Se i salari sono da fame e per contro aumentano i sussidi pubblici fintanto da renderli preferiti al lavoro salariato, viene a decrescere l’offerta di forza-lavoro. Ciò è banale, osserva qualcuno. Concordo, è banale. Allora, si propone, bisogna ridurre i sussidi pubblici per costringere la forza-lavoro a mettersi sul mercato.
Eh, quando si dice vedere il bicchiere mezzo vuoto (o mezzo pieno, ovviamente). Del resto, si osserva, se margini di profitto in certi settori sono scarsi, se la produttività del lavoro è bassa, non si possono aumentare i salari per invogliare i fannulloni a lavorare, ma bisogna diminuire o non rinnovare i “salari di riserva”. Non fa una grinza.
Inoltre, aumentare i salari comporterebbe un aumento dei prezzi delle merci, la qual cosa non sarebbe gradita dai consumatori, già con scarsa “propensione al consumo”, come si sa. Oltre al fatto, non trascurabile, che mantenere questa massa di sfaccendati con i sussidi grava sul debito pubblico.
In sintesi estrema: non c’è abbastanza offerta di forza-lavoro in certi settori economici, dove il lavoratore non può, anche volendo, essere sostituito dalle macchine; non si può aumentare i salari perché già si piange miseria dal lato dei costi, ovvero dal lato dei margini di profitto. Il rimedio è ridurre i sussidi e, se del caso, anche la platea dei destinatari.
In realtà il grido di dolore ha causa da un semplice fatto: i sussidi pubblici vanno ad incidere sui salari minimi, la determinazione dei quali viene sottratta a chi acquista la forza-lavoro.
Ciò che si vuole è mantenere il potere di decidere i salari minimi della forza-lavoro più debole e meno tutelata. La cosa si riduce alla questione dei rapporti di forza delle parti.
Squama l’economista e sotto ci trovi l’ideologo.
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Più in generale ciò dimostra, ancora una volta, che il lavoro è parificato alle merci, e che perciò è soggetto alle leggi che regolano il movimento generale dei prezzi delle merci. Basti dunque dire che il prezzo di mercato del lavoro, come quello di tutte le altre merci, si adatterà a lungo andare al suo valore.
Malgrado tutti gli alti e bassi e tutto ciò che il lavoratore possa fare o non fare, egli non riceverà in media che il valore del suo lavoro, il quale si risolve nel valore della sua forza-lavoro, determinato a sua volta dal valore medio dei mezzi di sussistenza (valore medio storico o sociale, tenore di vita tradizionale, che può anche gradualmente ridursi, ecc.).
Perciò non serve ridurre l’importo dei sussidi per indurre il lavoratore a cercare impiego, è sufficiente non aumentare i sussidi, poi ci penserà il mercato a trovare i suoi valori. Non è nemmeno detto che aumenti l’inflazione, la quale può aumentare o diminuire per diverse altre cause.
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