martedì 6 novembre 2018

Diritti inalienabili


Al di fuori della società l’essere umano non esiste; nella realtà l’esistenza umana è possibile solo nella società. L’uomo è nel senso più letterale un animale sociale, e soltanto nella società può isolarsi. Altrimenti si tratta di una rarità, di un assurdo, di una specie di Tarzan, di una scimmia tra le scimmie.

Pertanto, se l’essenza umana non è qualcosa di astratto e immanente al singolo individuo, ciò vale anche per i “diritti” del singolo individuo. Al di fuori della società all’individuo non sono riconosciuti diritti, né del resto attribuiti doveri. Si tende a dimenticare che anche il diritto del più forte è un diritto, e che tale forma di diritto continua a vivere sotto altra forma anche nel nostro benamato “Stato di diritto”.

È un fatto casuale che un individuo nella realtà storica concreta appartenga alla classe degli schiavi o, per contro, alla classe dei proprietari di schiavi. A loro volta le classi sociali sono espressione di determinati rapporti sociali, nel senso che ciò che le distingue è il loro posto nell’ambito della produzione sociale e in conseguenza il loro rapporto con i mezzi di produzione.

È un’evidenza che non ha bisogno di discussione il fatto che ogni formazione sociale, e dunque ogni forma di produzione, genera i suoi peculiari rapporti giuridici, la sua peculiare forma di governo, ecc.. Il singolo ed isolato cacciatore – scriveva Marx – con cui cominciano Smith e Ricardo, appartengono alle immaginazioni prive di fantasia che hanno prodotto le robinsonate del XVIII secolo.

Formazione sociale e individuo concreto sono termini che non si oppongono solo se si tiene conto che il concreto divenire della materia sociale li implica vicendevolmente. Viceversa, voler ridurre tout court l’essere sociale all’individuo astratto, dotato di diritti inalienabili e predefiniti, è un errore del riduzionismo, quando non si tratti di peggio.


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Scrive nel suo blog un signore molto ricco di spirito: “l’individuo dovrebbe poter essere sovrano sul proprio corpo e sulla propria mente”. Vorrei vedere chi non è d'accordo. Però questo vale come auspicio, ma purtroppo non è così. E perché non sia così è scritto chiaro nel presente post. Forse il salariato non è sovrano del proprio corpo? E però deve vendere la propria forza-lavoro a un padrone in cambio dei mezzi per la propria sopravvivenza. Lo statuto dei lavoratori della società di mercato va paragonato al servaggio, essendo i lavoratori (soggetti concreti, non astratti) legati, quando va molto di lusso, esclusivamente a un'impresa e al suo buon andamento. Hai voglia di essere sovrano del tuo corpo se non hai di che mantenerlo. 

Ed è sovrano l'individuo (non quello astratto ma quello concreto) delle “proprie” idee? Nel mio post parlo di rapporti sociali e classi sociali, ossia di determinazioni concrete, reali, perciò l’equiparazione – che io mai ho fatto – di società e comunità, non c’entra nulla.  

3 commenti:

  1. Puoi ben immaginare che sono d'accordo sul ruolo del caso relativo ai singoli individui, anche in relazione alla teoria di Marx, della quale presto posterò vecchi paragrafi del mio libro: "La dialettica caso-necessità nella storia". (2003-2005) Ovviamente solo in parte pubblicato nella forma di post.

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    1. leggerò ovviamente con interesse.
      c'è anche chi sostiene che la dialettica materialista è una cazzata e Marx l'autore di una dottrina teleologica. non ci fanno mancare nulla.

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  2. la credenza del diritto naturale è molto diffusa, anzi la variante già borghese di rousseau influenza i novelli giacobini dei 5S, tanto per dire. persistendo il dominio niente passa mai del tutto e tutto via via si incasina.

    devo aggiungere che il diritto naturale porta in sè, a volerlo proprio vedere, il ricordo della comunità indivisa in ceti, però riproporlo oggi rafforza l' invarianza del vigente rapporto sociale, mi fa pensare che la debolezza la si chiama speranza e la si attacca dove si può, ovvero in coda al carrozzone

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