È sempre interessante leggere ciò che dice Mario
Seminerio sul Fatto quotidiano e
altrove. S’interroga sulle cause del deterioramento della congiuntura
economica. Non solo quella italiana, ma anche di quella tedesca, cui il nostro
paese è legato a doppio filo. Sulla crisi tedesca scrive “che ormai da mesi
impegna gli economisti, che non sanno decidere se si tratti di fenomeno
transitorio o persistente”. La congiuntura italiana, oltre a risentire
direttamente della negatività tedesca, denota “una radice del tutto endogena,
riconducibile alla fortissima incertezza causata dall’azione dell’esecutivo”,
scrive.
Che gli idioti attuali aggravino la situazione, non
solo economica, nessuna persona di senno può negarlo. Si poteva attuare una
politica d’impronta realmente espansiva, posto che il debito pubblico è
destinato ad aumentare comunque (*). Tuttavia che un governo diverso dall’attuale
possa fare molto di più che escogitare dei palliativi, dubito fortemente, non
solo per la cronica fragilità del sistema politico ma perché siamo una piccola tessera
di un enorme puzzle.
Veniamo al fenomeno
più evidente e sostanziale della crisi: il divario tra offerta e domanda, ossia
l’impossibilità di vendere tutto quello che viene prodotto con profitto. La causa? La pseudo-scienza economica
borghese ha tentato di trovare una risposta, fino ad arrivare, negli anni
Trenta, a quella che va sotto il nome di keynesismo, teoria che imputa la
divergenza tra domanda e offerta a un fattore psicologico: la scarsa
propensione al consumo! Quindi, il ricorso al famoso
“moltiplicatore”, che è funto, per un breve periodo, da effettivo volano della
ripresa economica. Poi la guerra e la ricostruzione hanno fatto il resto.
Oggi questi escamotage ideologici sulla propensione
al consumo e consimili risibili trovate non le prende più sul serio (quasi)
nessuno, anche se possono ancora valere un Nobel. Mai come nella nostra epoca è
possibile conoscere e censire ogni cosa, sapere se serve o no; pertanto non si
tratta di un problema legato ai consumi, ossia alla circolazione, ma si tratta di
contraddizioni che hanno il loro luogo d’origine nel modo di produzione.
E dunque anche le manovre di bilancio che si dimostrassero
capaci di un qualche reale impatto espansivo, finirebbero per avere il fiato
corto. La causa della crisi è sempre la stessa, effettiva nel processo
produttivo e nel meccanismo stesso dell’accumulazione capitalistica.
(*) Invece di buttare soldi dall’elicottero, ossia
mantenere a sbaffo i disoccupati, i quali rappresentano oggi ciò che sono stati
i poveri nelle epoche precedenti. Chi pensa che questo sia cinismo vuol dire che
non conosce le livide dinamiche economiche e sociali: la disuguaglianza sociale
è la base su cui poggiano le società di classe.
per quanto riguarda l' italia borghese io credo che oggi non ci sia nulla da fare se non un lento lavoro di ricostruzione a lungo termine -almeno una generazione- che riparta dalle scuole con indirizzi realmente collegati al sistema produttivo, un lavoro che non riusciranno a fare presi come sono dal banchetto delle ultimissime risorse disponibili
RispondiEliminala germania è in crisi principalmente per la trade war ma paradossalmente anche per la politica monetaria che ha "consigliato" alla BCE: QE partito con 6 anni di ritardo, ora che lo devono chiudere -perchè l'hanno annunciato da un anno-si ritrovano a dover riaprire un TLTRO ma non si vorrebbero contraddire... Draghi è dovuto scendere a troppi compromessi con il suo board e oggi, quando pure i tedeschi avrebbero bisogno di comprare tempo per riflettere con calma, si ritrova con munizioni a salve
certo che c'entra la trade war e altre questioni legate agli scambi, e volendo per soprammercato ci mettiamo anche i cambiamenti climatici, tuttavia resta il fatto che la contraddizione fondamentale che sta alla base delle crisi è altra.
Eliminaveramente seminerio non parla delle due colossali cause del rallentamento tedesco di cui parlo, tutt' altro che strettamente contingenti
Eliminaper quanto riguarda quel che dici tu, aggiungerei un determinante "con profitto" a " l’impossibilità di vendere tutto quello che viene prodotto"
giusto, con profitto
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