venerdì 6 settembre 2019

Sul fallimento del capitalismo di Stato





Il 26 e 27 maggio 1923, la Pravda pubblicava un lavoro che Lenin, già molto malato, aveva redatto nel gennaio precedente con il titolo: Sulla cooperazione.

Nella seconda parte del lavoro (*), Lenin scriveva:

«In che cosa consiste l'irrealtà dei piani dei vecchi cooperatori, a partire da Robert Owen? Nell'aver sognato la trasformazione pacifica della società contemporanea mediante il socialismo, senza tener conto di una questione cardinale, come quella della lotta di classe, della conquista del potere politico da parte della classe operaia, dell'abbattimento del dominio della classe sfruttatrice. E perciò abbiamo ragione nel considerare questo socialismo "cooperativo" come del tutto fantastico, romantico e persino banale nel suo sogno di trasformare mediante la semplice organizzazione cooperativa della popolazione i nemici di classe in collaboratori di classe e la lotta di classe in pace di classe (cosiddetta pace civile)».

Lenin in questo passo ricalca la critica già espressa a suo tempo dal giovanissimo Marx nel Manifesto a riguardo del socialismo utopistico. Critica fondatissima, anche se bisogna riconoscere che l’operato di Owen, da un punto di vista storico, merita considerazione.



Lenin, poche righe prima, aveva scritto:

«È indubbio che le cooperative, nelle condizioni di uno Stato capitalistico, sono istituzioni collettive capitaliste. È pure indubbio che, nelle condizioni della nostra realtà economica attuale, quando da noi coesistono delle aziende capitaliste private - non altrimenti però che sulla terra appartenente a tutta la società, e non altrimenti che sotto il controllo del potere di Stato appartenente alla classe operaia - e delle imprese di tipo socialista conseguente (quando i mezzi di produzione appartengono allo Stato, come il terreno su cui è impiantata l'azienda, e tutta l'azienda nel suo insieme), allora sorge ancora la questione di un terzo tipo di imprese, le quali, dal punto di vista di principio, non formavano prima un gruppo particolare, e precisamente: le aziende cooperative. In regime di capitalismo privato le aziende cooperative differiscono dalle aziende capitaliste, come le aziende collettive dalle aziende private. In regime di capitalismo di Stato le aziende cooperative si distinguono dalle aziende capitaliste di Stato, in primo luogo come aziende private, in secondo luogo come aziende collettive. Nel nostro regime attuale le aziende cooperative si distinguono dalle aziende capitaliste private in quanto sono aziende collettive, ma non si distinguono dalle aziende socialiste, perché sono fondate sulla terra e sui mezzi di produzione che appartengono allo Stato, cioè alla classe operaia.»

Lenin prende qui in considerazione l’aspetto giuridico dei rapporti di produzione, cioè i rapporti di proprietà; aspetto questo di rilevante importanza, ma di per sé non ancora decisivo, come del resto dimostrano le esperienze storiche del secolo scorso.

È vero che la proprietà dei mezzi di produzione avocata allo Stato comporta una diversa destinazione del plusvalore, tuttavia resta sospesa la questione, di non poco conto, connessa alla redistribuzione sociale e al reimpiego produttivo di tale eccedenza. Si tratta altresì di verificare, e questo è un aspetto dirimente, se la statalizzazione dei mezzi di produzione ha comportato effettivamente e in quale significativa misura un reale miglioramento delle condizioni materiali di vita e di lavoro di tutti.

Le condizioni materiali di vita e di lavoro del proletariato in regime di capitalismo di Stato, teorizzato da Lenin, non si sono rivelate sostanzialmente diverse da quelle vigenti nel capitalismo privato. Anzi, in seguito, con la scusa che la proprietà dei mezzi di produzione apparteneva al “popolo”, agli operai e ai lavoratori in generale non sono state riconosciute, se non formalmente, quelle rappresentanze e tutele sindacali che sono diventate un diritto costituzionale effettivo, per quanto contrastato dal padronato, nei paesi occidentali.

È sempre il rapporto diretto tra i proprietari delle condizioni di produzione e i produttori diretti in cui noi troviamo l’intimo arcano, il fondamento nascosto di tutta la costruzione sociale e quindi anche della forma politica del rapporto di sovranità e dipendenza, in breve della forma specifica dello Stato in un dato momento. Nelle esperienze del Novecento si evince che i principi generali del meccanismo mediante il quale una forma determinata di oppressione viene sostituita da un'altra non hanno subito sostanziali modificazioni.

Pertanto, storicamente non si è dimostrata di per sé sufficiente né la statalizzazione dei mezzi di produzione, né la conquista del potere politico affinché fosse rappresentato come universale l’interesse delle classi sfruttate. Del resto, in società economicamente molto arretrate non ci si potevano aspettare risultati diversi. E anche quando queste società hanno raggiunto una capacità produttiva molto elevata, le mende costitutive di tali formazioni statuali hanno rappresentato un ostacolo insormontabile per il libero sviluppo civile e sociale (**).

Sulla scorta dello straordinario sviluppo delle forze produttive che si è determinato in questi ultimi decenni, si presenta la possibilità concreta di costruire un’effettiva e spontanea cooperazione degli individui, la quale, su un piano storico di dipendenza universale, possa finalmente controllare e dominare coscientemente quelle forze che, prodotte dal reciproco agire degli uomini, finora si sono imposte ad essi e li ha dominati come forze assolutamente estranee fino al punto da porre seriamente a rischio la sopravvivenza della stessa specie umana.

(*) V. I. Lenin, Opere Complete, XXXIII, Editori Riuniti, 1967, pp. 428-35.

(**) Nello stesso articolo: «Si tratta […] di trasformare il nostro apparato statale, che proprio non vale nulla e che abbiamo ereditato al completo dall'epoca precedente; in cinque anni di lotta non abbiamo modificato nulla seriamente in questo campo perché non ne abbiamo avuto il tempo, e non lo potevamo avere.» Nel Discorso alla IV sessione del CEC della IX Legislatura (ottobre 1922), Lenin rilevava: «Nell’agosto del 1918 procedemmo ad un censimento del nostro  apparato a Mosca ed ottenemmo la cifra di 231.000 impiegati dello Stato  e dei soviet, comprendendo sia quelli delle amministrazioni centrali, sia  quelli delle amministrazioni locali, municipali di Mosca. Recentemente, nell'ottobre 1922, abbiamo proceduto ad un nuovo censimento, con la  certezza di aver ridotto il nostro eccessivo apparato e che esso sarebbe  stato sicuramente inferiore. Ebbene, abbiamo ottenuto la cifra di  243.000 impiegati. Ecco il risultato di tutte le riduzioni del personale.» La situazione non migliorò di certo in seguito.



10 commenti:

  1. Nulla cambierà finchè durerà il sistema di valori, ben esposto da G. Verga nel comportamento di Mazzarò: quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: “Roba mia, vientene con me!”

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    1. http://diciottobrumaio.blogspot.com/2013/05/il-carattere-storico-e-transitorio.html

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  2. secondo me la questione è più semplice.
    L'obiettivo dei dirigenti sovietici non è mai stato di migliorare le condizioni dei lavoratori o degli "sfruttati" bensì quello (raggiunto brillantemente) di raggiungere il massimo sviluppo possibile delle forze produttive. I due obiettivi sono inconciliabili e lo saranno sempre. Bisogna decidere da che parte stare, la scelta su quale dei due obiettivi debba avere la priorità non è eludibile. Allora come ora.

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    1. o l'una o l'altra cosa? lei vuole dire che lo sviluppo delle forze produttive non ha contribuito in generale a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori?
      ho scritto un'altra cosa: Le condizioni materiali di vita e di lavoro del proletariato in regime di capitalismo di Stato, teorizzato da Lenin, non si sono rivelate sostanzialmente diverse da quelle vigenti nel capitalismo privato.

      Non “diversamente” non significa che non sono migliorate. Sono migliorate e di molto rispetto all’epoca zarista. Ma poi non si è andati oltre la normale pratica capitalistica. Il lavoro in forma immediata NON ha cessato di essere la grande fonte della ricchezza, il tempo di lavoro NON ha cessato di essere la sua misura, e quindi il valore di scambio NON ha cessato di essere la misura del valore d’uso.

      perciò: sviluppo delle forze produttive e miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita non sono incompatibili tra loro. anzi, lo sviluppo delle forze produttive è storicamente il presupposto necessario per il miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita.

      questo però non può e non deve essere l'unico obiettivo. l'obiettivo principale è un’effettiva e spontanea cooperazione degli individui, la quale, su un piano storico di dipendenza universale, possa finalmente controllare e dominare coscientemente quelle forze che, prodotte dal reciproco agire degli uomini, finora si sono imposte ad essi e li ha dominati come forze assolutamente estrane.

      il mio post va letto esattamente così.

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    2. grazie della risposta. Secondo me la relazione tra sviluppo delle forze produttive e le condizioni materiali degli sfruttati non è così univoco. Credo possano avvenire casi in cui si assiste ad un progresso delle prime e contemporaneamente ad un regresso delle seconde. Sull'obiettivo principale, cioè "una effettiva e spontanea cooperazione degli individui" sono d'accordo ma mi rende perplesso il fatto che ne venga posta la necessaria premessa nello sviluppo delle forze produttive. Mi sembra che il rapporto di causa ed effetto vada piuttosto invertito. Non mi sembra che attualmente gli uomini cooperino di più rispetto a cento o duecento anni fa. Mi sembra piuttosto il contrario. Cmq, grazie per la risposta.

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    3. il caso regna sovrano, dobbiamo guardare alla tendenza storica sul lungo periodo. la grande industria e il progresso nelle comunicazioni di ogni tipo, ci ha resi nolenti o volenti molto più cooperativi che nel passato, sia a livello locale e sia a livello globale. sulla miseria non cresce nulla di buono. grazie per il commento

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    4. piu'interconnessi e interdipendenti non equivale a più cooperativi...buona giornata

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    5. l'essere umano è tale per mezzo della tecnologia, l'essere umano è cultura e tecnica, l'essere umano isolato non esiste, è sempre cooperativo. le forme di tale cooperazione variano storicamente.

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  3. O.T: Buona sera Olympe.
    Volevo chiederle che cosa pensa del nuovo governo. Io credo che I 5stelle con questa alleanza con il Pd (il peggior nemico per i lavoratori) si sia definitivamente suicidato. Il che non è affatto un male.
    Grazie se mi risponderá.
    Saluti

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    1. sotto a questo bel post:
      http://malvinodue.blogspot.com/2019/09/quello-che-non-ti-perdonero.html

      c'è un mio commento sul tema
      cordialità

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