lascia per ragioneria. Lo stesso con l’università: “entra” (?) alla facoltà di medicina e chirurgia di Ferrara, però “in ospedale” non si trova a suo agio di “fronte ai corpi da curare, alle barelle e alle autopsie”. Non c’erano le brochure delle offerte formative come ci sono oggi. Al secondo anno lascia il bisturi. Si trasferisce a Siena per frequentare scienze politiche, ma poi abbandona la Toscana perché vuole “imparare l’inglese”. E qual è il luogo migliore per approcciare la lingua di Byron? Le Montagne Rocciose del Canada.
Oltre a imparare l’idioma che altro fa il nostro Lorenzo in quel di Calgary? Lavora come busboy. Termine inglese per dire che “porta i piatti dalla cucina alla sala da pranzo”. Cameriere, insomma. Lavoro onesto e dignitoso. È qui però il nostro Jack London “scopre il mondo degli alberghi”, che l’Italia n’era evidentemente sprovvista.
Paolo Bricco verga questa intervista, ospite al Forte Village di Lorenzo Giannuzzi, in Sardegna. Arriva al tavolo il vermentino freddo, servito da camerieri che “hanno volti e tratti, educazione e nobiltà nei modi propri della sarditudine”. Insomma, Santa Margherita di Pula, non Coccia di Morto.
Quindi “il piatto principale: la cacio e pepe di Heinz Beck, che ormai è un classico di alta cucina italiana”, s’entusiasma il gourmet Bricco. Per chi non fosse dell’ambiente, preciso che Heinz Beck, allevato con la Gemüsesuppe, è ora un cuoco con tre stelle Michelin, quelle della Pergola di Roma, locale con vista e conto mozzafiato, staff supponente e presuntuoso.
Impossibile non avere simpatia per un ospite squisito come Lorenzo, un personaggio deamicisiano che dalla Sila raggiunge le montagne canadesi e poi, probabilmente su un cargo battente bandiera libanese, approda ai Caraibi. Dove incrocia una “personalità carismatica e influente della City di Londra”, che risponde al frusinate Sir Charles Carmine Forte, ex lattaio che arrivò ai vertici del turismo internazionale.
Come avrà fatto Lorenzo, con un diploma di ragioniere e curriculum di cameriere, a diventare “imprenditore e manager”? Non con le pur generose mance dei clienti canadesi. A suo tempo fu mandato dai Caraibi alla Wharton School della University of Pennsylvania per frequentare il master per executive. Evidentemente nel roccioso ex cameriere fu notato un talento da valorizzare.
Ora Lorenzo possiede il 5% del capitale del Forte Village, informa il quotidiano confindustriale, “il resto è di Musa Bazhaev, imprenditore russo del settore minerario”. Il Forte Village, descrive Lorenzo, è per i soggiorni della “clientela più facoltosa e più disponibile a riconoscere prezzi elevati”, ossia che non bada a spese per gustare, in uno dei 21 ristoranti a disposizione, una pastasciutta condita da un cuoco griffato con cacio locale e pepe esotico.
Ed è al Forte Village, leggo su internet, che la nazionale italiana aveva svolto la prima parte della preparazione prima degli europei di calcio. Ed è sempre lì che Barella, Bonucci e Chiellini sono stati poi in vacanza, e dove Lorenzo Giannuzzi ha aperto il primo negozio Louis Vuitton. Non pizza e fichi, casomai cacio e pepe.
Passano le ore, il caldo del pomeriggio non è soffocante, precisa Paolo Bricco ingollando un tortino di crema e frutta, dimentico però di chiedere cortesemente a Giannuzzi notizie su Musa Bazhaev, sul defunto fratello di lui e sul clan ceceno dei Bazhaev (*).
Il Forte Village, ma questo nell’intervista non c’è, è ufficialmente di proprietà della Progetto Esmeralda Srl, a sua volta di proprietà di una società lussemburghese, controllata da una holding a Cipro, la Quarmine Limited. La Quaramine, contiene altre tre società: una di maggioranza, una holding in cui compaiono i nomi dei Bazhaev, Musa e il nipote Deni. Le quote di minoranza sono invece spartite fra una fiduciaria italiana che fa capo a Rossano Ruggeri, e un’altra società completamente anonima registrata alle Isole Vergini Britanniche. Nulla d’illegale, anche se, dicono, l’assetto societario pare molto articolato per la gestione di un resort, già di proprietà di Emma Marcegaglia e ceduto ai ceceni per 180 milioni.
Lorenzo spiega: “Nei prossimi tre anni investiremo in una destinazione sciistica sulle Alpi e in un resort con stagionalità invertita rispetto per esempio all’Oceano Indiano o ai Caraibi. La cifra che abbiamo ipotizzato non è inferiore a 150 milioni di euro”, puntualizza l’ex busboy delle Montagne Rocciose canadesi in vena di confidenze finanziarie.
“I profumi dei cibi si affievoliscono – sospira l’intervistatore – e torna prepotente a sentirsi l’odore” ... della solita marchetta domenicale.
(*) Bazhaev Musa Yusupovich, ceceno, è presidente di Alliance Group, “sul listino della Borsa di Stoccolma ma con radici ben piantate in Cecenia” (La Stampa), proprietario di Russian Platinum Group of Companies, è attivo anche nel settore tessile e immobiliare, è uno dei principali attori nel mercato immobiliare in paesi come la Repubblica Ceca e la Slovacchia, controlla il 25% della finanziaria PSJ Holding BV, con sede in Olanda, eccetera. Secondo dati Forbes, il suo patrimonio raggiunge i 700 milioni di dollari e lo colloca al 164° posto nella lista dei 200 russi più ricchi, ma il suo clan familiare è miliardario.
Sulla vicenda e la fortuna del clan Bazhaev, segnalo questo link. Non mi pare tratti di cacio e pepe.
...per chi volesse frequentare la Ecole Hôtelière de Lausanne e dare una svolta alla sua vita il corso è della durata di tre anni per soli 167.776 (franchi svizzeri ovviamente) meno di 160.000 euro...
RispondiEliminaBaci
maurix
Amo sentire queste cose. Dimostrano che la proprietà è un furto e che il furto non è altro che la menzogna.
RispondiEliminaIl furto è solo e soltanto compiuto da chi pratica la menzogna.
Stefano