«Tra 2007 e 2016, nel più generale
arretramento dei paesi avanzati e dell’area euro, l’Italia ha quasi dimezzato
la sua quota della produzione industriale mondiale al netto del costo dei
fattori (capitale e lavoro) impiegati per realizzarla».
Che cosa significa “quota della produzione
industriale mondiale al netto di capitale e lavoro impiegati per realizzarla”?
Può significare solo una cosa in termini di produzione: il plusprodotto; vale a
dire, in termini di valore, il plusvalore. E allora perché non chiamarlo così?
La risposta è molto semplice: perché siamo una
rivista di sinistra che, partendo dalle parole di Gramsci, s’incarica di fare
“una spietata autocritica della nostra debolezza, bisogna incominciare a
domandarsi perché abbiamo perduto, chi eravamo, cosa volevamo arrivare”.
Insomma una rivista, sorella di quella “americana” con lo stesso nome (Jacobin), che sente il bisogno, sempre
usando le parole gramsciane, “di fissare i criteri, i principi, le basi
ideologiche della nostra critica”.
E che cosa c’è di meglio per
“una rivista marxista ma non propagandistica”, nel perseguire tale nobile scopo, che usare la terminologia e i
modi empatici della pubblicistica borghese? Quindi parlare di economia e
crisi per 140 pagine senza mai nominare il “plusvalore”, e al più chiamarlo
“valore aggiunto”?
Nell’intervista al fondatore, direttore ed editore
della Jacobin americana, Bhaskar
Sunkara, questi precisa su quali letture è avvenuta la sua conversione al
marxismo “non propagandistico”, ossia leggendo "le opere di socialisti
democratici come Michael Harrington e Ralph Miliband, e alla fine anche lo
stesso misterioso Karl Marx". E che cosa ha appreso dall'uomo misterioso? Ecco le esatte parole di Sunkara:
“… mi ha fornito gli strumenti per
capire come mai le riforme conquistate all’interno del sistema capitalistico
fossero così difficili da sostenere, e sul perché ci sia così tanta sofferenza
in società così piene di abbondanza. Alla fine ho combinato il mio cuore
socialdemocratico e il mio cervello ancora confusamente marxista nell’idea politica
che sostengo oggi: un radicalismo consapevole delle difficoltà del cambiamento
rivoluzionario e, allo stesso tempo, di quanto profonde possano essere le
conquiste delle riforme”.
Al “cervello ancora confusamente marxista” di Bhaskar Sunkara, combinato con il suo “cuore socialdemocratico”, il misterioso Marx ha fornito precisamente questa basilare
nozione: quanto profonde possano essere le conquiste del riformismo!
E, del resto, che cosa aspettarsi dall’ex vicepresidente
dei Socialisti Democratici d'America? È dunque partendo da questi riferimenti
che si vorrebbero “fissare i criteri, i principi, le
basi ideologiche della critica” della sinistra critica-critica ma non
propagandistica italiana.
N.B. : il Democratic Socialist of America
(DSA), fin dalle sue origini è stato nient'altro che una fazione del Partito
Democratico.
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