Del primo turno delle elezioni regionali di domenica scorsa in Francia mi pare se ne sia parlato poco e di malavoglia. Ci scaldiamo per cose di ben altro momento, tipo la stringente ramanzina del card. Giacomo Antonelli respinta al mittente da Camillo Benso.
Queste elezioni, che per l’establishment politico francese rappresentano un indicatore per quelle presidenziali del prossimo anno, sono state caratterizzate da uno storico tasso di astensione. L’affluenza nazionale è solo del 32,8 per cento, con l’astensione al 67,2 per cento, un record per le elezioni a due turni sotto la V Repubblica. Nel 2015 l’astensione alle elezioni regionali era stata del 49,9 per cento; l’astensione più alta di sempre era stata quella del 2010, al 53 per cento. Il tasso di astensione nelle regionali del 1986 era appena del 22,7 per cento.
I gilets jaunes sono solo una spia del diffuso malessere francese. Ha scritto Le Monde: «questa astensione degli elettori è un segno di una democrazia malata, di una delusione politica che sta prendendo piede e della sensazione che “votare è inutile”». C’è voluto un po’ per arrivare a questo punto, ma alla fine sono andati a votare solo i parenti, amici e clienti dei candidati. Per chi suona la campana? Ci diranno, per spaventarci, che suona per la “democrazia”. Balle. Sono loro che l’hanno confiscata.
Le elezioni regionali nominano 1.767 consiglieri regionali per sei anni nelle 12 regioni metropolitane francesi. Al primo turno, se una lista ottiene la maggioranza assoluta dei voti espressi, ottiene un quarto dei seggi da coprire. I restanti seggi sono ripartiti per rappresentanza proporzionale tra tutte le liste che hanno ottenuto almeno il 5 per cento dei voti espressi.
Nessun partito ha ottenuto la maggioranza assoluta dei voti espressi, perciò sarà necessario un secondo turno in tutte le regioni. Possono candidarsi al secondo turno i partiti che hanno ottenuto almeno il 10 per cento dei voti espressi, ed eventualmente unirsi a liste con almeno il 5 per cento dei voti (*).
Macron è screditato e non è riuscito a vincere in Hauts-de-France, Auvergne Rhône Alpes e Occitania. Il presidente corre dietro con le sue leggi al programma della Le Pen, affossa la legge del 1905 sulla laicità e sulla separazione tra Chiesa e Stato, il suo Ministero della Cultura, tanto per dire, ha tentato di far pubblicare le opere di Charles Maurras, il leader antisemita dell’Action Française, un pilastro del regime di Vichy. Certa letteratura “sospinta” continua ad affascinare in Francia come qui da noi.
Il primo round è stato una delusione anche per il RN di Le Pen. In precedenza, sondaggi e media prevedevano che sarebbe arrivato primo in sei o sette regioni. In realtà, il voto RN è diminuito rispetto alle elezioni regionali del 2015, in cui aveva preso quasi il 28 per cento dei voti al primo e al secondo turno, ovvero 6,8 milioni di voti. Nel 2015 la RN non ha vinto in nessuna regione al secondo turno, ma aveva ottenuto 358 consiglieri regionali, tre volte di più rispetto al passato.
Tuttavia, nonostante il calo dei voti al primo turno, i neofascisti rimangono una delle principali forze politiche consolidate in Francia, mentre per la sinistra di Mélenchon, che aveva ricevuto poco meno del 20 per cento dei voti alle elezioni presidenziali del 2017, il risultato del 4,2 per cento è una catastrofe. Quale reale e credibile alternativa può rappresentare la sinistra liberale? Gente che definisce Philippe Pétain come un “grande soldato”!
Qualunque possa essere l’esito finale delle elezioni regionali francesi, così come di quelle presidenziali del prossimo anno, nessuno dei problemi fondamentali della Francia potrà trovare soluzione.
Più in generale, per chi sta alla base della piramide, al momento non vi sono opzioni praticabili. Del resto per fare che cosa? I grandi mutamenti possono avvenire solo a livello globale, e un mutamento sostanziale delle società è già avvenuto da decenni. Il movimento di tutti gli strati di classe è determinato e condizionato dalle scelte della grande borghesia cosmopolita, che ha saputo imporre la propria egemonia ideologica su ogni segmento sociale, lasciando alla sinistra parlamentare di rincorrere i diritti civili e ad altri di agognare l’autonomia amministrativa (in Italia) o l’indipendenza (Catalogna, Scozia, ecc.).
(*) Il Rassemblement National di Marine Le Pen si è assicurato il maggior numero di voti nella regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra (PACA). I repubblicani (LR) hanno vinto in Hauts-de-France (43,1 percento), Grand Est (31,5 percento), Normandia (35,1 percento), Pays de la Loire (34,1 percento) e Auvergne-Rhône-Alpes (43,8), e nell’Ile-de-France (34,2). Il Partito socialista ha ottenuto il primo posto in cinque regioni: Centre-Val de Loire (25,6 percento), Nouvelle-Aquitaine (28,6 percento), Occitanie (39,6), Borgogna-Franca Contea (26,2) e Bretagna (20,8). In Corsica, il partito autonomista è in testa con il 28 per cento dei voti.
A livello nazionale, secondo stime, i risultati del primo turno per partito sono: LR e suoi alleati 27,2 per cento; Rassemblement National 19,3; il PS e i suoi alleati 17,6; Ecologia Europa-Verdi e alleati, 12,5; Republic on the Move di Macron e i suoi alleati 11,2; LFI e alleati di Mélenchon 4,2.
Nessun commento:
Posta un commento