martedì 25 novembre 2025

Un fronte di resistenza

 

Il liberalismo ha assorbito i suoi avversari, dimostrando che altre forme politiche e sociali non possono sostituire quella della democrazia rappresentativa di mercato. Una diagnosi che sembrava inoppugnabile. Ci sono voluti circa vent’anni perché la concezione liberal- liberista del mondo (condivisa dalla corrente social-liberale) iniziasse a mostrare le corde. La violenza del processo di globalizzazione ha esacerbato le insopportabili contraddizioni tra sfruttatori e sfruttati nei paesi capitalistici centrali, e tra questi e le periferie.

Questa situazione si riverbera inevitabilmente nella “crisi della democrazia”, laddove il sistema rappresentativo non regge più laddove almeno la metà dell’elettorato non va al seggio. Non cambia nulla e “loro” fanno finta di niente. Il principio democratico è salvo. Tuttavia si crea nella società un fronte di resistenza passiva, che man mano diventa maggioritario. Anche così, però, non cambia nulla. E allora cosa si fa, chi osa mettere a rischio la propria libertà e incolumità personale? Ci vuole una motivazione forte per farlo.

Una motivazione ideologica, per esempio. Ma dove scovarla di questi tempi in cui tutti gli dèi e gli ideali sono nel fango degli altari e della storia? Benedetto Croce, nella sua Storia dell’Europa del XIX secolo, ci disse che l’era delle rivoluzioni politiche è finita e appare come una parentesi sanguinosa e inutile nella storia umana, una sospensione ingiustificabile del normale corso degli eventi, che implica solo una rivoluzione tecnologica permanente nel quadro del mercato globale e delle sue strutture giuridiche e politiche (*).

Un primo grosso ostacolo alla formazione di un movimento rivoluzionario di massa è certamente da ricercare nel passato immediato, ed è il fallimento della rivoluzione comunista nella sua forma sovietica, che non può essere facilmente o rapidamente dimenticato, tanto pesante è stato il prezzo pagato in errori e orrori. Un terrore strutturale che portò il regime alla feticizzazione di un’organizzazione militarizzata e gerarchica che sostituì l’iniziativa popolare, con l’eliminazione fisica dei suoi avversari reali o immaginari.

Se oggi una motivazione ideologica non c’è, allora sono necessarie condizioni individuali estreme, che, sommandosi, diventino motivazioni di massa. Loro, i manipolatori, lo sanno. Hanno dalla loro parte la statistica e altri strumenti per una sorveglianza capillare, che li allerta quando il vaso di Pandora sta per traboccare. Intervengono con misure mirate perché il malcontento sociale non trabocchi in disperazione e dunque in azione aperta e violenta.

Se la democrazia elettorale è un bluff, se lo stato sociale è diventato troppo costoso per le classi dirigenti (la dottrina dello stato minimo), se il compromesso tra le classi è in bilico, non resta che predisporre misure preventive, politiche e no, tantopiù che il ticchettio della bomba sociale è in sincrono con la bolla finanziaria.

Lo Stato è allineato a funzioni di controllo politico sulle popolazioni, modifica le regole della legalità perché non si vuole lasciare spazio a fermenti sociali “pericolosi”. La fobia per la sicurezza è all’ordine del giorno, ben alimentata dai media. È una operazione psicologica che viene sostenuta nella concreta tolleranza di azioni criminogene diffuse da parte di bande di grassatori e di spostati (per contro sono vietati i raduni giovanili).

Si raccomanda alle plebi di tenere scorte di denaro e di cibo, si alimenta il panico per un’imminente invasione russa, e così le ultime manovre della NATO si sono concentrate sulla guerriglia urbana in “ambienti ostili”. Per tacere di ciò che sta avvenendo nelle metropoli statunitensi.

Dunque, per concludere, è vero che capitalismo ha cancellato non solo il feudalesimo, ma anche il comunismo sovietico e tutte le forme immaginate di socialismo. È però si sta facendo strada, anche se lentamente, una rottura ontologica nel nostro rapporto con la realtà del capitalismo, il quale, com’è noto, riconosce solo la legge del suo spietato dinamismo strutturale, che non rispetta nulla e nessuno, se non la sua stessa legge, che si manifesta nella ricerca senza fine del più alto tasso di profitto. Un disincanto che svaluta ogni valore sociale ed umano che pretende di essere sacro, e ciò fa intravvedere la possibilità e anche la necessità del cambiamento.

(*) Non è casuale che la sinistra parlamentare italiana sia stata sempre crociana (se non nelle parole, certamente nei fatti) o stalinista, ma non marxiana. Per dirla con Rossana Rossanda: «Eravamo sempre là, al crocianesimo di ritorno nella formazione del gruppo dirigente comunista». E del resto, scriveva sempre Rossanda, Marx «nessuno lo leggeva”» (La ragazza del secolo scorso, p. 301).

1 commento:

  1. E diventa sempre più evidente come la gestione della pandemia sia stato un esperimento sociale globale.
    Pietro

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