Ieri, il Sole 24ore apriva titolando: «Debito record: bond al 75% del Pil mondiale». Si perdoni la propedeutica spiccia: i bond non sono solo obbligazioni societarie (corporate), ma soprattutto titoli governativi, par excellence.
Di là degli aspetti speculativi, il debito pubblico è dato da un motivo molto semplice: gli Stati ricorrono a prestiti, fanno debiti, firmano cambiali per il futuro perché spendono di più di quanto incassano. Il disavanzo tra entrate e uscite è reso insanabile dalla dinamica della spesa pubblica.
È proprio attraverso la tendenza alla crescita del disavanzo dello Stato che s’instaura uno dei meccanismi mediante il quale la borghesia esercita il suo potere indirettamente, laddove la differenza di censo, ossia di “possesso”, non ha più come un tempo effetto ufficiale, essendo tutti i cittadini dichiarati “uguali”. Lo Stato può dunque apparire indipendente e autonomo, tanto dalla classe dominante che dalle altre classi, simulare d’essere portatore dell’interesse generale.
Per cogliere appieno tale aspetto è sufficiente far caso all’alleanza di fatto tra le banche centrali e le Borse. Negli Stati Uniti, ma non solo, tale rapporto è alla luce del sole. Il film Too big to fall, ispirato al libro Il crollo, di Andrew Ross Sorkin, giornalista ed economista del New York Times, ne esemplifica le dinamiche. Peraltro bisognerebbe stabilire, nel caso italiano, se abbiano avuto più peso nella nostra storia recente le elezioni o personaggi come Ciampi, Dini, Monti, Draghi, per citare i più esposti pubblicamente.
Va anche osservato che il debito pubblico, per essere finanziato, richiede tra l’altro l’aiuto di organismi internazionali, gettando così le basi materiali-economiche di un intervento straniero nelle decisioni di politica economica interna, come per esempio avviene con l’Unione Europea (che sarebbe troppo ingenuo ritenerla un’organizzazione neutrale).
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Gli Stati spendono anzitutto perché spinti dalla necessità di contenere le spinte disintegrative che gli interessi antagonistici di classi sociali contrapposte portano inevitabilmente con sé, nonostante tutti i paludamenti ideologici sostenuti mediaticamente di cui s’ammantano.
Lo Stato è allo stesso tempo prodotto e manifestazione di tali interessi antagonistici. Non può risolvere questi antagonismi, bensì deve tenerli a freno, irreggimentarli, impedire con ogni mezzo che la loro potenzialità si trasformi in pratica sovvertitrice e rivoluzionaria. Lo Stato in tal senso è fattore di coesione, ma fattore di parte perché garante di un determinato modo di produzione e della sua riproduzione.
In altri termini: lo Stato deve assicurare l’ordine sociale esistente, ossia mantenere stabili i rapporti sociali vigenti. Esso rappresenta l’organizzazione della classe dominante in ogni periodo storico, di volta in volta come tipo di Stato diverso: schiavistico, feudale, borghese. E in forme diverse: democratiche o autoritarie, secondo le circostanze, ma la cui sostanza è unica.
Pertanto lo Stato deve, in primis, mantenere un apparato militare e amministrativo di controllo/repressione elefantiaco e dispendioso; garantire la pace sociale attraverso “ammortizzatori” di vario genere e politiche di regolamentazione del reddito (il famoso welfare). Tutto ciò (e altro) richiede spese elevate e in progressione, uscite non compensate completamente dalle entrate.
Gli ideologi borghesi, per riportare a un soddisfacente equilibrio il rapporto spesa/gettito fiscale, propongono varie ricette, in definitiva tra di esse complementari e che si possono sintetizzare in ciò che è più elementare nella pseudo teoria economica borghese: ridurre le spese e aumentare il prelievo. Senza volerne fare la storia, i “teorici” si dividono, secondo la vulgata, tra biechi reazionari “liberisti”, che propendono per il taglio delle spese statali, e gli eroi d’un riformismo illuminato, di un’ideologia socializzante incline ad aumentare il prelievo fiscale ai soggetti economici forti. A ognuno il suo se ciò offre soddisfazione.
Rigorismo e riformismo, anche combinati tra loro, sono solo degli escamotage, e tendono a dissolvere con le loro semplicistiche ricette la complessità del modo di produzione capitalistico nella sua base economica, risolvendo il ruolo dello Stato in una pura funzione di “regolatore” della produzione divenuta sociale.
Il disavanzo non può essere portato in equilibrio semplicemente aumentando l’imposizione (peraltro i soggetti economici forti trovano, nella competizione fiscale tra paesi e nelle larghe maglie legislative, i modi per pagare meno o eludere il fisco), né tagliando le spese (questione che si scontra con il ruolo equilibratore e promozionale della spesa pubblica “aggregata”, e molto altro ancora). È come prescrivere del paracetamolo a un soggetto malato la cui febbre è solo sintomo di altra causa. Una causa che ha origine nel fondamento stesso del sistema economico capitalistico, che è la valorizzazione del capitale.
È nel luogo di questa valorizzazione, ossia in ogni luogo, quindi anche nella dimensione della spesa pubblica e nell’ambito della politica fiscale, che si fronteggiano Stato e classi sociali. Come sempre ma tanto più nel prodursi del fenomeno della crisi degli istituti statuali e nella rottura degli equilibri tradizionali tra politica ed economia. Lo Stato non riesce più a mascherare la sua dipendenza sostanziale dal potere economico-finanziario e regge sempre meno la mistificazione del gioco elettorale. Eccetera.
Peraltro, senza entrare nel merito di ciò che qui ho appena accennato, va osservato che i singoli capitalisti, in quanto tali, sono interessati solo all’acquisto e allo sfruttamento della forza-lavoro; ma, fuori del rapporto di scambio e di sfruttamento, ogni costo diventa per loro improduttivo, irrazionale e, dunque, assolutamente privo d’interesse.
Del resto, perché mai il singolo capitalista che, a differenza dei filantropi, è tutto dedito alla ricerca “scientifica” del massimo plusvalore estraibile alla forza-lavoro acquistata e alla sua massima realizzazione sul mercato, dovrebbe sprecare il suo tempo e il suo denaro per risolvere i problemi che affliggono quei gruppi sociali – come i vecchi, gli handicappati, disoccupati cronici e marginali di ogni genere – incapaci di valorizzare in una sia pur minima misura il suo capitale?
Non va inteso come cinico egoismo, bensì come pragmatismo economico di chi impegna i propri soldi. Questi gruppi sociali, che consumano senza produrre e senza contribuire in alcun modo alla realizzazione e alla conservazione del valore, potrebbero senza alcun inconveniente, per ciascun singolo capitalista, essere tranquillamente soppressi. Il ragionamento può essere spinto fino al suo estremo limite, restando vero anche in rapporto a tutti capitalisti nel loro insieme.
Tutto questo, normalmente, non avviene oggi, non almeno in forma esplicita; e ciò non si spiega con un residuo sussulto “umanitario” dei capitalisti, ma con il fatto che è più conveniente agire “democraticamente” e con la mano sul cuore. La pace sociale e la cooptazione sono indispensabili per qualunque strategia economica e per rilanciare i profitti. Fino a quando la situazione del debito pubblico reggerà, le spinte antagonistiche resteranno fuori della porta. Perciò, viva il debito.
Sarebbe interessante se qualche titolato paladino di una delle due scuole citate sopra (rigoriste e riformiste), dismettendo per un attimo la sua armatura di classe, provasse - a mio avviso, senza successo - a contraddire quanto argomentato, assai chiaramente, in questo post.
RispondiEliminasi credono aquile ...
EliminaVa anche osservato che il debito pubblico, per essere finanziato, richiede tra l’altro l’aiuto di organismi internazionali, gettando così le basi materiali-economiche di un intervento straniero nelle decisioni di politica economica interna, come per esempio avviene con l’Unione Europea (che sarebbe troppo ingenuo ritenerla un’organizzazione neutrale).
RispondiElimina***
Mi pare che qui si faccia un po’ di confusione – non so se voluta - tra debito pubblico interno e debito (pubblico) estero. Inoltre si dovrebbe anche chiarire sotto quale legislazione il debito viene emesso. E anche la valuta di emissione ha la sua importanza.
Il debito interno può sempre essere finanziato emettendo moneta (che si chiama moneta legale perché c’è una legge dello stato che stabilisce quale moneta usare nei rapporti economici interni). Il debito estero (ad esempio in dollari) invece può essere ripagato solo se lo stato emittente si procura dollari (o li ha già a disposizione) quando deve pagare gli interessi o rimborsare il capitale. In questi casi potrebbe essere “costretto” a (s)vendere materie prime o altro.
Per quel che riguarda gli interventi stranieri nelle decisioni di politica economica interna, questi non derivano solo da quanto debito una nazione (direttamente o per il tramite di un organismo internazionale) possiede nei confronti di un’altra, ma, secondo me, in senso più ampio anche da tutto quello che è “politica estera” nel senso più ampio del termine, ossia dai rapporti politici ed economici che un paese intrattiene con gli altri paesi (e anche qui possono essere rapporti bilaterali e/o per il tramite di organizzazioni internazionali.
Un’ultima cosa: se esiste un debito esiste anche un credito. Perché non parlarne?
Bragadin
Caro Marcantonio, il post affronta, come concede la dotazione casalinga, la questione dal punto di vista generale. Direi più dal punto di vista, per così dire, “sociologico” che economico.
EliminaTenga presente che questo è un blog, non una rivista scientifica. L’attenzione media sui social e in Tv non supera, quando va bene, i 20-30” per tema. Un tempo gli spot di Carosello avevano una durata di ben 3 minuti ed erano rivolti a una specie antropologica che già a 12 anni era provveduta intellettualmente come ora molte persone over 40.
Vero è che questo blog, seguitissimo tra i reduci di Carosello, annovera lettori con un quoziente d’attenzione nettamente superiori alla media, ma non è il caso di chiedere loro ogni volta di battere dei record.
Al bisogno posso fornirle l’indicazione di un eccellente dermatologo.
Cara Olympe, perché questa irritazione? Ho forse detto qualcosa di male o di sbagliato?
EliminaNessun dubbio che questo sia un blog, tuttavia quando ho letto del debito, non ho potuto fare a meno di chiedermi il perché di questa superficialità (anche se qui meno che altrove).
Anche perché vedo che altri argomenti sono esposti in maniera, se non rigorosa, almeno puntuale.
Il mio intento era quello di fornire alcuni spunti da sviluppare, ovviamente senza nessuna pretesa e senza alcun obbligo, ma se il confronto non è gradito non ho nessun problema ad andarmene. Dopotutto qui non sono io il padrone di casa.
Un’ultima cosa: non ho e non ho mai avuto bisogno di un dermatologo, tuttavia,previo consenso dell’interessato, può sempre pubblicare nome e contatti, a qualcuno potrebbe servire.
Bragadin
Nessuna irritazione. Superficiale sei tu. Non ho voluto entrare nel merito delle tue osservazioni perché non sono pertinenti. La battuta sul dermatologo non l'hai capita ma non fartene un cruccio. Puoi andartene dove vuoi.
EliminaNessuna irritazione. Superficiale sei tu. Non ho voluto entrare nel merito delle tue osservazioni perché non sono pertinenti. La battuta sul dermatologo non l'hai capita ma non fartene un cruccio. Puoi andartene dove vuoi.
Elimina***
Autoreferenzialità e incensamenti, il resto non ti interessa.
Bene
Bragadin
Altro post scritto magistralmente.
RispondiEliminaGrazie, è sempre un vero piacere leggerla.
Dario G.
Grazie Dario, è sempre gratificante ricevere di questi commenti.
Eliminaconfermo e riassumo. dal perverso accordo tra guerrieri e sciamani: libertè, egalitè, proprietè
RispondiEliminalibertè, egalitè, charitè
d'accordo.
RispondiEliminaLa funzione del debito è controllo sociale.
Ma deve essere maggioranza a beneficiarne, o perlomeno deve alimentare i centri di potere che possono ricattare tutti quelli sotto, costretti a lavorare per loro o da loro. Inoltre la spesa sociale permette acquisto delle merci prodotte. Quindi si hanno due vantaggi producendo debito: si obbligano alcuni a lavorare per altri; si comprano i prodotti del lavoro. Viva il debito, sì, ma io lavoro e basta.
Ricordo che in Italia la popolazione inattiva è quantitavamente maggiore a quella attiva; e ricordo che gli importi medi degli assegni pensionistici sono alquanto superiori alle utlime forme di reddito da lavoro. La dinamica è chiara: sempre peggio. Nessun limite costituzionale al peggio...
La dinamica della produzione di debito - la storia del debito - conta: chi prima arriva meglio alloggia... Per un verso c'è una prevalenza demografica, ma pure un contesto sociale. Generazioni più virulente hanno prodotto più debito; o per meglio dire, hanno intascato e intascano più debito. A scapito di quelle a venire.
Il singolo capitalista deve valorizzare il capitale in una società viva. S euno è inabile ma ha 3 pensioni va benissimo al capitalista.
Grazie del post, spero di non essere finito fuori pista, saluti.
la questione demografica è problema vero e interessa la sostenibilità del debito. ma anche questo problema rientra nella questione di che cosa si vuol fare del surplus prodotto socialmente, peraltro in considerazione dall'aumentata produttività del lavoro. tema che non poteva essere affrontato, come altri, in un unico post. grazie a te.
Eliminaora vorremmo un post su debito e inflazione...
Eliminascrivo come butta l'estro
Eliminapure io
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