lunedì 18 febbraio 2019

Per lo stesso motivo


Riporto da Repubblica:
La presentazione della biografia di Hitler di Ian Kershaw è stata eccezionalmente gradita dagli utenti, quasi 80mila click. Perché questo successo? Corrado Augias formula due ipotesi. Una "benevola": "Quel periodo storico si racconta bene, è abbastanza vicino e abbastanza lontano, ricco di documentazione visiva e cinefotografica". E una "malevola" e "preoccupante": "L'interessa per Hitler evoca l'interesse per un uomo forte, un tiranno crudele quasi pazzo ideatore di un sistema di sterminio pensato freddamente a tavolino. Quel metodo comincia a interessare. È caduto il tabù che ha accompagnato il nazifascismo nei primi anni del Dopoguerra".

Prosegue Augias:
Incrociate quelle particolari qualità dell’uomo con quel particolare momento storico del paese, con la sconfitta del 1918, la durezza del trattato di Versailles, l’umiliazione, infelice esperienza della repubblica i Weimar, l’inflazione, ecc. ecc., ecco che la Germania aveva bisogno di qualcuno che la liberasse dai suoi fantasmi.

*

Quel metodo comincia a interessare, dice testualmente Augias. D’accordo che siamo in presenza di un’ampia platea di xenofobi, ma che questa sia propensa allo sterminio di massa mi sembra francamente una cazzata.

Per il resto le solite chiacchiere. Weimar si era ripresa dalla iperinflazione, e per quanto riguarda la realtà del debito, cioè la sua rinegoziazione, essa fu molto diversa da quello che si crede comunemente. Insomma la Germania della seconda metà degli anni Venti non era il paradiso ma nemmeno l’inferno che si vuol far credere. Fino alla crisi economica, alla grande depressione, che, partita dagli Usa, colpì duramente l’Europa. Ancora una volta è di scena la crisi del capitalismo. Su ciò Augias sorvola, come suo costume. Senza la crisi, quella crisi così drammatica, Hitler non avrebbe mai conquistato il potere.

A dire il vero la Germania era già entrata in recessione prima del crollo di Wall Street (che ebbe però un effetto decisivo e dirompente). Il padronato contestava le spese per la politica sociale spingendo invece per favorire la “formazione di capitale”. I sindacati, per contro, rivendicavano la “forza d’acquisto di massa”, ossia la difesa dei salari per sostenere i consumi, pur riconoscendo l’esigenza di “creare capitale”. Le solite ricette illusorie. Hjalmar Schacht, governatore della Banca centrale, impose “una drastica riduzione delle spese pubbliche, l’alleggerimento fiscale e l’accantonamento di una somma destinata all’estinzione dei debiti statali”, costringendo il ministro delle Finanze Hilferding (autore del celebre Il capitale finanziario) alle dimissioni. Insomma, cose che grossomodo sperimentiamo anche oggi.

Spostiamoci ora in avanti di qualche anno, ossia al periodo della crisi economica, politica e sociale conclamata. Il cancelliere Hermann Muller cadde sullo scoglio dell’assicurazione contro la disoccupazione e fu sostituito dal cattolico Heinrich Bruning, sostenuto dall’esterno dai socialdemocratici, al quale dal maggio del 1932 subentrò quell’anima bella del cattolico Franz von Papen, che non trovò una maggioranza che lo sostenesse. Si arriva così alle elezioni legislative del luglio 1932, nelle quali i nazisti ottennero il 37,3% dei voti, non abbastanza per formare un governo con a capo Hitler, semmai Hindenburg avesse consentito di affidare l’incarico di cancelliere al “caporale boemo”, capo di un partito di “delinquenti”.

A novembre, in nuove elezioni, i nazisti, che pagavano sfiducia e stanchezza nel proprio elettorato, persero due milioni di voti e 34 seggi, ottenendo il 31,1 (il Partito popolare nazional-tedesco ebbe solo l’8,5). A Monaco e in Franconia erano il più forte partito, ma in tutti gli altri distretti erano stati battuti dal Centro cattolico. Complessivamente potevano contare 247 seggi su 584, cioè ancor meno che nel luglio precedente (267 su 608). Per il partito nazista l’esito delle elezioni significò il disastro, la spinta propulsiva che aveva portato il NSDAP di vittoria in vittoria fin da 1929 si era ormai esaurita.

All’indomani della sconfitta elettorale di novembre, le divisioni tra l’ala destra e sinistra (pensa un po’!) del partito nazista, che avevano afflitto il nazionalsocialismo negli anni Venti, riemersero improvvisamente. Scrive Joachim Fest: «Hitler avrebbe potuto divenire cancelliere soltanto di un governo che avesse dalla sua la maggioranza parlamentare; e poiché il capo dello NSDAP evidentemente non era in grado di assicurarsela, il segretario di stato di Hindenburg, Meissner, gli indirizzò una lettera»  nella quale liquidava ogni velleità del «Signor Hitler» alla nomina a cancelliere. Nella lettera si diceva testualmente: «il Signor Presidente del Reich non può non temere che un gabinetto del genere da Lei guidato si trasformi inevitabilmente nella dittatura di un partito».

Sul fronte finanziario, con migliaia di funzionari di partito e le SA, che da sole costavano due milioni e mezzo di marchi la settimana, il NSDAP era alla bancarotta. Eloquente in tal senso l’annotazione tratta dal diario di Goebbels secondo cui Hitler, in dicembre, se ne uscì con questa frase: «Se il partito va a pezzi, tempo tre minuti e la faccio finita con un colpo di pistola».

Ai primi di dicembre Hindenburg, anche sotto la pressione di parte delle forze armate di cui il generale Kurt Schleicher era ministro, affidò l’incarico di formare il nuovo governo proprio a quest’ultimo, il quale considerava Hitler come “un pericoloso maniaco”. Ciò avvenne con grave scorno del suo rivale, von Papen. Il 31 dicembre 1932 Goebbles scrive: «sparite interamente ogni prospettiva e ogni speranza». Assunti i pieni poteri, Schleicher fece una mossa popolare tentando di aprire ai sindacati (questi peraltro in profonde divergenze con i socialdemocratici) avviando la prima iniziativa nazionale per la creazione di lavoro. «Gustav Stolper ricordò poi una scherzosa colazione tenutasi presso la cancelleria del Reich nel gennaio 1933, in cui Schleicher e i suoi collaboratori fecero a gara nel prevedere quanti voti avrebbero perso i nazisti nelle elezioni che Schleicher intendeva indire nella primavera successiva. Gli editoriali di capodanno della stampa berlinese erano ottimisti. “Vorwats”, il quotidiano socialdemocratico, salutò il nuovo anno con il titolo: «Ascesa e caduta di Hitler».

Ciò che avvenne dopo, si può leggere, in parte, anche nel libro di Ian Kershaw. A tale riguardo mi chiedo quanti di quegli “80mila click” di cui parla Augias si siano poi presi la briga di leggere davvero il saggio di Kershaw, un tomo di 1.586 pagine! Pochi, pochissimi l’hanno letto, forse sono di più quelli che l’avranno acquistato e magari lette le prime trenta o cinquanta pagine, saltando probabilmente le pagine XXXI-LIV della prefazione alla nuova edizione (in lingua originale l’opera consta di due volumi).

A pagina 83, c’è una considerazione che mi trova totalmente d’accordo e credo che essa riguardi molti di coloro che combatterono nel primo conflitto mondiale: “A partire da quel momento, la morte fu la sua compagna di ogni giorno. Ciò lo rese totalmente immune da ogni compassione per la sofferenza umana. Egli chiuse gli occhi di fronte al dolore e alla pietà, ancor più di quanto non l’avesse fatto nell’ostello di Vienna. Lotta, sopravvivenza, vittoria: questo era tutto ciò che contava”.

Ian Kershaw insiste molto sul fatto che senza la guerra Hitler non avrebbe avuto alcuna occasione di emergere, sarebbe rimasto semplicemente un artista mancato, un fallito che conduceva una vita avvolta nell’oscurità, che si lasciava vivere senza una meta, un fannullone con una spiccata idiosincrasia per un qualsiasi genere di lavoro sistematico, tratto che conserverà anche dopo la presa del potere. Sorprendenti, per i più, anche le pagine che Kershaw dedica ad un giovane Hitler tutt’altro che antisemita.

Dunque, perché Hitler interessa oggi così tanto? Per gli stessi motivi per i quali piacque allora. 

1 commento:

  1. Sembra che sospinti da fame e sofferenze , vengono meno i taciti e a volte neanche taciti accordi che regolano la società.
    Mi verrebbe una battuta sul famoso oppio, ma me la tengo per me che oggi non sono in vena.

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