“Torna da me il più presto possibile amore mio”. Questo è l’ultimo messaggio che Sewell S., statunitense di 14 anni, ha ricevuto sul suo cellulare pochi minuti prima di suicidarsi. La storia è dello scorso febbraio, nella capitale dello stato della Florida, che non è Miami, bensì Tallahassee. In realtà tutto era iniziato molto prima, nell’anno 2023 quando Sewell si innamorò perdutamente.
L’adolescente si isola, vede meno i suoi amici, resta chiuso nella sua stanza, con la tastiera in mano, gli occhi incollati agli schermi. Sua madre è preoccupata. Alla fine dello scorso ottobre, a pochi mesi dalla morte del figlio, ha deciso di sporgere denuncia. Non per “istigazione al suicidio”, ma per “negligenza”. Perché la persona dietro l’ultimo messaggio ricevuto da Sewell non esiste nella realtà: si tratta di un’intelligenza artificiale, più precisamente di un avatar che personifica il ruolo di Daenerys Targaryen della serie Il Trono di Spade (non chiedetemi dettagli che non li conosco).
Una “creatura” appositamente progettata per essere il più realistica possibile e, secondo i suoi creatori, per “fornire un’esperienza divertente e coinvolgente”. Una bella trovata per chiunque conosca l’attaccamento emotivo che una persona isolata può avere con i “chatbot”, questi piccoli programmi informatici che offrono la possibilità di mantenere una conversazione simile a quella che si potrebbe avere con un essere umano.
Anche io, nel mio piccolo, ho avuto un problema. A rispondermi ho trovato un robot. Dopo qualche semplice domanda e risposta ho fatto una domanda tecnica nel tentativo di trovare una soluzione al mio problema, e così il trucco si è rivelato per quello che è: sono delle macchine, né stupide e né intelligenti, semplicemente delle macchine.
L’arrivo dei robot umanoidi sta cambiando profondamente la nostra visione del mondo, rendendo sempre più sfumati i confini tra uomo e macchina. La loro somiglianza fisica con noi, unita alla loro capacità di riprodurre i nostri comportamenti, crea una strana familiarità che ci destabilizza.
Cercando a tutti i costi di ricreare una forma di umanità in cavi elettrici o ammassi di rottami metallici saldati insieme, gli ideatori di questi nuovi invasori della quotidianità sanno benissimo il fatto loro. Il loro obiettivo? Antropomorfismo, attribuzione di caratteristiche umane a cose che non sono umane.
Se il robot può fare le stesse cose di un uomo, rientra nella categoria degli schiavi maltrattati. In tal modo legittimando comportamenti inaccettabili nei confronti di macchine che somigliano agli esseri umani, rischiamo di normalizzare questi atteggiamenti nella società, con conseguenze destabilizzanti sui nostri valori etici e sociali.
Al contrario, se tale robot può svolgere compiti per noi impossibili, come volare o camminare sull’acqua, allora meriterà il nostro rispetto. Aggiungendo loro caratteristiche umane, i robot potrebbero prendere esempio da noi e scendere in sciopero. Hai voglia a precettarli.
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