mercoledì 21 giugno 2023

Un convincimento fuorviante e pericoloso

 

Nel momento del suo massimo splendore l’Impero romano era il più vasto e ricco che la storia avesse mai conosciuto. Roma, la capitale di questo impero, la città più splendida e popolosa: non meno di un milione di abitanti. Altre grandi, ricche e civili città punteggiavano il vasto dominio di Roma. Se avessimo predetto a un cittadino romano di allora, che di lì a qualche secolo gli abitanti dell’Urbe si sarebbero ridotti a qualche migliaio, e che tra i suoi imponenti edifici avrebbero pascolato le capre, quel cittadino ci avrebbe accolto con un sorriso incredulo, così come sorriderebbe incredulo un americano al quale gli si preannunciasse che New York ritornerà ad essere un piccolo borgo.

L’antico romano, di condizione abbiente, leggeva dei libri che ancora oggi ci interessano, ci stupiscono per la loro profondità e libertà di giudizio, e anche ci divertono; se voleva recarsi in Grecia o in Dalmazia non aveva che da informarsi sulla prossima nave in partenza; sua moglie poteva acquistare prodotti provenienti dall’Oriente; i suoi figli venivano avviati a professioni non molto dissimili da quelli di oggi; i suoi commerci, il possesso dei suoi beni, il suo matrimonio erano regolati da leggi sostanzialmente simili a quelle attuali, se non migliori.

Eppure ciò che si preannunciò per l’Impero romano è accaduto, così come prima e dopo di esso accadde similmente per altri imperi e civiltà. Il convincimento che la società moderna non possa scomparire è dovuto al concetto che l’Illuminismo francese prima, e il positivismo indotto dalla rivoluzione industriale in seguito, hanno fornito del progresso: ma si tratta di un convincimento fuorviante e anche pericoloso.

Tanto più si riflette sulle profonde analogie tra il livello di vita dell’epoca romana e quello dell’epoca moderna, pur con le debite e ovvie proporzioni in relazione al diverso grado di sviluppo economico e umano, tanto più si resta impressionati da ciò che accadde tra le due epoche, nonostante gli storici più recenti tendano a magnificare il Medioevo, che almeno nei suoi primi secoli fu inconfutabilmente un’età di ignoranza e barbarie come non si vedeva dalle età preistoriche.

Non che all’epoca di Augusto e dei suoi successori tutto andasse per il meglio, ma non dobbiamo dimenticare che nel secolo scorso, dunque pochi decenni or sono, l’Europa e il mondo sono stati devastati da due guerre mondiali di impareggiabile violenza e crudeltà, arrivando all’impego delle armi nucleari; che ancora oggi divampano conflitti bellici in diversi luoghi del mondo, e che in Europa ci si uccide bestialmente per il controllo di taluni territori o zone d’influenza, ed è presente, anche più che nei decenni della guerra fredda, la minaccia di una guerra nucleare, come del resto non ha escluso poche ore or sono il presidente degli Stati Uniti in riferimento alla Russia, ai cui confini la Nato persiste nelle sue provocazioni e nella sua minaccia.

Mi pare evidente che né l’inetta classe politica, né tantomeno la classe miliardaria sociopatica, né tra coloro che vantano un concetto di realismo politico, che però si rivela assai grossolano, si sia ben compreso chi davvero rappresenta la più grave minaccia per l’equilibrio mondiale e i reali rischi che ciò rappresenta.

martedì 20 giugno 2023

Strategic sequencing

 

Repubblica, quotidiano beniamino del Dipartimento di Stato statunitense, se ne esce con la notizia, desunta ovviamente dal NYT, che invece di armi l’Ucraina ha ricevuto rottami, specie dall’Italia. Armi e mezzi “incapaci di muoversi o di sparare, così logori da servire a stento per recuperare qualche pezzo di ricambio”, per la manutenzione dei quali le società private americane si sono fatte pagare a caro prezzo.

A dire il vero il NYT non parla solo di armi vecchie (“Quasi il 30 percento dell’arsenale del paese è in riparazione”), ma anche di armi acquistate e non consegnate (fonte: Volodymyr Havrylov, viceministro della difesa). Vatti a fidare degli amici. Tutto ciò serve ovviamente a Kiev per giustificare il fallimento della tanto strombazzata “controffensiva” ucraina che è ormai un fatto.

A mio avviso tale fallimento è da mettere in relazione con la visita, dapprima annullata e poi avvenuta nello scorso week-end, del segretario di Stato americano Antony Blinken in Cina, dove ha incontrato il presidente cinese Xi Jinping e il ministro e i funzionari degli affari esteri del Paese.

Per quale motivo? Il viaggio di Blinken, snobbato dalla stampa americana, è un cinico tentativo di allentare momentaneamente le crescenti tensioni con Pechino mentre si prepara, visto il flop ucraino, una drastica escalation militare USA-NATO nella guerra contro la Russia in Ucraina. Naturalmente si tratta di una mia supposizione, ma a pensar male spesso si pensa il giusto (vedi alla fine del post).

Da quando è entrata in carica, l’amministrazione Biden ha solo intensificato le misure diplomatiche, economiche e militari prese sotto Obama e Trump per contenere e indebolire la Cina in preparazione del conflitto. Il deterioramento delle relazioni degli Stati Uniti con la Cina è stato sottolineato a febbraio, quando, come detto, la prevista visita di Blinken a Pechino era stata annullata dopo che l’aeronautica americana aveva abbattuto un pallone cinese sopra lo spazio aereo statunitense sulla base di affermazioni infondate secondo cui stava spiando basi militari.

Nei due giorni della visita è stato mantenuto un minimo di decoro diplomatico. Secondo il Sole 24ore, Blinken «ha precisato poi che Washington sostiene il principio di una “un’unica Cina”, considerando l’isola “parte inalienabile” del territorio cinese». L’isola è ovviamente Taiwan. A dire il vero ciò fa parte di accordi sottoscritti decenni or sono e che sono il fondamento delle relazioni diplomatiche tra Washington e Pechino.

Tuttavia devono essere avvenuti degli scambi rabbiosi a porte chiuse tra le parti, che Blinken ha descritto in linguaggio diplomatico come «discussioni sincere, sostanziali e costruttive». Lunedì, per tre ore, il consigliere di Stato cinese, Wang Yi, secondo una nota del ministero degli Affari Esteri, aveva «chiesto agli Stati Uniti di smetterla di esaltare la “teoria della minaccia cinese”, di revocare sanzioni unilaterali illegali contro la Cina, di abbandonare l’ostruzionismo allo sviluppo tecnologico cinese e di astenersi da interferenze arbitrarie nell’ambito interno della Cina affari».

A ben vedere sono tutte cose che Pechino si guarda bene dal fare contro Washington, eppure anche in tema di diritti umani ci sarebbe da discutere a lungo su come questi siano violati sistematicamente negli Stati Uniti. Wang Yi ha detto che i rapporti blaterali stanno vivendo “un momento critico, ed è necessario per Washington fare una scelta tra dialogo o confronto, cooperazione o conflitto». Ha invitato gli Stati Uniti a fermare «il declino vertiginoso delle relazioni Cina-USA per riportarlo su un binario sano e stabile».

Cinque ore di colloqui tra Blinken e il ministro degli Esteri cinese Qin Gang. Poca roba: un accordo per incontrarsi di nuovo e organizzare incontri su sfide specifiche. Qin ha affermato che si è discusso di aumentare i voli passeggeri tra la Cina e gli Stati Uniti e di incoraggiare maggiori scambi di studenti, studiosi e uomini d’affari. Qin ha accettato l’invito a visitare Washington nel corso dell’anno. Successivamente Xi ha indicato che potrebbe incontrare Biden durante un vertice dei leader della cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC) a San Francisco a novembre.

Fumogeni. La strategia dell’imperialismo statunitense rimane focalizzata sulla Cina come principale minaccia al suo dominio economico e militare globale, mentre il potenziamento militare statunitense nell’Indo-Pacifico continua a ritmo sostenuto. Sulla scacchiera geopolitica in questo momento l’obiettivo è quello di mettere la Russia in condizioni di non nuocere e prendere il controllo dell’Asia centrale.

Mie fantasie? La pensa così anche l’ex vicesegretario di Stato A. Wess Mitchell in un suo articolo su Foreign Policy della settimana scorsa. Si chiama “strategic sequencing”: prima la sconfitta militare e la subordinazione della Russia, “il più debole dei suoi due grandi avversari”, e poi una guerra per schiacciare il suo principale rivale, la Cina.

Quanto all’Europa, essa è incapace di un reale smarcamento dagli interessi delle parti in causa, incapace insomma di darsi un ruolo e  dimensione di potenza autonoma. Una Europa miope e divisa da troppi egoismi.

lunedì 19 giugno 2023

In una nazione libera in cui non siano consentiti gli schiavi

 

Con l’introduzione dell’euro contante non fu più possibile svalutare la nostra moneta in chiave competitiva. Data la forte dipendenza dai mercati finanziari a causa del debito e la scarsa propensione media per l’investimento innovativo (leggi: il capitalismo con le pezze al culo ma al timone di superyacht), dunque la ristagnante produttività del lavoro (nonostante mediamente il monte ore lavorate da un italiano sia superiore a quello di un tedesco o di un francese), per mantenere competitive le merci italiane si è ricorsi alla svalutazione dei salari, ovvero alla loro mancata adeguata rivalutazione, e alla proliferazione del precariato. 

La moderazione salariale (così la chiamano i fetenti), quale meccanismo di aggiustamento, è stata la più importante “riforma” di questo primo quarto di secolo alla quale hanno aderito, in ossequio all’euro e cioè con esclusiva attenzione al deficit e al debito, tutte le compagini politiche “scese in campo”, senza eccezione.

L’aggiustamento deflazionistico attraverso i salari, ossia la strategia dei bassi salari, non ha certo favorito le famiglie e la natalità, viceversa ha incentivato massicciamente il fenomeno della cosiddetta “fuga dei cervelli” (anche di buone braccia). Per usare un’espressione matematica applicata a una legge economica: la grandezza dell’accumulazione è la variabile indipendente, la grandezza del salario quella dipendente, non viceversa.

Che cosa abbiamo ottenuto? Meno crescita ma non meno deficit di bilancio e debito pubblico, per i noti e storici  disallineamenti italici: gli interessi di classe e di casta, l’ignoranza e lorgoglio personale, il fraintendimento dei fatti economici fondamentali. Per questo, anche tutte le decisioni che saranno prese in futuro sono destinate ad essere cattive, né giova mascherare il fallimento invocando motivi come il dumping fiscale, ovvero il mancato coordinamento delle politiche fiscali in ambito UE, e altre questioni consimili. 

Scriveva Bernard de Mandeville nel primo quarto del secolo XVIII nel suo The Fable of the Bees: «Coloro che si guadagnano la vita con il loro lavoro quotidiano, non hanno nulla che li stimoli ad essere servizievoli se non i loro bisogni che è saggezza alleviare, ma sarebbe follia curare. L’unica cosa che possa rendere assiduo l’uomo che lavora è un salario moderato. Un salario troppo esiguo lo rende a seconda del suo temperamento o pusillanime o disperato, un salario troppo cospicuo lo rende insolente e pigro ... Da quanto è stato svolto sin qui consegue che in una nazione libera in cui non siano consentiti gli schiavi, la ricchezza più sicura consiste in una massa di poveri laboriosi

E quando non si trovano in loco abbastanza “lavoratori laboriosi e servizievoli”, s’importano come qualsiasi altra merce (quali che siano le tutele legislative, la forza-lavoro è merce). Per far fronte al problema demografico e della carenza di forza-lavoro a bassa o nessuna qualificazione e dunque a buon mercato, si è puntato su degli avatar, ossia sull’immigrazione di poveri disgraziati disposti a farsi schiavi pur di sopravvivere, con tutti gli squilibri e i drammi che simili migrazioni comportano, compresi i barconi affondati sui quali anche la sinistra chiagne e fotte (un Minniti vale qualunque altro). Quando mai la “filosofia” dell’integrazione, spesso intesa come assimilazione, è stata accompagnata da una vera riflessione sul ruolo e l’impatto strutturale dell’immigrazione? (*)

Altra importante “riforma”, via via rinnovata con l’incalzare dei governi e dei ministri, è stata quella della scuola e dell’università. Anche l’istruzione è diventata una merce come un’altra. Quella pubblica è stata sistematicamente degradata e impoverita in ogni modo (si va verso il merchandising di deficienti Made in Italy), ed è invece stata favorita l’istruzione privata, finanziata anche con denaro pubblico. Deteriorato in radice il principio del libero accesso, in tal modo si pratica una selezione in base al censo, salvo poi decantare il “merito” dei figli di papà.

Sempre Mandeville, quando ancora la finzione democratica non impediva di scrivere la verità sullo stato delle cose: «Per rendere felice la società (composta naturalmente di coloro che non lavorano) e per render il popolo contento anche in condizioni povere, è necessario che la grande maggioranza rimanga sia ignorante che povera

È ciò che succede quando prevale la logica del valore di scambio anche nei servizi pubblici. Il “rispondere alle esigenze del mondo dell’impresa” induce effetti perversi nella formazione in settori non immediatamente produttivi in termini di profitti e di posti di lavoro: che ce ne facciamo di un corso di formazione sulla storia dell’Assiria in una università o, nei licei, dell’insegnamento del latino?

Stessa cosa è avvenuta e sta avvenendo per la sanità pubblica a favore di quella privata: lo smantellamento a rapidi passi dello statuto dominante del sistema sanitario: quello di servizio pubblico. Anche questa “riforma”, come quelle del lavoro, della scuola e altre, è d’ordine sia economico che ideologico, ossia insegue il principio liberale di “libera” concorrenza (sotto la spinta del “mercato” siamo diventati tutti liberali, volenti o nolenti in concorrenza con tutto e tutti).

L’insieme di tali “riforme” rientra in un progetto eversivo (nel senso pieno del termine), conseguenza del trionfo della grande, media e piccola borghesia parassitaria, e del mutamento dei rapporti di forza tra le classi che ne sono scaturiti (l’odio per la giustizia sociale, la cancellazione di una coscienza di classe, che, lo rammento ai professorini, non è solo coscienza “critica”), al quale si sono prostituiti attivamente, scientemente e volgarmente le compagini politiche (sedicenti democratiche, conservatrici o palesemente reazionarie) e le lobby nazionali ed internazionali (europee, atlantiche, ecc.) contando sul fatto che non vi fosse valida opposizione di cui tener conto. E quando c’è stato un pur timido tentativo di opposizione sociale, più estetica che fattuale, essa è stata soffocata brutalmente e nel sangue (es.: Genova 2001, governo Berlusconi-Fini).

Quali conclusioni trarre? Una lunga notte è appena cominciata e temo che il peggio debba ancora arrivare per questo Paese in grandissima parte normalizzato, arreso, analfabeta e sempre più di merda. Per quanto mi riguarda personalmente la sbrigo con una famosa citazione: «Appartengo a una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo d’illusioni.»

(*) Una effettiva “integrazione”, cioè una cittadinanza realmente condivisa di popolazioni culturalmente tanto diverse (mentalità, costumi, religione, divisioni etniche tra gli stessi immigrati, ecc.) è spesso frustrata se non resa impossibile, come del resto dimostrano altri casi in Occidente. A ciò si aggiungono le segmentazioni sociali che fanno parte del circolo vizioso della povertà, e altre rigidità discriminanti del meccanismo del riconoscimento sociale, tanto più per quanto riguarda l’immigrazione extraeuropea.

Viaggio alla fine di Céline

 

Ho letto tutto ciò che di Louis-Ferdinand Céline è stato pubblicato, e non solo nella nostra lingua, tranne alcune ultime cose edite postume. Perciò nessun pregiudizio da parte mia verso il dottor Destouches, tuttavia non sono tra i suoi adoratori incondizionati, che pensano di dover salvare interamente l’uomo per salvare l’opera nella sua interezza.

Mi trovo invece in sintonia con Hanns-Erich Kaminski, il quale nel 1938 sosteneva che Bagatelles pour un massacre, pubblicato da Céline nel dicembre 1937, non è solo un testo antisemita, ma una vera e propria propaganda hitleriana (la parola “strage” non è usata come figura retorica). Soggiungo: tutto il libro è un incitamento all’omicidio, ma di questo m’importa fino a un certo punto. Resta il fatto che dal punto di vista letterario è una merdata illeggibile.

Kaminski era uno scrittore e giornalista ebreo tedesco rifugiatosi a Parigi nel 1933. Dopo aver detto che gli sarebbe piaciuto continuare ad ammirare l’autore del Viaggio al termine della notte, scrisse che non era difficile prevedere cosa Céline sarebbe diventato una volta che la Francia fosse stata occupata dai nazisti. Sappiamo che aveva ragione.

Questi i fatti accertati da archivi aperti di recente: Céline non si accontentò di essere il capo degli scrittori antisemiti dell’epoca. Durante l’occupazione divenne un agente dell’SD, il Sicherheitsdienst, un servizio segreto tedesco. In quanto tale, Céline fu responsabile di diverse deportazioni, e quindi di omicidi, svolse anche missioni per la Gestapo, ad esempio a Saint-Malo, dove partecipò alla caccia a un giovane combattente della resistenza.

Nell’inserto domenicale del Sole 24ore di ieri, si può leggere una recensione di Ernesto Ferrero, autore da me del resto apprezzato, all’edizione postuma di un manoscritto céliniano Guerra (Adelphi). Le considerazioni di Ferrero mi hanno richiamano alla mente un giudizio appropriato espresso nell’aprile 2020 da Pierluigi Pellini sul Manifesto: «[...] dell’abiezione senza limiti dell’uomo Céline non è più lecito dubitare dopo la requisitoria di Annick Duraffour e Pierre-André Taguieff in Céline, la race, le Juif. Légende littéraire et vérité historique (Fayard, Paris 2017): grosso tomo quanto mai sgradevole alla lettura, per l’ostentata indifferenza alle qualità estetiche e alla complessità della parola letteraria, ma d’impianto probatorio documentatissimo e schiacciante – sarebbe tempo, anche in Italia, di non prender più per oro colato biografie datate e vagamente apologetiche come quella di François Gibault (1985).

Leggerò Guerra? Certo, non ho nulla da obiettare alla pubblicazione degli scritti inediti céliniani (tanto ai neonazisti non interessa Céline, hanno altre fonti cui attingere), purché si tratti di edizioni che presentino tutte le garanzie di un lavoro scientifico svolto da specialisti nei vari campi richiesti per questo formidabile compito. Spero di trovare nel nuovo opuscolo tutta l’inventiva, la violenza, il genio di Céline, non indebolito da ripetizioni e dal moralismo nero di questo grande scrittore. Tuttavia, trattandosi di una prima bozza abbandonata, è forte il sospetto che si tratti prevalentemente di un’operazione editoriale per fare cassa senza versare diritti a chicchessia.

domenica 18 giugno 2023

Diga di Kakhovka: le "prove" che inchiodano i russi


Per prima cosa va rivelata la fonte dell’articolo del New York Times: l’ufficio del procuratore generale dell’Ucraina tramite Associated Press. Va da sé che la fonte non è una parte terza, tanto più vigente la legge marziale.

Scrive il Times: «Alle 2:35 e alle 2:54 del 6 giugno, i sensori sismici in Ucraina e Romania hanno rilevato i segni rivelatori di grandi esplosioni. I testimoni nell’area hanno sentito grandi esplosioni tra le 2:15 e le 3:00 circa. E poco prima che la diga cedesse, i satelliti dell’intelligence americana hanno catturato segnali di calore a infrarossi che indicavano anche un’esplosione».

Tutto ciò non significa ancora nulla in riferimento all’individuazione dei responsabili della distruzione della diga di Kakhovka. Ad ogni modo va notata la discrepanza degli orari tra chi ha registrato strumentalmente le esplosioni e chi le ha sentite in loco.

«Dopo che la prima sezione della diga ha ceduto, i video suggeriscono che la forza dell’acqua impetuosa ha aperto uno squarcio sempre più grande nella diga».

Anche questo non prova alcunché, ma costituisce semplicemente la dinamica presunta di ciò che è accaduto in seguito all’esplosione. Così il seguito di questa ricostruzione: «I livelli dell’acqua sono scesi ulteriormente questa settimana, al di sotto della sommità delle fondamenta in cemento. La sezione che è crollata non era visibile al di sopra della linea di galleggiamento: una forte prova che la fondazione aveva subito danni strutturali, hanno detto gli ingegneri».

Secondo la ricostruzione proposta dal Times: «La diga è stata costruita con un enorme blocco di cemento alla base. L’attraversa un piccolo passaggio, raggiungibile dalla sala macchine della diga. È stato in questo passaggio, suggeriscono le prove, che una carica esplosiva è esplosa e ha distrutto la diga».

Posto che tutto ciò sia vero, resta da stabilire chi effettivamente ha piazzato l’esplosivo. Il Times: «Nelle caotiche conseguenze, con ciascuna parte che incolpa l’altra per il crollo, sono teoricamente possibili molteplici spiegazioni. Ma le prove suggeriscono chiaramente che la diga sia stata danneggiata da un’esplosione provocata dalla parte che la controlla: la Russia».

Le prove a cui allude il Times, riprese e fatte proprie da Repubblica e che su di esse non avanza alcun dubbio, sono in buona sostanza delle congetture testualmente riassunte così: «poiché la diga è stata costruita in epoca sovietica, Mosca aveva i disegni tecnici e sapeva dov’era il tallone d’Achille della diga stessa. Ed è lì che i russi hanno piazzato l’esplosivo».

Qui di seguito i diagrammi pubblicati dal Times:


Salvo poi dire che: «La diga è stata visibilmente segnata dai combattimenti nei mesi precedenti la breccia. Gli attacchi ucraini avevano danneggiato una parte della carreggiata sopra la diga e le truppe russe in ritirata ne fecero successivamente esplodere un’altra. Il mese scorso, le immagini satellitari hanno mostrato che l’acqua scorreva incontrollata da alcune paratoie. Ciò ha portato a suggerire che la diga potrebbe essere semplicemente vittima del danno accumulato, di cui la Russia si è avvalsa per negare la responsabilità».

Oh porca sozza, come spiegare i rilevamenti sismografici e satellitari delle asserite esplosioni? Ovvio che il Times tiene conto di questo fatto, che viceversa smentirebbe i sismologi ucraini e rumeni (notizia data da Ben Dando, sismologo della Norsar, un’organizzazione norvegese specializzata in sismologia), oltre ovviamente a sbugiardare il satellite spia americano e i suoi sensori a infrarossi (manco fosse l’unico in orbita). Ed infatti scrive Times:

«Dati i rilevamenti satellitari e sismici delle esplosioni nell’area, la causa di gran lunga più probabile del crollo è stata una carica esplosiva collocata nel passaggio di manutenzione, o galleria, che attraversa il cuore di cemento della struttura, secondo due ingegneri americani».

Uno di loro, “in pensione”, si chiama Michael W. West (laureato alla US Army Engineer School, corso base per ufficiali di ingegneria, 1971, già capo del gruppo sui pericoli dei terremoti presso il Bureau of Reclamation degli Stati Uniti), l’altro è “un ingegnere ucraino esperto di esplosivi” che dice: “La galleria è il luogo ideale per mettere quella carica esplosiva”.

Un’ultima chicca del Times a riguardo di queste schiaccianti “prove”: secondo Ben Dando, il norvegese di cui è detto sopra, «la posizione delle esplosioni è meno certa. Ad esempio, Norsar ha individuato il segnale delle 2:54 del mattino, con origine all’interno di una zona di 20 o 30 chilometri di diametro che include la diga».

Altre “prove”: «Non era disponibile un timestamp specifico per il segnale a infrarossi, ma un alto funzionario militare statunitense ha affermato che è stato rilevato poco prima del crollo della diga. Un alto funzionario militare americano ha affermato che gli Stati Uniti avevano escluso un attacco esterno alla diga, come un missile, una bomba o qualche altro proiettile, e valuta che l’esplosione provenisse da una o più cariche piazzate al suo interno, molto probabilmente da parte russa».

L’importante è che i funzionari americani siano “alti”, che poi ci pensa il Times (figuriamoci poi Repubblica) a fare titolo e articolo di basso profilo, di condanna dei russi sulla base di sedicenti “prove” che prove non sono.

Sia chiaro, personalmente non escludo nulla, ma nemmeno posso prendere per oro colato quanto racconta il Times sulla base delle congetture dell’ufficio del procuratore generale dell’Ucraina divulgate tramite Associated Press.