Foibe, la memoria corta degli italiani
A poco più di due settimane dal giorno della Memoria
in ricordo della Shoah, gli italiani sono chiamati a celebrare con il giorno
del Ricordo l’orrore e la tragedia delle Foibe. In entrambi i casi come
vittime, ma in entrambi i casi come vittime non innocenti. Se nello sterminio
degli ebrei furono complici dei nazisti, nel caso delle foibe furono coinvolti
da un insieme di circostanze più complesse, che solo la memoria corta degli
italiani e l’ipocrisia di buona parte della classe dirigente hanno espulso dalla
memoria collettiva.
Già altre volte abbiamo sottolineato le responsabilità
del regime fascista nella snazionalizzazione degli sloveni e dei croati che
dopo il 1918 vennero a trovarsi entro i confini dello stato italiano. Nel 1941
l’aggressione dell’Italia alla Jugoslavia e l’annessione violenta della
provincia di Lubiana a Regno d’Italia contribuirono in modo decisivo alla
dissoluzione dello stato Jugoslavo e alla apertura della fase storica che sfociò
nella Jugoslavia di Tito. In ciascuna di queste fasi le autorità politiche e
militari italiane, al di là di ogni problema geopolitico, si mossero nel
presupposto che le popolazioni slave rappresentassero, come ebbe a dire nessun
altri che Mussolini, una razza inferiore e barbara nei cui confronti fosse possibile
e lecito imporre il pugno duro e purificatore dei dominatori.
Le foibe si inseriscono in questo contesto e nella
spirale di violenze che fecero seguito. Al di fuori di questo quadro non c’è la
possibilità di comprendere le ragioni degli orrori dei quali parliamo e dei
quali rischiamo di tornare a rimanere vittime. Nessuna menzogna potrebbe
capovolgere questa realtà della storia o avvelenare la nostra memoria,
impedendo la consapevolezza e le nefandezze di un passato che avremmo potuto
considerare ormai alle nostre spalle. Se così non è dobbiamo tornare a
riflettere sulla superficialità con la quale i politici di turno si sono
impossessati di una questione di forte impatto emotivo per alterare la storia e
la memoria e sfruttare la credulità di una opinione pubblica anestetizzata
dalla retorica patriottarda.
A pensarci bene la questione delle foibe serve a
coprire il vuoto di consapevolezza a decenni di distanza della vera realtà
della sconfitta del Paese, ma anche della capacità della popolazione di rialzare
la testa e di affrontare i sacrifici che hanno consentito la ricostruzione.
Mettere al centro dell’attenzione le foibe non serve a sottolineare le offese
subite ma a perpetuare uno sterile vittimismo che non contribuisce a fare i
conti mancati con il passato, ma neppure a consolidare il consenso a questa
nostra democrazia minacciata da tante insidie. Una di queste è la negazione
della verità che mistifica la menzogna e alimenta l’ipocrisia.
L’enfatizzazione delle foibe ha ritardato la
riconciliazione con le vicine popolazioni slave, ha reso più difficile la
cicatrizzazione delle ferite della guerra, ha oscurato i drammi veri delle
popolazioni costrette a lasciare le loro case e la loro terra, le uniche che
abbiano pagato per tutti gli italiani le malefatte di un regime criminale senza
che ci siano stati gesti ufficiali da parte dello Stato democratico di rottura
e di risarcimento nei confronti di un passato da condannare senza riserve.
La prassi tutta italiana di coprire con l’oblio
passaggi storici che avrebbero meritato un forte impegno di autocritica e di
verità in questo, come in tanti altri casi, si è alleata alla rimozione di
memorie scomode e allo loro banalizzazione. L’orrore delle foibe deve servire a
richiamarci periodicamente alle nostre responsabilità storiche e non certo a
rinnovare il rito del nostro vittimismo. E alla fine spiace constatare che il
presidente della Repubblica Mattarella non condivida questa per noi ovvia
conclusione.
(da il
manifesto del 10 febbraio 2019)
Occorre anzitutto, come hanno fatto gli storici “seri” (non apologisti del fascismo, o dell’imperialismo italiano in veste “democratica), sfatare le dimensioni quantitative delle uccisioni di “italiani” da parte degli “slavocomunisti”: alcune centinaia su tutto il territorio giuliano (fucilati, e solo successivamente “infoibati”), ma altresì precisarne la natura qualitativa : non “pulizia etnica”, ma epurazione di fascisti e collaborazionisti (non solo italiani, ma anche slavi), e di elementi controrivoluzionari attivi (spie, provocatori,al soldo dell’imperialismo tedesco, italiano, o angloamericano). In verità, mentre nel 1943 la “ribellione contadina” fu connotata da una sorta di “terrore spontaneo” sul tipo delle Stragi di Settembre della Rivoluzione Francese , nel 1945, la repressione venne esercitata molto più selettivamente dagli organismi del nascente potere jugoslavo, ed effettivamente colpì, in grandissima maggioranza, fascisti e collaborazionisti, nonché quanti avessero portato le armi contro l’ Armata popolare ed i suoi alleati (in primo luogo, la Brigata Garibaldi che si era affiancata al IX Korpus partigiano jugoslavo). I neofascisti, risparmiati dalla clemenza partigiana e dall’amnistia di Togliatti, si gettarono avidamente sul “martirologio istriano” e giuliano, inventandosi cifre vertiginose (come del resto si erano inventati i 300.000 fascisti uccisi alla Liberazione), producendo computi gonfiati di un paio almeno di zeri e annoverando tra le vittime della ferocia slavo-comunista persone morte per malattie, incidenti stradali, ed in guerra, oppure anche… viventi. Lo stesso valga per i “profughi istriani”. Purtroppo, tuttavia, la leggenda nera venne ripresa immediatamente da forze sedicenti “democratiche”, che consideravano il fascismo, e soprattutto l’antifascismo e la guerra di liberazione, una disgraziata “parentesi” nella gloriosa storia dell’ “imperialismo degli straccioni”, con annesso feroce colonialismo in Libia, Etiopia, ecc., e annessione di territori dell’ex- Impero austroungarico (compreso l’austriacissimo Sud Tirolo) e che rimproveravano al fascismo non di aver partecipato alla mostruosa guerra mondiale dalla parte degli schiavisti e sterminatori nazisti, ma di averla perduta (o di non essersi defilato come Franco, inviando in Russia solo alcuni distaccamenti di fascisti fanatici).
RispondiEliminavale quello che scrive il prof. Collotti, ossia che quelle morti sono state strumentalizzate dai fascisti e dalla destra tanto da costituire uno dei principali motivi d'impedimento di una più serena valutazione di quei fatti.
EliminaCiò mi porta a questa considerazione: premesso che tutte le guerre sono sempre state un ammasso di sofferenze imposte dai vincitori sui vinti, tuttavia i crimini italiani e fascisti in slovenia e croazia non possono essere riscattati da ciò che è accaduto dopo e che per larga parte è stato conseguenza diretta dell'occupazione italiana.
La 'Giornata del Ricordo' avrebbe potuto essere un momento di incontro e riconciliazione fra i popoli, un modo per commemorare oltre agli italiani infoibati anche le migliaia di sloveni e croati morti a Gonars o ad Arbe, le fucilazioni sommarie, le rappresaglie terribili ('testa per dente').
RispondiEliminaInvece lo si è trasformato in un piagnucoloso momento di vittimismo e peggio ancora in uno strumento per conferire onoreficenze a massacratori e vessatori degli sloveni e dei croati.
Il buon Tajani lo ha anche usato come non troppo velato strumento di rivendicazioni territoriali ('viva l'Istria e la Dalmazia italiane!'), facendo giustamente infuriare i governi di Slovenia e Croazia.
Segnalo alcuni interessanti studi del gruppo Nicoletta Bourbaki, pubblicati per lo più sul sito www.wumingfoundation.com
così ha detto? del resto si chiama taiani.
Eliminagrazie della segnalazione.