mercoledì 9 giugno 2021

Un principio democratico

 

C’è stato lannuncio dei ministri delle finanze del G7 di aver concordato un’aliquota minima d’imposta sulle società del 15%, come parte del tentativo di eliminare i paradisi fiscali per le principali multinazionali (in particolare sui ricavi nei loro mercati nazionali delle aziende hi- tech come Google, Facebook e Apple), superando l’attuale normativa secondo cui le società sono tassate solo nei paesi in cui hanno una presenza fisica.

I leader politici ed economici del G7 si sono espressi in modo lirico sull’impatto di un nuovo eventuale regime fiscale, annunciato come l’inizio di una nuova era di multilateralismo e persino come un passo importante verso la giustizia sociale!

Mario Draghi ha dichiarato: “Saluto con grande soddisfazione l’accordo sulla tassazione delle multinazionali raggiunto oggi a Londra dai ministri delle finanze del G7. È un passo storico verso una maggiore equità e giustizia sociale per i cittadini”. La segretaria al Tesoro Usa, Janet Yellen, parla di un “impegno senza precedenti che metterà fine alla corsa al ribasso nella tassazione aziendale, assicurando equità per i lavoratori negli Stati Uniti e in tutto il mondo”. Il ministro delle finanze francese Bruno Le Maire ha affermato che i paesi del G7 hanno “raccolto la sfida di questo momento storico. La Francia può essere orgogliosa”. Il Tesoro britannico parla di “una stretta sull’elusione fiscale” che farà pagare “la giusta quota” alle multinazionali di Big Tech.

Va rilevato che ciò che è stato effettivamente concordato ha bisogno di ulteriori defatiganti negoziati ben oltre il gruppo G7 (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Giappone e Canada). Pertanto l’accordo del G7 è solo un primo passo. Molto deve ancora essere deciso in negoziati più ampi, che coinvolgano 139 paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). La prossima tappa sarà avere l’appoggio del gruppo di paesi del G20, che si riunirà a Venezia il mese prossimo.

Secondo le stime dell’OCSE, che negli ultimi otto anni è stata coinvolta nei negoziati per uniformare i regimi fiscali, le proposte, se attuate, potrebbero generare un gettito aggiuntivo di 50-80 miliardi di dollari l’anno, ma la somma effettiva raccolta varierebbe in modo significativo a seconda dell’accordo finale. Queste entrate andrebbero spalmate su un gran numero di paesi, e perciò l’annunciato aumento delle imposte non soddisferà le aspettative.

I critici della proposta affermano che il provvedimento non sarebbe sufficiente per porre fine alla corsa al ribasso in cui i paesi tagliano le loro aliquote fiscali per attrarre le multinazionali.

Bisognerà vedere se i paesi che hanno aliquote fiscali inferiori al 15% firmeranno l’accordo. L’Irlanda, per esempio, ha un’aliquota d’imposta sulle società del 12,5% ed è diventata la sede ai fini fiscali di un certo numero di importanti aziende tecnologiche e farmaceutiche. Il governo irlandese ha dichiarato di voler mantenere in vigore il suo regime di aliquote.

Il più grande ostacolo potrebbe rivelarsi il Congresso degli Stati Uniti. Il Wall Street Journal ha osservato che il nuovo approccio avanzato dall’amministrazione Biden potrebbe incontrare l’opposizione del Congresso “dove alcuni legislatori sono cauti nel muoversi prima di altri paesi”. Alcune proposte “potrebbero richiedere al Senato degli Stati Uniti di ratificare le modifiche ai trattati fiscali, che richiederebbero un voto di due terzi e dunque un sostegno repubblicano”.

La proposta di regime fiscale globale del 15% potrebbe indurre le altre imprese ad esercitare pressioni per ridurre le imposte in alcuni paesi, non ultima l’Italia, oppure come in Australia, dove l’attuale aliquota sulle società è del 30%.

Secondo l’amministratore delegato del Business Council of Australia, Jennifer Westacott, con un’aliquota fiscale doppia rispetto al minimo globale proposto del 15%, l’Australia sarebbe “severamente esposta nella sua capacità di attrarre capitali globali”.

Invece di fermare la corsa al ribasso, l’accordo potrebbe darle una nuova svolta. Vero che esso fisserebbe un minimo, ma è da vedere quale paese avrebbe interesse ad alzare l’aliquota.

Per farla breve, è sufficiente un’occhiata alle nostre buste stipendio o cedolini pensione, oppure alle imposte sui consumi, per comprendere che l’aliquota al 15% sui profitti delle multinazionali rappresenterebbe, se e quando applicata, una presa in giro talmente è bassa e fissa. Per gli azionisti che siedono nei consigli d’amministrazione delle grandi società si tratterebbe di un buffetto di simpatia. Oltretutto potranno rivalersi sui prezzi dei loro prodotti in sostanziale regime di monopolio.

Dopo quattro decenni nei quali i governi hanno permesso al grande capitale d’ingrassarsi in modo sfacciato, oggi si cerca di giocare d’anticipo per contrastare la protesta sociale e la montante rabbia popolare che guarda a destra. Come ho già scritto alla nausea, il tema della tassazione riguarda l’insieme dei rapporti di forza tra le classi.

Per quanto riguarda le imposte in generale, vale il principio che la tassazione deve essere progressiva per avere senso pratico. Una cogente progressività non ha solo una valenza economica, ma anche politico-ideologica, come sanno bene coloro che vi si oppongono, da ultimo in materia di aliquota di successione e donazione.

Tuttavia sia chiaro: la progressività è un principio base democratico, non un principio rivoluzionario. Sotto quest’ultimo aspetto, la questione andrebbe posta e considerata diversamente, ma con questi chiari di luna non serve a nulla parlarne.


4 commenti:

  1. Mi piace molto l'ultimo capoverso, come dire : abbiamo detto tante cose interessanti ma in realtà stiamo ancora asciugando gli scogli.
    Saluti Olympe

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  2. ...ma ti sei convertita al seo?

    (attirerà traffico, ma è molto sgradevole! pèntiti!)

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