domenica 31 luglio 2016

Divide et impera. Letture inattuali


A scuola, nel libro di storia, al massimo trovavi una mezza paginetta dedicata ai Vespri siciliani, ma ben difficilmente s’accennava, in seguito, ai Fasci siciliani, che certamente non furono, dopo l’Unità, un fatto secondario per quanto riguarda la più vasta regione italiana e i moti proletari che la percorsero degli ultimi anni dell’Ottocento, culminando in stragi come quella di Caltavuturo del 20 gennaio 1893 (tredici morti e decine di feriti). Né, in generale, vi si rintracciano riferimenti al lavoro minorile. Vorrei ricordare un’altra strage, avvenuta alla miniera La Mintina il 10 giugno 1886, dove morirono picconieri e carusi.

Chi erano i picconieri e i carusi? Furono descritti con esattezza e con uno stile da antologia da un giornalista allora molto noto e poi, come sempre accade in questi casi, dimenticato dopo la sua morte:

A un certo punto, mentre attraversavamo la montuosa regione che separa Campobello dalle zolfare, vedemmo in lontananza un ragazzo di nove o dieci anni, basso e robusto, che fuggiva per la campagna brulla, inseguito a duecento metri di distanza da un uomo senza berretto e dalle vesti bianche di zolfo, che per correre meglio si era levato le scarpe e con esse minacciava il fuggitivo con atti di ira feroce. È un picconiere – ci dissero i contadini – che cerca di ripigliarsi un caruso scappato. Se lo prende, lo concia per le feste! Son cose che succedono qui tutti i giorni.


sabato 30 luglio 2016

Decaduti da ogni diritto alla considerazione umana




Nel 2015 in Italia i morti sono stati 653 mila (+54 mila). Il tasso di mortalità, pari al 10,7 per mille, è il più alto tra quelli misurati dal secondo dopoguerra in poi.

Il picco – ci racconta l’Istat – è in parte dovuto a “effetti strutturali connessi all’invecchiamento e in parte al posticipo delle morti non avvenute nel biennio 2013-2014, più favorevole per la sopravvivenza”. Che cosa significa esattamente l’espressione “effetti strutturali connessi all’invecchiamento”? Che gli anziani (75-95 anni) hanno più probabilità di morire, com’è fin troppo ovvio. C’è anche chi chiama in causa un presunto “effetto virale” poiché la popolazione si sarebbe vaccinata di meno contro l’influenza. Mezze verità e molte balle.

Su questa faccenda non si è più scritto dal febbraio scorso e l’Istat non ha aggiornato le tabelle statistiche sulla mortalità, sono ferme al 2014! Né si conoscono dati per il primo semestre del 2016. Si può ricavare l’impressione che su questo tema vi sia reticenza, salvo scoprire che ora anche ufficialmente si prende atto che la cosiddetta speranza di vita si è ridotta (lo sarà sempre più).

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venerdì 29 luglio 2016

Quel socialista al ketchup di Sanders


Con il suo sostegno per la nomina di Hillary Diane Rodham Clinton alla Convention nazionale democratica, la campagna di Bernie Sanders è giunta a una fine ignominiosa. Nulla rimane della sua campagna tranne slogan vuoti di significato reale e frasi ingannevoli. Questo risultato era ampiamente prevedibile fin dall'inizio, come del resto ho già scritto a suo tempo.

Affermare che il consenso dato a Sanders è stato un'espressione di profonda rabbia sociale è molto diverso dal dire che la campagna Sanders si articola e rappresenta questa rabbia. Sanders non mirava a creare le condizioni per una “rivoluzione”, ossia un cambiamento, per quanto nell’ambito del riformismo, come lui affermava nei suoi discorsi elettorali, ma per evitare qualsiasi mutamento. Sanders non parlava in nome della classe operaia e della classe media messe in ginocchio dalla crisi, ma ha fatto il gioco della classe dirigente e della classe politica che vede la crescita dell’opposizione sociale con timore e cerca dei modi per contenerla.

La principale funzione politica della campagna di Sanders è stata quella di deviare e incanalare il crescente malcontento sociale e l’ostilità verso il sistema esistente e il Partito democratico. La sua campagna condotta come sedicente “socialista” è stata un tentativo, riuscito, di prevenire e bloccare la nascita di un movimento indipendente.

giovedì 28 luglio 2016

“Uccidevano operai”


Non è mancata occasione questa settimana, al giornalista Giorgio Meletti, di buon mattino dai microfoni di Radiotre, per tracciare un parallelismo tra gli stragisti dell’Isis e le Brigate Rosse, quindi di dire e ribadire che queste ultime “uccidevano operai”.

È vero che il gruppo genovese delle BR uccise un operaio-sindacalista. Va detto subito che tale organizzazione comunista non uccideva a cuor leggero, specie un operaio. E tuttavia non era nemmeno da escludere, nella logica di quella lotta, che un operaio potesse costituire un obiettivo da colpire. Non voglio entrare nel merito della vicenda storica di quegli anni e sulla quale tante leggende sono proliferate.


mercoledì 27 luglio 2016

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Stipendi pubblici bloccati da ormai non si sa più quanti anni e con la prospettiva di avere pochissimi euro lordi di aumento, disoccupazione a due cifre e quella giovanile senza freni (*), sanità al tracollo, schiavizzazione del lavoro (i vaucher esplodono per numero), la prossima legge di stabilità che eredita miliardi di euro di debito per la clausola di salvaguardia sull’IVA, banche in dissesto, e, come non bastasse, tale Higuain che tradisce Gomorra per Sodoma.


(*) Nel giro di appena otto anni (2008-2016) i lavoratori con meno di 35 anni diminuiscono del 28% e quelli in età centrale del 6%. Al contrario, nello stesso periodo i lavoratori ultracinquantenni aumentano del 39%. Il rapporto fra lavoratori giovani e lavoratori maturi si inverte: da 7/5 a 5/7.

Disparità


Si può avere 64 anni e 41 anni di contributi ed essere costretti a continuare a lavorare come schiavi. Per i giornalisti, invece, è diverso ed immagino perciò quale dev’essere il loro turbamento quando scrivono in tema di pensioni.

Innanzitutto va rilevato che essi hanno una doppia previdenza, quella INPS e quella dell’ente previdenziale di categoria: L’INPGI, il quale ha mantenuto per i propri iscritti la possibilità di accedere alla pensione di anzianità con 57 anni di età e 35 anni di contributi, con l’applicazione di penalizzazioni, le quali però sono azzerate se si accede alla pensione con 62 anni d’età o con 40 anni di contribuzione (indipendentemente dall’età anagrafica). Pertanto il giornalista che decida di andare in pensione anticipata, per poi magari dedicarsi alla libera professione, scrivere libri e farsi i casi suoi, può accedervi già con soli 35 anni di contributi e a partire da 57 anni d’età, in attesa di percepire la pensione dell’INPS secondo le modalità della Monti-Fornero. C’è inoltre anche la possibilità di accedervi con 62 anni e 35 di contributi sommando i versamenti INPS e INPGI. A tale riguardo, a suo tempo, la Corte dei Conti, proprio in relazione ai bilanci dell’INPGI ha rilevato la “propensione al pensionamento volontario anticipato”.

martedì 26 luglio 2016

Un paese di mera sopravvivenza


Nonostante le banche centrali abbiano portato a zero il costo del denaro e inondato il sistema finanziario di liquidità (con il rischio più che certo di nuove bolle), l’economia non si riprende e a mancare sono soprattutto gli investimenti privati. Sui motivi della crisi degli investimenti produttivi sarebbe necessario scomodare Marx e la teoria della caduta tendenziale del saggio diprofitto. Figuriamoci se qualche economista si prende la briga di farlo: Piketty ha ammesso di non avere letto Marx, e quanto agli altri si tratta solo di chiacchieroni che ignorano totalmente che cosa abbia effettivamente scoperto il maggior critico dell’economia politica.

lunedì 25 luglio 2016

Sul ponte di Bassano


Nel 1987 fu effettuato negli Stati Uniti un sondaggio che sottoponeva una serie di frasi chiedendo quali di esse facesse parte della Costituzione. La più gettonata dal campione statistico fu la seguente:

Da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo i suoi bisogni.

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Ho notato che le visite odierne al blog hanno superato la media. Da domani, col prossimo post, si ritorna all’antico: si parlerà, anche se solo incidentalmente, di caduta tendenziale del saggio del profitto, di quel venditore di fumo di Piketty, di quel pragmatico di Luigi Einaudi e simili leccornie. Le visite ritorneranno nella media, magari anche un po’ sotto. Sono le situazioni disperate che mi riempiono di speranza.

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Ho letto l’altro ieri che l’alcol sarebbe responsabile di diverse tipologie neoplastiche. Non che l’acqua all’atrazina sia migliore. Il problema dell’alcol manifesta semplicemente l’assenza di desideri autentici. Per averne la prova è sufficiente tendere l’orecchio passando per il ponte di Bassano, nei pressi della Nardini, proprio dove c'è l'epigrafe dell'Eugenio di Beauharnais che incalza l'austriaco. Se questa è la nuova generazione, ci salvi iddio. E attenti a dove mettete i piedi, bicchieri rotti!

domenica 24 luglio 2016

Povero Hollande, che lavoro di merda e malpagato


Povero presidente Hollande, che porti sfiga? Non mi riferisco a ciò che accade in Francia di questi tempi, una macina che sta sbriciolando la democrazia, cioè al fatto che il premier Manuel Valls ha fatto ricorso all'art. 49.3 della Costituzione che consente di adottare una legge senza il voto dei parlamentari. Questo genere di cose, quando ci sono di mezzo gli interessi del padronato, si chiama “forzatura del processo democratico” e non pensiamoci più. Del resto siamo tutti un po' socialisti.

E nemmeno al fatto che François Gérard Georges Nicolas sia cresciuto con un padre ombroso e autoritario, con posizioni politiche di estrema destra, vicino a Pétain e ai collaborazionisti di Vichy durante la seconda guerra mondiale e simpatizzante dell'OAS durante la guerra di Algeria, profondamente ostile ai comunisti. Un ambiente familiare di questo tipo può anzi favorire nei figli una migliore formazione, se non altro, come abbiamo visto tante volte, per disperata contrapposizione.

Ogni lavoro diventa usurante

(Ansa) Nel primo semestre, il monitoraggio sui flussi di pensionamento, ha messo in luce che le nuove pensioni liquidate sono state 189.851, con un calo del 34% rispetto alle 287.826 dello stesso periodo del 2015 [nel 2014 i trattamenti erogati erano stati 479.131]. Si dimezzano praticamente gli assegni sociali (per gli anziani privi di reddito o con redditi bassi), passando da 25.939 a 13.912 (-46,4%).


Commento: un crollo, non un semplice calo! Consiglio: intraprendere la carriera politica. L’unica possibilità per tirare avanti secondo le tabelle dell’aspettativa di vita della legge Monti-Fornero.


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In questi giorni circolano notizie circa nuove modificazioni che il governo intenderebbe apportare alla legislazione in materia pensionistica. Tra queste proposte figura quella di attribuire un bonus contributivo di 4-6 mesi ai cosiddetti lavoratori precoci. A tale riguardo, la segretaria generale della CGIL , signora Camusso, ha opinato che bisogna distinguere tra chi fa un lavoro d’ufficio e chi fa un lavoro manuale, cioè usurante. La sindacalista sembra ignorare che dopo 41 anni di lavoro ogni lavoro diventa usurante.

Tanto più per i lavoratori subordinati, per i lavoratori del settore privato, quanto più quei lavoratori sono stati precoci, ossia casi questi che riguardano, indubbiamente e specificatamente, tutti i lavoratori precoci.


La ratio del provvedimento, se adottato, punta a mandare a casa quei lavoratori che sono stati spremuti come limoni al fine di creare nuova occupazione. Quanto alla sorte effettiva dei lavoratori in generale e di quelli precoci in particolare, a lor signori non importa per nulla. L’importante è far quadrare i conti: quelli economici, quelli statistici, quelli elettorali, eccetera.

sabato 23 luglio 2016

In nome di dio o di una patria


Quando la ”guida suprema” del regime di Teheran aveva mandato allo sbaraglio, insieme ai pasdaran (il corpo dei “guardiani della rivoluzione” da lui creato), anche i basiji, ragazzini spinti dalle sue parole a immolarsi in centinaia di attacchi suicidi contro il nemico – inermi o imbottiti di esplosivi si gettavano sui campi minati e contro i nidi di mitragliatrici iracheni –, mi venivano in mente quei milioni di giovani europei poco più che adolescenti che nel corso del primo conflitto mondiale furono mandati ad immolarsi sui campi di battaglia, fatti a pezzi dalle artiglierie e falciati dalle mitragliatrici. L’analogia mi è parsa pertinente, perché pur sempre di manipolazione si tratta. L’individuo rimane schiacciato, frantumato, attraversato dai linguaggi e comportamenti ritualizzati che riducono in poltiglia la sua spontanea identità.

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venerdì 22 luglio 2016

[...]






Oggi che il mondo si spaccia per definitivo sulla base di un arricchimento e dell’estensione infinita di un modello ritenuto insostituibile, verifichiamo ogni giorno la spaventosa mancanza non solo di idee, riconoscibile in tutti gli atti della cultura, della politica, dell’organizzazione della vita, eccetera, ma anche del senso del ridicolo.

giovedì 21 luglio 2016

Nessuno piange Abdallah Issa


Si è venuta a costituire in Occidente una società con tratti orwelliani. Ce ne siamo accorti ma facciamo finta di nulla. La guerra si chiama pace, l’emergenza è la normalità, la sottomissione al potere è spacciata per libertà. Quando si vuole imporre una legge dapprima si crea “il problema”, se ne discute a lungo sui media, si fanno trapelare delle “soluzioni”, e infine i governi varano l’atteso provvedimento legislativo che risponde al “problema”.

Piangiamo i morti di Parigi e di Nizza, almeno per qualche giorno, ma ciò che succede periodicamente in Francia è pane quotidiano in Siria, in Iraq e altrove. Quei morti non li piange nessuno, in Occidente. Chi ha mai pianto per le vittime irachene e siriane delle orde salafite e wahabite? I fatti parlano chiaro: non è l'Occidente laico e progressista che difende qui e ora la libertà e la dignità umana.


Trovatemi sulla stampa italiana ­– men che mai in prima pagina – la notizia dei raid aerei statunitense e francese che hanno ucciso domenica 20 civili (a Manbij, vicino Aleppo) e poi lunedì altri 120 al confine tra Siria e Turchia (a Tukhar Kabir, tra cui  molti bambini). Oppure la notizia che i “ribelli moderati” (si chiamano così i terroristi del movimento Nour al-Din al-Zenki riforniti di armi dagli Usa) hanno decapitato un ragazzino di 13 anni, Abdallah Issa.

mercoledì 20 luglio 2016

Per il futuro bisogna guardare altrove


La crisi generale-storica del capitalismo è un fatto conclamato.
Ciò che lo sostituirà è una pagina del futuro ancora da scrivere.


Fa piacere leggere, in rete, un intervento teorico che non sia la solita zuppa servita dai media sui più scontati e improbabili fatti. Questa lettura mi offre lo spunto per una riflessione sul concetto di “classe” e sulla relativa prefigurazione di una rappresentanza politica:

«Non esiste il partito dei proletari perché non esiste la classe, esiste la realtà sociologica del proletariato così come generata dai processi capitalistici e recepita senza battere ciglio dai subordinati».

Più che recepita, direi che tale realtà viene subita dal proletariato, e non senza battere ciglio, anche se in assenza di barricate.

Già Marx rilevava che “man mano che la produzione capitalistica procede, si sviluppa una classe operaia che per educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi naturali ovvie le esigenze di quel modo di produzione” (Il Capitale, I, VII, 3).

martedì 19 luglio 2016

Solo un colpo di tosse?


Ciò che non si vuole dire è sotto gli occhi di tutti: l'estrema violenza e l’instabilità alimentate da venticinque anni di guerre condotte dagli Stati Uniti in Medio Oriente, nei Balcani e altrove si stanno ora diffondendo inesorabilmente in Europa e in tutto il pianeta. L’acuirsi delle tensioni geopolitiche e militari si inserisce in un quadro di crisi economica e di disuguaglianza sociale.

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Ora tocca alla Turchia essere protagonista della scena: 75 milioni di abitanti, crocevia tra Europa ed Asia, è un membro chiave della Nato, vanta il secondo più grande apparato militare dopo gli Stati Uniti, i quali nella base aerea strategica di Incirlik mantengono il più grande arsenale di armi nucleari in Europa. La Turchia è la quarta più grande economia in Europa (dopo Brexit), pur non essendo un membro dell'Unione europea, essa è strettamente integrata nelle strutture economiche e politiche dell'UE. Sono milioni i turchi emigrati o figli di immigrati in Europa, specie in Germania.

La storia turca non è nuova ai colpi di stato e tentativi di golpe, ma non c’era stato un evento del genere nel paese negli ultimi decenni. Nel 1960, 1971 e 1980 i militari presero il potere in Turchia, come hanno fatto in gran parte dell'America Latina e in Grecia, Indonesia ed altrove durante lo stesso periodo, con lo stretto appoggio del Pentagono e della CIA.

lunedì 18 luglio 2016

Dio non si mostrerà misericordioso


Mai come negli ultimi decenni il mondo è cambiato tanto rapidamente e profondamente e ciò non può restare senza dirompenti conseguenze sul piano dell’ordine vigente. Tutti noi abbiamo delle risposte sui motivi di tale sconquasso, poiché l’incalzare dei fatti ci costringe a fare i conti con essi. Altro paio di maniche è la verifica di queste risposte in rapporto alla realtà stessa.

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La prima questione in rapporto ai noti e tragici fatti riguarda il formarsi nelle nostre società di vere e proprie enclavi etnico-culturali refrattarie non solo ad integrarsi ma anche ad assimilarsi alle norme di convivenza delle nazioni in cui si sono stabilite. Esse denotano uno statuto non solo diverso ma opposto a quei nostri valori e principi che sono il portato di una dura e secolare conquista, a cominciare dalle libertà individuali che riteniamo non negoziabili: quella di coscienza, di opinione ed espressione, la parità tra uomini e donne, la laicità delle istituzioni, ecc..

venerdì 15 luglio 2016

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Ho visto e rivisto quattro volte il film di Jaco Van Dormael (titolo originale: Le tout nouveau testament). Delizioso e perfetto in ogni dettaglio. I dialoghi non sono mai banali e non saprei scegliere qual è la scena più esilarante. Ben trovata quella del tubo-tunnel che arriva in lavanderia. Irresistibile quella tra il protagonista e il prete. Fulminante l’ultima scena, quella ambientata in Uzbekistan. Geniale il ruolo assegnato alla moglie del protagonista, ma non meno geniale è l’invenzione del ruolo della figlia, cioè la protagonista femminile del film. Insomma, non dico di vederlo quattro volte, ma godetevelo almeno una volta prima di … morire!


Dio esiste e vive a Bruxelles, di J. Van Dormael, 2015.

[...]


Non è ancora chiaro che la religione è solo un pretesto? All’inizio del XV secolo erano forse motivi religiosi quelli che spinsero i contadini tedeschi alla guerra? Certo che i motivi economici e sociali trasfiguravano in quelli religiosi, così come oggi ci troviamo a fronteggiare dei testimoni indomiti della propria fede, dato che la morte per loro non è altro che la “porta stretta” attraverso la quale accedere alla vita eterna (e relativi privilegi maschili).

E a proposito di Germania c’è da chiedersi come mai milioni di musulmani turchi e di altre etnie non provocano problemi di terrorismo. C’entra forse anche una questione sociale? Quale peso hanno la crisi economica, la marginalizzazione, le disuguaglianze sociali sempre più marcate e intollerabili? Soprattutto in Francia questo peso si fa sentire, eccome.

Quanto alle responsabilità dirette, i governi occidentali, soprattutto quello statunitense, inglese e francese, c’entrano nulla con l’odierna situazione mediorientale e nord africana? Sicuramente, per ciò che sappiamo, ma è molto anche ciò che non ci viene detto. Anzitutto sull’uso che è stato fatto del fanatismo religioso di sette religiose e integraliste, e com’è stato giocato nel quadro degli interessi geopolitici contrapposti. Anche da parte delle élite arabe.

Non ci rendiamo ancora ben conto di quale valore simbolico, strategico e pedagogico abbiano avuto gli attentati del 2001, quello alle Torri gemelle (potere finanziario), quello al Pentagono (potere militare) e quello (fallito) al Congresso (potere politico). Il fondamentalismo islamico riassume una storia lunga secoli, il miraggio della grande rivincita sull’Occidente che ha soggiogato e poi emarginato i paesi arabi e l’Islam, una suggestione in grado di produrre un consenso istintivo, non c’è dubbio. Senza dimenticare l’impatto che ha avuto il khomeinismo (la più grave sconfitta strategica subita dagli Usa, come ebbi a scrivere anni or sono), la cui azione etica e spirituale aveva come obiettivo dichiarato di opporsi al pericolo che la società iraniana venisse irrimediabilmente contagiata dalle “perversioni” occidentali.


Non si tratta dunque solo di una guerra nell’ambito dell’Islam, né solo di uno “scontro di civiltà”. Gli aspetti economici e geopolitici della contesa hanno un ruolo ben più decisivo nella nuova fase storica che si è aperta con la fine dei due blocchi. E ciò che sta accadendo nel Mar Cinese è ancor più inquietante.

giovedì 14 luglio 2016

Stragismo, mafia e corruzione


… una classe dirigente nazionale tra le più premoderne, violente e predatrici della storia occidentale, la cui criminalità si è estrinsecata nel corso dei secoli in tre forme: lo stragismo e l’omicidio politico, la corruzione sistemica e la mafia. Tre forme criminali che essendo espressione del potere sono accomunate non a caso da un unico comun denominatore, che è il crisma stesso del potere: l’eterna impunità garantita ai mandanti eccellenti di stragi e omicidi politici e ai principali protagonisti delle vicende corruttive.

Roberto Scarpinato, oggi Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Palermo, da un articolo del 26 agosto 2009, pubblicato sul Corriere della sera nella pagina degli spettacoli.


Lo stragismo non mi ricorda solo le vittime delle bombe nelle banche, sui treni, nelle stazioni, nelle piazze affollate, i depistaggi, le indagini e i processi infiniti, i colpevoli assenti o impuniti. La mia memoria va anche alle tante Bhopal italiane, alle decine di migliaia di vittime assassinate consapevolmente dai grandi gruppi industriali nazionali e multinazionali con l’acquiescenza ai vari livelli dello Stato, delle amministrazioni locali, dei responsabili sanitari. Va dunque alla memoria degli operai della Montedison-Enichem di Porto Marghera, alle vittime dell’ex Italsider ora Ilva di Taranto, del Petrolchimico di Brindisi, all’Ipca di Ciriè e la Sbic di Bergamo, alla Marlane di Praia a Mare, all’Acna di Cengio (i fanghi – 800mila t ­– sono finiti a Pianura, in Campania), alle migliaia di vittime della Eternit e Fibronit di Casale Monferrato. Eccetera.

E per quanto riguarda “la corruzione sistemica e la mafia” non penso solo a Provenzano, Cuffaro, Andreotti (solo fino al 1980), bensì alla sanità, agli interessi dei colossi farmaceutici, alle banche, alla finanza, alle baronie universitarie, ai ministeri, ai grandi gruppi editoriali, e a tutti i covi dove s’incontrano e s’intrecciano interessi di categoria, di casta, di classe.  




martedì 12 luglio 2016

A funerali avvenuti


Suscita clamore la notizia che la tratta ferroviaria Bari-Barletta sia ancora a binario unico. Il giornalista Massimo Giannini esclama in tv che il Sud è stato lasciato “troppo indietro”. Osservo a mia volta che con i soldi che sono stati stanziati e sperperati in spesa corrente o per grandi opere nel Sud negli ultimi 70anni si potevano ricostruire almeno due o tre Germanie dell’Est.

Massimo Giannini non so di quali mezzi pubblici si serva abitualmente. Ad ogni modo segnalo le tratte da me conosciute che nel Veneto sono a binario unico: la Vicenza-Treviso, la Venezia-Bassano, la Padova-Bassano, la Bassano-Trento, ecc.. L’unica tratta ad alta velocità del Veneto è la Venezia-Bologna. Da Padova però e fino a Bologna si tratta di una falsa alta velocità, come chiunque può sperimentare. Infatti, il Frecciargento in quella tratta non può (ripeto: non può) superare la velocità massima di 150/160 kmh. e in alcuni tratti viaggia normalmente a poco più di 100 kmh..


Pertanto se è vero che il Mezzogiorno è “troppo indietro”, si tenga conto che per quanto riguarda le infrastrutture in generale e quelle ferroviarie in particolare l’Italia è quasi tutta messa male, salvo che per le infrastrutture dove sono garantite commesse miliardarie e tangenti adeguate. Non vi sono dubbi che il raddoppio della tratta Barletta-Bari si farà. A funerali avvenuti, ovviamente, mentre i parenti delle vittime attenderanno inutilmente giustizia cosi come i superstiti e i parenti delle vittime del disastro ferroviario di Viareggio, del quale si è già persa memoria.

lunedì 11 luglio 2016

Selezione di classe


Come ho scritto più volte, gli Stati Uniti sono un postaccio, uno dei paesi più illiberali dell’Occidente. Forse più dell’Italia, che, come sappiamo, è un paese fascista, di un fascismo in camicia bianca. Come e forse più che da noi comandano le oligarchie e spadroneggiano gli apparati, non ultimi quelli delle varie polizie. Sono più di mille all’anno gli uccisi dalla polizia.

Il razzismo, naturalmente, esiste (segregazione nel Sud e discriminazione nel Nord) ed è una componente in molti delitti della polizia (*). I neri sono uccisi della polizia in un numero sproporzionato in rapporto alla loro quota di popolazione. Tuttavia i fatti dimostrano che le violenze della polizia e l'omicidio non colpiscono solo i neri o le minoranze, ma interessano persone di tutte le etnie, in particolare le fasce più povere e più vulnerabili del proletariato e del sottoproletariato. A riprova che oltre al problema del razzismo, in una società molto violenta come gli Usa, ha un impatto notevole la dinamica classista.

Secondo il Guardian, fino al 9 luglio sono 571 le persone che sono state uccise quest’anno dalla polizia negli Stati Uniti, tra i quali 88 ispanici e 138 afro-americani, ma quasi la metà, 281 persone, erano bianchi. Lo scorso anno le persone uccise dalla polizia sono state 1.146, di cui la maggior parte, 586, bianche.

Pertanto buttarla semplicemente sul razzismo serve a nascondere la reale natura di quel sistema e distrarre l'attenzione da questioni fondamentali che riguardano la società di classe, dalla profonda crisi sociale ed economica, dalla scandalosa crescita della disuguaglianze, e perfino per occultare i segni di una ripresa della lotta di classe e di un ampio processo di radicalizzazione politica (ma da noi le notizie degli scioperi di massa, quadruplicati quest’anno, non arrivano).

(*) Solo 50anni fa è stato eletto il primo senatore afro-amenricano, Edward Brooke del Massachusetts. Nella libera America kennediana di fatto i neri non votavano e non avevano rappresentanti eletti. Le forze di polizia in tutto il paese erano quasi esclusivamente composte da bianchi, e matrimoni misti tra bianchi e neri erano praticamente sconosciuti (tranne che in un celebre film per la propaganda all’estero).


giovedì 7 luglio 2016

Oscuro sarà lei, stronzo!


La via alla creazione libera e infinita di tutte le attività umane? Sarà questo il comunismo? E si chiamerà così? Dubito, dopo la temperie storica del Novecento, che lo si chiamerà con questo nome. Non ha importanza, così come non sarà il paradiso in terra. Non esiste il paradiso, in nessun luogo e non esisterà in nessuna epoca. Ma ciò non vuol dire che l’umanità resterà schiava di una società divisa in classi, dove pochi si spartiscono la ricchezza sociale e a tutti gli altri restano le briciole o neanche quelle.

E sì, bisogna tener conto del fatto che la teoria marxista della crisi è, soprattutto, la teoria della necessità del superamento del capitalismo, ovvero l’impossibilità della sua continuazione (che non significa – sia ben chiaro – la necessità assoluta del comunismo, ma solo la sua possibilità [*]). Ma resta pur sempre una teoria, obbietta puntiglioso il bravo Pierino. E l’obiezione viene assunta.

La scienza può rappresentare mediante leggi la necessità dei processi naturali che si manifestano come conseguenza da nessuno voluta; tanto più e tanto meglio la società può arrivata a scoprire la legge di natura del proprio movimento, e Marx è arrivato a rivelare la legge economica del movimento della società moderna!

Precisa Marx che “una società arrivata a scoprire la legge di natura del proprio movimento non può né saltare né togliere di mezzo con decreti le fasi naturali dello svolgimento”.

Avrei dovuto mostrare più coraggio


Nella notte tra oggi e domani, in un’ora incerta, cade il ventinovesimo anniversario della scomparsa del mio (e non solo mio) più caro amico. Non avevamo quasi nulla in comune, non l’idea politica, non la fede religiosa, non una particolare passione per qualcosa. Eppure quella amicizia, nata dal nulla e dal caso, era quanto mai salda e fraterna. Ci cercavamo, e ci sentivamo bene nelle ore e nei giorni che trascorrevamo assieme. Si rideva di tutto, magari amaramente. Ci si prendeva in giro, eccome, mai toccando i sentimenti.

Ho trascorso molte ore a gironzolare e fotografare vecchie tombe nei cimiteri, ma sulla sua non ci voglio andare. Non entro in quel cimitero, anche se per anni ci passavo davanti due volte il giorno. E naturalmente il pensiero correva a lui. Qualche volta, passando, lo scorgevo, per un attimo, seduto sulla cinta cimiteriale che fiancheggia la strada, con una gamba penzoloni e l’altra a sorreggergli il braccio sul quale poggiava la testa. La stessa postura della foto, che conosco bene. 

S’era innamorato di una giovane ragazza che per qualche anno andò a vivere in America, e quando tornò lui continuò ad essere infatuato di una persona che non esisteva se non nel mito che egli si era creato. Ricordo, con un senso di colpa, quel mattino di capodanno, sulla neve, ad Asiago, quando mi chiese, in prossimità del suo matrimonio, se fosse opportuno fare quel passo. Per non ferirlo restai nel vago, e ciò allora mi sembrò sufficientemente eloquente. Come scuoterlo, come aprirgli gli occhi, come dirgli che quel suo dubbio andava indagato a fondo? Avrei dovuto mostrare più coraggio.


Disclaimer: i personaggi e i fatti narrati sono frutto di fantasia.

mercoledì 6 luglio 2016

Bilal è tornato ad esistere


Luca mi ha segnalato un articolo, chiedendomi di commentarlo, che compare su Internazionale di questo mese, a firma di Francesca Borri. Riporta, in virgolettato, il pensiero, la rabbia e le motivazioni di alcuni giovani arabi e nordafricani. L’ampio stralcio che riporto di seguito è la voce di Bilal, 31 anni, ingegnere di Tunisi che fa la guida turistica.

“Ho creduto nella rivoluzione. Ma è stato tutto inutile. Dite che la Tunisia è stabile, ma è immobile. Nel resto del mondo a vent’anni sei pieno di energie, di progetti. Avviare un’impresa, iscriverti a un dottorato. Cambiare città. O anche solo un viaggio, una vacanza. L’auto nuova. Ma io? Io la vita la vedo solo attraverso voi turisti. Mentre vi spiego Annibale, Cartagine, mentre guardate i mosaici: e vi guardo, intanto, guardo le vostre camicie dal taglio perfetto, le borse di cuoio, l’iPhone, e questa pelle liscia, sì, senza rughe, tracce di terra, le dita di chi non deve guadagnarsi il pane con il sudore, vi guardo, e immagino questa vita che non potrò mai avere, quello che per voi è normale, i figli, l’ufficio, la partita di calcetto. Vi guardo e vi odio. Abbiamo sbagliato, abbiamo pensato che il nemico fossero i vari Ben Ali: e invece avevamo contro tutto il mondo, perché quando 62 miliardari possiedono la stessa ricchezza di metà della popolazione del pianeta, quando un intero paese come la Grecia fa la fame, ed è la Grecia, non è la Somalia, è l’Europa, allora non è il problema di Ben Ali e dei conti svizzeri di sua moglie: è che tutti voi dovete rinunciare a qualcosa. Se io non ho niente, è perché tu hai tutto. Ma non l’avevamo capito. Non avevamo capito che la battaglia non si poteva vincere solo in Tunisia, perché non riguardava solo la Tunisia. Che non era solo questione di cambiare un governo, di rovesciare un regime. Perché siamo poveri, secondo te? Perché siamo analfabeti? Se siamo poveri, è prima di tutto a causa dell’Unione europea. Fate i paladini del libero mercato: poi versate sussidi ai vostri agricoltori e vietate le importazioni in Africa, mentre i vostri agricoltori esportano qui a prezzi più bassi dei nostri. Il libero commercio è la vostra libertà di produrre e vendere, e la nostra di comprare e indebitarci. Invece di studiare l’islam, vai a vedere cosa fanno il Fondo monetario internazionale, le multinazionali. Invece di pensare a Raqqa, pensa a Bruxelles. Abbiamo fallito non perché abbiamo osato troppo, ma perché abbiamo osato troppo poco”.

martedì 5 luglio 2016

Quando Giulio Cesare sconfisse Nabucodonosor I


Radio tre, programma Pagina 3, dove si dà conto delle pagine culturali della stampa. A sentire, a cominciare dal tono e poi via via da tutto il resto, viene da chiedersi se non avesse qualche ragione Goebbles nel sostenere che alla parola “cultura” metteva mano alla fondina della pistola.

Ogni giorno regalano all’ascoltatore almeno una perla. Veniamo a quella di oggi, attorno al minuto tredicesimo:

«Una questione molto controversa: i settant’anni del bikini. Perché compirebbe 70anni questo capo di abbigliamento marittimo. Naturalmente la questione ha acceso un dibattito in redazione [e qui crediamo di cogliere dell’autoironia, così si spera], mi hanno inchiodato alle mie responsabilità e sono andato a studiare.»


E che cosa ha scoperto a tale riguardo nei suoi studi il conduttore della rubrica radiofonica?

«Il primo bikini documentato sta a Piazza Armerina, milleseicento anni prima di Cristo.»

Dunque 3600 anni prima che venisse pronunciata questa palese stupidaggine nella quale non incorrerebbe uno studente di prima media, vorrei dire di terza elementare (ma non so di preciso come stanno malmessi con lo studio della storia in generale e di quella romana in particolare), o almeno gli alunni delle medie di una volta, e senza aver letto La cronologia nel mondo antico di E.J. Bickerman.


Infatti, quello del commentatore radiofonico non può essere annoverato come un lapsus o una svista, un errore di sbaglio che può capitare a tutti. Tale abbaglio denota ben altro, che non starò a dire lasciando a chi legge le eventuali considerazioni.

lunedì 4 luglio 2016

L'impossibilità della sua continuazione


Non è crollato solo il consenso verso la classe politica: sta franando sempre più massicciamente il consenso verso il sistema. Fortuna che ci sono i Cinquestelle che per un po’ terranno botta vendendo nuove illusioni. Poi sarà peggio, o molto peggio. Le crisi delle democrazie hanno sempre fatto seguito alle crisi economiche e di sistema. Peraltro oggi non siamo semplicemente in presenza di una classica crisi di ciclo, ma alla fine di un’epoca. E ciò non avviene, come sosteneva Scalfari nel 2013, “per l’esaurirsi delle responsabilità”. Avviene per impossibilità della sua continuazione. Per analogia si potrebbe richiamare a tale riguardo il Tardo Antico.

Le disuguaglianze economiche si fanno sempre più marcate e dunque la radicalizzazione dello scontro sociale è solo questione di tempo. Alla gente comune non interessa nulla del referendum, dell’Italicum e cose del genere. Vuole lavoro, chiede sicurezza e di non patire un sistema di permanente taglieggiamento che salvaguarda i forti in danno dei deboli. Però non si tratta solo di questo, e non solo la classe politica, la classe dirigente e proprietaria, ma anche il ceto intellettuale borghese, salvo eccezioni, non è ancora in grado di comprendere la dimensione inedita del cambiamento in atto.

Interessi paralleli: degli sfruttatori e dei loro lacchè


Con i fatti di Dacca, con la notizia che gli assassini apparterrebbero a famiglie benestanti, si è aperta la solita giostra dei parallelismi, innanzitutto e segnatamente con il sempreverde parallelismo dei “figli di papà” delle Brigate Rosse.

A parlare di Brigate Rosse di solito sono gli “esperti”, il cui compito non è semplicemente quello della diffamazione (va da sé), bensì soprattutto quello della falsificazione storica. Sarebbe inutile entrare nel merito della gratuità e strumentalizzazione del parallelismo posto tra Is e Brigate Rosse, tra presunti “figli di papà” brigatisti e islamisti, ma è bene precisare se non altro a favore dei “nuovi venuti”.

La maggior parte dei componenti delle Brigate Rosse proveniva da famiglie proletarie o al massimo dal cosiddetto ceto medio. Certo, erano istruiti, alcuni di loro avevano frequentato l’università, tutti si erano formati nel corso delle lotte di quegli anni una coscienza antagonista e rivoluzionaria. E con ciò? Erano dei comunisti e tanto basta per infangarne il nome e falsificarne la storia.

Vorrei ricordare alcuni di loro, per esempio Fabrizio Pelli, già cameriere e poi militante brigatista, lasciato morire in carcere di leucemia; Margherita Cagol, Mara, la quale non venne “uccisa nel corso di un drammatico scontro a fuoco”, ma, già ferita, fu assassinata a sangue freddo. Di Riccardo “Roberto” Dura parla qui sotto Barbara Balzerani in una lettera scritta in occasione della medesima strumentalizzazione a mezzo stampa dopo i fatti parigini dello scorso novembre. Roberto, preciso per chi avesse perso memoria o fosse nato dopo quei fatti, fu assassinato assieme a: Annamaria Ludmann, già impiegata in una ditta di spedizioni e poi all’Italimpianti, 32 anni; Lorenzo Betassa, operaio, 28 anni; Piero Panciarelli, operaio, 25 anni.

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domenica 3 luglio 2016

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L’idea più superficiale vede il mondo antico in bianco e ocra: quello dei marmi e delle pietre. Sappiamo invece come quel mondo fosse coloratissimo e decoratissimo. Anche i manufatti di uso più comune furono realizzati da abili artigiani e non di rado da veri artisti. Il confronto con l’oggi è impietoso, e sui motivi si può ragionare a lungo. Un motivo sta nell’unilateralità del lavoro industriale, in cui trova posto l’operaio senza alcuna abilità, ridotto al virtuosismo di una o poche funzioni. Non è un caso che come ammiriamo i prodotti di artigiani sopravvissuti al trionfo della produzione su grande scala, allo stesso modo tra le poche attività artistiche oggi meritevoli d’attenzione vi siano le opere degli artisti di strada.

Con il lavoro sociale di massa c’è stata la scissione netta fra le potenze mentali del processo di produzione e il lavoro manuale. Cosa ben nota, così come il fatto che nella dinamica capitalistica ciò che conta è il profitto, e il lavoro umano, quale fonte del profitto, merce esso stesso, deve essere razionalizzato ed economizzato al massimo grado. Non c’è più spazio per attività secondo criteri di attitudine e creatività, estetici e di bellezza, e alla stessa legge economica soggiace in generale la qualità dei materiali coi quali fabbrichiamo il mondo.

E tuttavia non basta il sorgere dalle ceneri del passato di rapporti sociali d’impronta capitalistica, dunque declinati totalmente al profitto, a spiegare la deriva generale subita dal gusto estetico, fino a toccare il parossismo. Ci dev’essere dell’altro, qualcosa che ha a che fare con la schizofrenia, con qualche forma di follia, insomma non può essere addossata tutta la responsabilità alla “struttura”. Ci sarà pure un motivo di fondo per cui quasi tutto ciò che di più alto e di più bello è stato pensato e realizzato appartiene al passato?


Come accade spesso, questo blog non offre risposte, a sua volta le cerca.

sabato 2 luglio 2016

La legge De Nicola-Acerbo


Per instaurare un regime dittatoriale vi sono principalmente due modi: il golpe, ossia il colpo di Stato, oppure le elezioni politiche. In quest’ultimo caso, perché la cosa funzioni senza sorprese, è necessario varare una nuova legge elettorale: fecero così i fascisti e poi i nazisti.

I fascisti nel 1923 fecero scrivere la nuova legge elettorale, che garantiva la maggioranza assoluta dei seggi con il 25 per cento dei voti, da un economista versato per l’agronomia, certo Giacomo Acerbo, sottosegretario alla presidenza del consiglio. Non fu certamente la sua mano a scrivere la legge che porterà il suo nome, e tra i suoi suggeritori vi fu l’allora presidente della camera, tale Enrico De Nicola, già presidente della giunta elettorale, il quale durante la discussione e l’approvazione del provvedimento consentì alle squadre fasciste di “assistere” dai palchi dell’aula alle relative operazioni. Non per intimorire e minacciare, ma anche loro per suggerire.

Alle elezioni politiche del maggio 1924, De Nicola accetta di candidarsi a Napoli nel listone fascista, per poi rinunciare al seggio e dedicarsi all’attività professionale di avvocato (i pronostici davano il fascismo per passeggero). Il regime non si scordò di lui e nel 1929 lo nomina senatore. Fu molto amico di Croce e già questo fatto non può deporre a favore di un galantuomo.


Enrico De Nicola, nato il diciotto brumaio 1877, fu monarchico, sempre. Perciò fu scelto ed eletto poi come primo Presidente della repubblica, sia pure provvisorio e per pochi mesi. E se questo fatto vi sembra paradossale, quelli che seguirono nella storia repubblicana non lo furono meno. Fino ad oggi, domani, sempre.

venerdì 1 luglio 2016

Porca miseria


Entro il 2030 moriranno per cause prevedibili 69 milioni di bambini sotto i 5 anni, altri 167 milioni vivranno in povertà e 750 milioni di donne si saranno sposate da bambine mentre più di 60 milioni di piccoli in età da scuola primaria non avranno istruzione.

Lasciamo stare il capitalismo e cose così, poniamoci una domanda semplice: a che cosa serve far crescere il Pil, produrre sempre di più, se queste situazioni non sono poste al centro delle nostre preoccupazioni? Com’è tollerabile che 85 persone possiedano una ricchezza pari alla metà più povera del pianeta, quella che soffre di ogni penuria?

Ora poniamoci un’altra domanda un po’ meno semplice, ossia quella che riguarda le responsabilità. E non mi riferisco agli 85 personaggi di cui solo di alcuni conosciamo i nomi, i quali probabilmente non sono nemmeno in grado, dato il loro patrimonio, di comprendere correttamente la questione. Mi riferisco invece a quella varia intellettualità legata ai possessori della ricchezza. Sono i portavoce di un mondo morente che non ha più nulla a che fare con l’avvenire. Respingendo ogni idea di alternativa radicale all’esistente, essi respingono gli interessi generali dell’umanità stessa.

Essi condividono certamente l’opinione che in questo mondo non tutto sia a posto. Anzi, essi si rendono conto dell’irrazionalità di questo sistema, e ciò nonostante si comportano quotidianamente come se questo mondo fosse razionale e l’unico possibile. Non deve stupire che il loro modo di pensare non incida sul mondo. Essi considerano una sola tendenza, e sono d’accordo per lasciare sostanzialmente le cose come sono, come se i fatti non fossero obiettivi e impegnativi per tutti.

Con l’appoggio che essi offrono al mantenimento degli interessi della classe dominante, ai rapporti capitalistici di produzione e proprietà, essi tradiscono gli interessi dell’umanità intera. Lo scettico borghese, falsamente obiettivo, non vuol intendere di essere, volente o nolente, parte in causa in questa grande lotta, poiché non chiama lotta quella violenza permanente esercitata da un piccola classe sociale sull’umanità.

In fondo non c’importa nulla dei figli degli altri e dell’umanità intera. È significativo che dalla caduta del famigerato Muro, in ogni angolo del mondo, dall’Ungheria a Ceuta e Melilla, dalla Palestina a Nicosia, si siano alzati 10.000 chilometri di nuove barriere, nuove cortine di ferro-cemento, per non parlare dei muri invisibili ma non meno reali posti in essere con le nuove dinamiche di esclusione e separazione.


Che fare? Intanto prendiamo perlomeno posizione, porca miseria!